Un tavolo per una, grazie: è il nuovo livello di self confidence, la nuova conquista delle donne. Perché a me, invece, sembra solo che sia un nuovo modo per farci essere sole? A cosa serve essere realizzate e felici se non abbiamo qualcuno con cui condividere la gioia?Io, da sola, non vado neanche in bagno (come credo, poi, la maggior parte delle donne). Figuriamoci a cena. Una intera cena in solitaria per dimostrare a me stessa che sì, ho raggiunto il nirvana dell’emancipazione, che mi basto, che sono realizzata, self confident e tutte quelle altre cose lì. Ok, ma io, poi, se sono sola, a chi li racconto tutti questi traguardi? Che si sa, non esiste conquista (almeno femminile) che non sia condivisa, sviscerata da tre amiche del cuore, discussa per almeno cinque ore da sette punti di vista diversi e citando le vite di almeno due star a supportare le tesi. Insomma posso raggiungere tutto quello che voglio da sola, ma sinceramente, dimostrare cose a me stessa, non mi ha mai entusiasmata più di tanto. Invece sembra essere proprio questo il nuovo fulcro della rivendicazione femminile: fai le cose per te, per te sola e da sola.
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Viaggia da sola, nel mondo degli uomini, per dire che puoi farcela, mangia da sola, perché non pensino che sei triste o che abbia bisogno di loro, cresci un figlio da single, perché a te non serve nessun altro per dare a quel bimbo tutto ciò di cui ha bisogno. La solitudine, insomma, è la nuova frontiera dell’emancipazione. In Italia, una ricerca del 2017, lanciata dal portale JFC-Consulenza Turistica e Territoriale, parla di un 62% di “solo female travelers” nel nostro paese, confermando, tra le motivazioni che no, la maggior parte non lo fa perché davvero “sola” e quindi “se voglio vedere il Taj Mahal una volta, bisogna che mi faccio forza”, ma per ricerca di libertà e accrescimento della propria autostima. E se fosse davvero una esigenza sentita e non indotta dalla nuova immagine imperante di “femmina”, come mi fa sospettare la nascita repentina di questa esigenza (o moda…), andrebbe anche bene. Intanto la BBC conferma l’aumento nel numero di persone che cenano da sole e Bookatable, un sito di prenotazioni ristoranti, ha ammesso che dal 2014 le prenotazioni di tavoli singoli sono aumentate del 38%.
E mentre leggo decaloghi di consigli per aiutare le donne a prendersi questa self confidence (qui una lista in cui mi sono imbattuta se volete curiosare), a trovare il coraggio di partire all alone o di prenotare un tavolo per uno, a me viene solo da pensare che ancora oggi siamo anni luce dall’essere libere, che stiamo ancora una volta inseguendo un’immagine che spesso non ci corrisponde. E allora meglio quattro chiacchiere con le amiche che annegare nei deliri di onnipotenza da sole, davanti a un piatto di carbonara (che poi, il vero dramma se ceni da sola è non poter ordinare almeno due primi da smezzare per togliersi la voglia di ravioli al tartufo e quella di tagliatelle al ragù).
In realtà, per motivi di lavoro o altro, mi sono ritrovata spesso a cenare da sola: non è mai stato un dramma e neanche l’ho mai pensata come una dichiarazione di forza o emancipazione. Semplicemente non mi piace, ma non mi sento meno donna o in generale “meno” per questo. Lungi da me pensare che fosse una grande conquista di indipendenza e un segnale di consapevolezza interiore: per me la condivisione, fosse anche col più barboso dei colleghi o con un estraneo, resta una ricchezza e l’unico banco prova che ci rende migliori, più forti davvero, anche nel sopportare o dibattere. Già mi basta parlare con le trecento personalità multiple e i sensi di colpa e le vocine interiori mai d’accordo tra loro quando sono tra le mura di casa: figuriamoci invitarle tutte quante a cena fuori!
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Che poi, nonostante tutto, la verità è che se fossimo davvero realizzate, non avremmo neanche bisogno di dimostrare che non siamo tristi, in quella solitudine. E invece, le donne, le stesse che al primo appuntamento con lui vanno a sistemarsi il trucco almeno tre volte per mandare segnali di fumo all’amica che scalpita, sono fatte per la sorellanza. Saremo il sesso debole, ma nell’unione e nella solidarietà, nel legame che siamo capaci di creare sia biologico che “di cuore”, non ci battono neanche i maschietti. Non lasciamoci togliere questo. Solo non è sempre sinonimo di forte, spesso solo di…solo, appunto. Io voglio uscire da questo bisogno di dover per forza dichiarare qualcosa al mondo. Vorrei essere libera di non sentirmi a mio agio cenando da sola. Perché sono una donna “debole”, sì. Truccata, profumata, col mio libro o i-pad, come mi consigliano su quel blog, mentre aspetto tra una portata e l’altra senza sapere dove poggiare lo sguardo non ho raggiunto la consapevolezza di quanto non mi serva nessuno, né uomo né donna, per essere felice, solo di quanto questo mondo oggi ci voglia tristi e lo mascheri dietro a belle parole e conquiste moderne.
Perché se ci sono delle “cose”, come leggo nei rotocalchi prodighi di consigli, che rendono questo essere sola al tavolo meno “penoso” per chi ci guarda, allora non è che lo stiamo facendo proprio per noi, perché se così fosse, potremmo scendere pure in pigiama al ristorante sotto casa per frenare quella voglia di crema catalana alla menta che fanno solo lì e che ti assale proprio stasera che tutte le amiche sono impegnate. Quella sì che sarebbe una cosa fatta solo e davvero per me. Altro che self confidence. E se è così, fatelo, prenotate quel tavolo e gustatevi felici il dessert. Il resto mi sembra una storia che si ripete, che ci piace raccontarci e raccontare per dire quanto stiamo bene quando in realtà se avessimo la possibilità di scegliere, nessuna immagine da dare al mondo batterebbe quattro chiacchiere tra amiche davanti a quei ravioli al tartufo.