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La vocazione è un cuore che canta: «Mostrati! Sei tu che cercavo da tutta la vita?»

FROZEN, ELSA, SING
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Aleteia - pubblicato il 20/01/20
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«Cos’è che vuoi? Continui a tenermi sveglia …» canta Elsa. Quante volte pensiamo che l’intervento di Dio sia un’intromissione e poi ci accorgiamo che è la risposta più adeguata a noi?Di Roberta Conte

Può un cartone Disney cantare l’incontro con Dio? Forse non è una domanda così assurda. Possiamo provare a rispondere leggendo fra le righe la trama di Frozen II.
La differenza fra il primo e il secondo film è sostanziale ed evidente. Se il primo incentrava la sua trama sulla scoperta e la conoscenza di sé da parte di Elsa, della sua più intima natura, il secondo
presenta i dubbi vitali che la regina di ghiaccio si pone sul suo futuro, in altre parole sulla sua vocazione. Non è forse questa la domanda di tutti? Cosa devo fare della vita che mi è stata donata? Dei talenti (poteri) che mi sono stati affidati? «L’ignoto» è dato da scoprire ad Elsa, senza ovviamente un cammino faticoso toccato da diversi scogli, per lo più interiori. Il film inizia con una voce che, cantando, continua a chiamare Elsa. La regina, spaventata, inizialmente, non vuole ascoltare: «riesco a sentirti, ma non voglio».


FROZEN II
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Dare ascolto alla voce del cuore che ci chiama e vuole rivelarci lo scopo della nostra vita non è sempre facile. Conoscere la nostra vocazione fa paura («ho paura di quel che rischio se ti seguo»), prende le forme di un grande terremoto dell’anima: le domande affiorano e sembrano sempre più delle risposte. Un vero e proprio «viaggio nell’ignoto» che spaventa, ma che allo stesso tempo attrae, in cui scoprire finalmente «quello che non so», canta Elsa.

Cos’è che vuoi? Continui a tenermi sveglia, sei qui per distrarmi così che possa commettere un grosso sbaglio? O sei qualcuno simile a me che sa, nel profondo, che non sono dove dovrei essere.

FROZEN II

Disney 2019

Quante volte pensiamo che l’intervento di Dio nella nostra vita sia un’intromissione? Che Dio voglia solo scombinarci i piani? Quanta gioia invece si scopre quando il disegno che Dio aveva dipinto per noi è quello che invece sognavamo da sempre? Che in Dio riposa il luogo dove dovremmo essere e a noi sta solo l’arduo compito di scoprirlo.
Elsa sa che non è Arendelle il posto dove compire la sua chiamata, e la voce che sente (Dio) lo sa già. Lei deve solamente saper ascoltare ed è questa la capacità che, più di mille poteri, diventa la sua vittoria: ascoltare quando i timori e le paure vorrebbero poter controllare ogni cosa. Già nel primo film Elsa aveva capito che il «vero nemico è la paura», adesso ne è libera e può capire
che ciò che sente è «la risposta per sciogliere i dubbi» che vive da sempre. Quando finalmente Elsa scopre l’origine della voce – luogo che si fa trovare tramite il dialogo con Dio e lo svelamento del cuore –, la regina si trova finalmente a casa e chiede alla voce di mostrarsi.



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Ma in che modo può avvenire questa rivelazione? Solo con una disposizione del cuore intrepido («il cuore non trema») e pronto a leggere le ragioni della propria storia. Elsa si scopre «unica e diversa», come ognuno di noi di fronte al proprio Creatore, e capisce che è giunto il momento «per scoprirne il perché». Per scoprire a cosa è chiamata. Sulle note iniziali del secondo assolo, che si dipana come una preghiera, la regina canta: «Mostrati! Sei tu che cercavo da tutta la vita?». Avviene qui l’incontro tra il presente di Elsa e le ragioni del passato e del futuro, tutto viene ricomposto e trova un senso, il cuore della regina di Arendelle ha vissuto fino adesso nell’inquietudine e sembrano concretizzarsi le parole di Sant’Agostino: «il mio cuore è inquieto finché non riposa in Te». Ora sa cosa deve fare, per cosa mettere a frutto la sua vita e i doni che le sono stati lasciati. Come in una vestizione, Elsa abbandona il suo potere terreno di regina (che lascerà poi alla sorella
Anna) e abbraccia il disegno pensato per lei, disegno che custodiva da sempre nel cuore e che aveva solo bisogno di essere ascoltato, come la voce che la chiama.
«Avere una vocazione significa avere un motivo per cui il cuore può cantare, per cui il volto si trasfigura», scrive Luigi Maria Epicoco.
Per farlo però bisogna saper ascoltare la melodia che Dio ha messo nel nostro cuore e che ci riporta da Lui. Noi stiamo ascoltando?

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