Un discorso ai neolaureati che rimanda a quello più noto di Steve Jobs, per alcuni tratti, ma in cui la grandezza dei sogni e il carpe diem si fondono con l’augurio di un abbandono delle aspettative di grandezza, per scegliere l’autenticità e avere il coraggio di seguire la propria voce interiore.
Non ascoltate nessuno, non ascoltate me, non ascoltate i vostri genitori, i vostri professori o i media. Ascoltate voi stessi…Perché quello di cui abbiamo bisogno, oggi più che mai, sono persone felici.
Pedro Correa sa bene che la felicità è una merce rara nel mondo dell’utile, della competizione, del successo. Così rara che, a volte, pensiamo di non potercela permettere, che seguire il flusso, le tappe segnalate una dopo l’altra in un percorso obbligato siano l’unico biglietto sicuro che abbiamo tra le mani. Non c’è una to-do-list o un elenco di best practices, c’è solo una “voce”, piccola, soffocata dalle tante voci del mondo, anche di chi ci ama, spesso, ma è la sola che vale la pena seguire con coraggio, che ci parla da dentro, la stessa che spesso archiviamo per paura del giudizio, degli sguardi di disapprovazione, delle difficoltà nell’accettarla perché insomma, anche Pedro aveva una promettente e sudata laurea da ingegnere all’Università Cattolica di Leuven, in Belgio, e come ha potuto barattarla per un lavoro così duro e pieno di incertezze come la fotografia?
Ma questo uomo, chiamato a parlare ai neolaureati della sua ex università, oggi affermato fotografo e papà di quarantuno anni, è consapevole che nella vita, al di là dei titoli e delle macchine aziendali, l’unico lavoro che conta è quello di “ricercatori della felicità”, a tutti i costi. Di una felicità che in fondo non è la destinazione, ma tutto il percorso, giorno dopo giorno. Non è un qualcosa di pre confezionato, ma una scelta coraggiosa:
La brutta notizia è che trovare la felicità richiede tutta una vita. La buona notizia è che quando sappiamo che c’è tutta una vita, possiamo darci tempo per trovarla…Niente è definitivo,
ricorda Pedro.
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Quel “carpe diem” così mainstream, inflazionato dai cioccolatini e da chi ti vuole in balia dei sentimenti, spesso è facile interpretarlo come un vivere alla giornata o senza responsabilità perché “del doman non v’è certezza”. Invece non è l’ennesima giustificazione, un abbandonarsi alla libido e alle passioni. Non è lasciar correre e nemmeno seguire i sentimenti dietro il ricatto dell’ora o mai più. Il vivere ogni giorno come l’ultimo ci mette davanti alla grande responsabilità che abbiamo nei confronti della nostra vita e di come decidiamo di spenderla. Per citare Pedro,
non sulle rotaie costruite da altri, rotaie che vanno chissà dove invece di portarci verso i nostri desideri.
Mi viene in mente allora che ne sa qualcosa di vera felicità chi lascia tutto per andare a servire, con la propria vita spesso, chi è nel bisogno o chi, sotto sguardi allibiti, abbandona professioni e studi promettenti per chiudersi in un convento che lo isola da quella vita per cui sembra valere più la pena. Questo è il coraggio di cui parla Pedro.
E quando racconta del ruolo importante che la morte improvvisa del padre e la consapevolezza della fragilità della vita, hanno avuto in questa presa di coscienza, nella mente c’è l’eco di un altro famoso discorso ai neolaureati dell’Università di Stanford nel 2005: quello di uno Steve Jobs per cui
ricordarsi che dobbiamo morire è il modo migliore che io conosca per evitare di cadere nella trappola di chi pensa che avete qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione per non seguire il vostro cuore.
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Forse però più che “folli e affamati”, immagine potente, ma che mi ha sempre riportato un po’ alla nostra società troppo veloce, affannata, assetata e spesso disposta anche a saziarsi di follia in nome della felicità, forse, invece che una bulimia di successo e sogni che se non sono grandi sembra non valerne la pena, dovremmo liberarci anche dal peso del dover per forza essere gran, liberarci davvero dalle aspettative del mondo (quelle di cui, soprattutto una laurea, spesso ci carica) e darci la possibilità di ammettere che potremmo trovare la felicità pure in cose definite banali: in quei lunghi pomeriggi coi figli di cui parla Pedro, ad esempio.
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Trovare la realizzazione nella professione, dove i clienti petulanti e la macchina fotografica che si rompe non mancano mai, neanche nel lavoro dei sogni, non significa avere tutti i giorni il cuore che ti scoppia di gioia o disperarsi per la “giornata no” etichettandola come spreco: è sapere che comunque, anche nella sofferenza, siamo sulle rotaie giuste. E’ questo che dà un senso pure a quelle giornate difficili, allo sconforto che fa parte della nostra vita e non fa sconti a nessuno, sia che siamo operai, madri, preti o fotografi. E’ in questa ottica che persino la morte non deve farci paura, ma ricordarci quanto siamo fortunati, ad essere ancora qui, con una nuova occasione per ascoltare la vocina interiore e la possibilità di trovare anche oggi, nella nostra giornata, quella felicità che “non cade dal cielo”, come dice Pedro, ma che, mi permetto di aggiungere, viene proprio da lì perché Qualcuno, di quel cielo immenso, di quel desiderio di infinito, ne ha messo un pezzo nel nostro cuore e allora, dobbiamo trovare il coraggio di spiegare le ali!