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Come deve comportarsi un sacerdote che soffre di burn-out?

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 18/01/20
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La dedizione verso gli altri può causare un forte stress che trasforma l’attività evangelica in un’attività routinariaChe cosa è il burn-out? Perché colpisce in particolar modo i religiosi? E soprattutto che conseguenze ha sull’attività pastorale? Il professore Giuseppe Crea, docente di psicologia alla Pontificia Università Salesana, autore del libro “Agio e disagio nel servizio pastorale (edizioni Dehoniane) spiega ad Aleteia sintomi e cure di una vera e propria patologia diffusa tra i sacerdoti.

Sovraccarico di dedizione

In linee generali il burn-out «è la forma di stress che colpisce coloro che sono molto motivati nell’aiutare gli altri – afferma il professore Crea – Questa dedizione può diventare, nel tempo, un sovraccarico, perché è come se si percepisse che quell’aiuto non ha mai una fine. Ad esempio, il burn-out possono averlo gli insegnanti che aiutano i propri scolari, i pompieri che intervengono per sedare emergenze, i medici che curano i malati e i sacerdoti che decidono di spendere la propria vita per il prossimo».

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Pool | Getty Images North America | AFP

Rischi che corre il parroco

C’è una differenza marcata tra lo stress dei parroci e quello degli altri mestieri di “supporto”. «Nel burn-out dei sacerdoti c’è una “spinta vocazionale”, una dedizione che è una chiamata carismatica – sottolinea il docente di psicologia – siccome alla base c’è questo ideale, è difficile accorgersi della stanchezza che gradualmente subentra. La trappola che a volte blocca i presbiteri è proprio questo spirito di dedizione tutto particolare, perché deriva dalla chiamata divina, perché viene richiesto tacitamente dall’istituzione, la Chiesa, perché le esigenze parrocchiali sono continue nell’arco della giornata, perché bisogna preservare uno spirito collaborativo con gli altri sacerdoti per raggiungere risultati sempre migliori».

Campanello d’allarme

Tutto questo genera una pressione mentale che genera un forte stress, che però non viene compreso. «Questi stimoli attivano ancora maggiormente la voglia di dedicarsi agli altri. Se però la persona non si accorge di alcuni campanelli d’allarme, la sua dedizione al prossimo, non diventa più un servizio per gli altri, ma esclusivamente qualcosa che si fa per se stessi».


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I giovani sacerdoti

Prima di arrivare ad uno stadio finale della “patologia”, generalmente si parte da una fase di zelo iniziale, di entusiasmo, «che nei sacerdoti è particolare perché si sentono motivati più degli altri ad avviare il loro percorso di prestare servizio per il prossimo. Il rischio è corso maggiormente dai sacerdoti più giovani, appesantiti dagli incarichi che ricevono, ad esempio come la gestione di più parrocchie contemporaneamente. Può capitare, soprattutto in questi più giovani, che le risposte nella comunità parrocchiale non siano come quelle previste».

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Shutterstock/Alexandru Logel

Frustrazione e scetticismo

Allora scatta nel parroco un senso di frustrazione perché avverte che la sua dedizione non incassa i risultati sperati. «A quel punto può capitare che è più freddo con i fedeli, si arrabbia più spesso con gli altri poiché li identifica come responsabili del poco successo della sua dedizione nei loro confronti. Si parla – dichiara l’esperto – di “de-personalizzazione”. E’ come se si attivasse una scarica emotiva che ti fa dire: “Sono gli altri che non mi capiscono”. Questo porta ad una progressiva “difesa emotiva del pastore”, che si chiama proprio “indurimento emozionale”. Cioè si impara a soffrire di meno per le risposte della gente che non sono all’altezza delle aspettative».



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Azione pastorale abitudinaria

Questo atteggiamento è tipico del burn-out perché consente all’operatore di dedicarsi agli altri senza però temere la risposta negativa. «Il problema è che non c’è più quella parte empatica, quella tensione iniziale nel rapporto con i fedeli. Si serve il prossimo in maniera abitudinaria. Non è un caso che Papa Francesco incoraggi sempre a ravvivare le motivazioni e l’apertura verso gli altri. Prova a stimolare coloro che vanno avanti indurendosi, senza più l’anima della dedizione che aveva stimolato l’avvio del sacerdozio».

Come curarlo e prevenirlo

Il professor Crea cita San Carlo Borromeo, che in una lettera ai suoi sacerdoti li stuzzicava, ponendogli una domanda: “Sei un pastore d’anime? Allora cura prima te stesso”. «Se il pastore non si ricarica, di tanto in tanto rischia di vivere il sacerdozio non più nel migliore dei modi – sentenza il docente dell’Università Salesiana – ci devono essere tempi di riposo, di formazione permanente, di collaborazione con gli altri confratelli per scandire al meglio il percorso sacerdotale. Se vengono meno, ecco che si scatena il burn-out, questo stress che trasforma l’attività di evangelizzatore in un’attività routinaria e priva di veri stimoli».


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