Il contrasto al Califfato Islamico (Isis) in Iraq, oggi, può associarsi ad una guerra santa? Uno storico ci rispondeQualche tempo fa Monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, è salito agli onori delle cronache per questa esternazione: «Noi, cristiani del Terzo millennio, alle Crociate dobbiamo molto. Dobbiamo che non si sia perduta la possibilità dei grandi pellegrinaggi in Terra Santa: nei luoghi della vita storica di Gesù Cristo e della nascita della Chiesa».
Alle Crociate, ha aggiunto monsignor Negri, «dobbiamo che si sia ritardata la fine della grande epopea della civiltà bizantina di almeno due secoli, e si sono soprattutto salvate dalla dominazione turca le regioni della nostra bella Italia, che si affacciano sul mare Adriatico, Tirreno e Ionio, falcidiate da quelle sistematiche incursioni di corsari e di turchi che hanno depauperato nei secoli le nostre popolazioni».
Crociate in risposta al Jihad
Il professore Marco Meschini, storico e docente di Storia medievale, tra i massimi studiosi delle Crociate in Italia, condivide il pensiero dell’arcivescovo di Ferrara. «Le parole di monsignor Negri sono in sostanza giuste e, aggiungo volentieri, apprezzabili – ha dichiarato Meschini ad Aleteia – Dobbiamo sempre ricordare che le crociate di Terra Santa nascono come reazione al Jihad, cioè alla guerra santa islamica. Dunque è corretto affermare che le Crociate hanno sostenuto l’Oriente cristiano, cioè Bisanzio, pur se con episodi anche gravi di incomprensione, come fu per esempio la Quarta Crociata».
Uno scudo protettivo
A parte, questo, però, dal momento che le Crociate iniziano alla fine dell’XI secolo e finiscono alla fine del XIII secolo: in questo lungo periodo hanno creato «una sorta di scudo che ha protetto l’Oriente cristiano, e per la verità anche l’Europa Occidentale. Infatti dopo la conquista islamica di Bisanzio, nel 1453, il Jihad si è esteso nuovamente verso Occidente e, per fermarlo, sono serviti molti sforzi, coronati dalla vittorie di Lepanto (1571) e di Vienna (1683)».
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Le assonanze con il califfato
Il docente è molto prudente nell’affiancare la questione irachena – dove i cristiani, nel 2014, sono stati cacciati via dalle proprie abitazioni nella Piana di Ninive – ad una crociata. «Qualche assonanza molto relativa con il cosiddetto Califfato Islamico (Isis) si può anche trovare – precisa il professore Meschini – ma il periodo storico e le motivazioni sono profondamente diverse».
La tentazione di espandersi
La maggiore somiglianza è forse questa: al di là delle circostanze storiche, l’autoproclamato Califfato islamico che ha dominato in Iraq fino al 2019, «non fa altro che ripetere il costante refrain dell’Islam: espandersi in maniera politica e militare, oltre che religiosa, a danno dei vicini non islamici». In effetti, nel momento stesso in cui esiste una realtà politico-religiosa islamica (ricordiamo che per l’Islam politica e religione sono un tutt’uno, e il Califfato è tipicamente questo tipo di realtà), «ciò che le è proprio è espandersi ai danni di chi non è (ancora) islamico. Questa è concettualmente la sua identità».
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Risposte tattiche all’Isis
In un certo senso, ragiona Meschini, «contrastare e magari anche arrestare una qualunque conformazione di questo tipo è similare a quello che hanno fatto le Crociate nel pieno Medioevo. Questa è la somiglianza, ma è anche l’unica». Invece, le dissomiglianze sono molteplici: innanzitutto, attualmente non c’è in Occidente una visione comune del mondo; al più, ci possono essere punti di contatto tra i singoli Paesi e, in questo modo, le risposte sono di natura più tattica che strategica».
Un’altra dissomiglianza è che «oggi non si combatte per riconquistare terre che erano cristiane. l’Iraq, l’Iran, ecc., non sono avvertiti – e in un certo senso non potrebbero esserlo – come territori cristiani. Invece le Crociate avevano come obiettivo proprio la riconquista della Terra Santa».
La guerra giusta
Inoltre, c’è un elemento comune tra oggi e ieri nel concetto di “guerra giusta”, come ha ricordato anche Papa Francesco: è cioè legittimo (dal punto di vista giuridico, prima, più che morale) rispondere con una forza adeguata ad una violenza di aggressione. «Ma le Crociate – puntualizza lo storico – che furono senz’altro guerre “giuste”, erano anche guerre “sante”: e quanto una guerra giusta diventa anche guerra santa allora molte cose si complicano».
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Una sola eccezione in 200 anni
Per esempio, c’è stato un caso di “deviazione” dagli scopi originari nel corso della quinta Crociata (1221): «invece di “limitarsi” a riconquistare i luoghi santi, il comandante supremo dei crociati volle tentare di portare la guerra direttamente contro Bagdad, cioè contro l’Islam in quanto tale: fu un fallimento clamoroso. Ma appunto si trattò di un solo caso, del tutto isolato in circa 200 anni di storia e oltre nove grandi spedizioni di respiro europeo».
Lo Stato Islamico è totalitario?
Quando diciamo “guerra giusta”, conclude Meschini, «ci riferiamo anzitutto ad un concetto giuridico e non morale. Ad esempio: la Seconda guerra mondiale contro il nazifascismo è stata una guerra giusta? Sì, certamente, ma ciò non significa giustificare tutto, men che meno dal punto di vista morale. Si pensi al bombardamento di Dresda, o all’uso della bomba atomica, e così via». Il nazismo era un’ideologia «violenta e totalitaristica, e quindi andava “giustamente” fermato. Tutto sta nel come giudichiamo la realtà così come emerge dalla Storia: questo sedicente Califfato è un totalitarismo oppure no?».
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