Parla monsignor John Joseph Kennedy capo Ufficio della Sezione Disciplinare nella Congregazione per la dottrina della fede “Uno tsunami, siamo sopraffatti”Quadruplicate rispetto a dieci anni fa, aumentate esponenzialmente da quando negli anni ’90 il caso esplose in Irlanda ed Australia, sono numeri impressionanti che mettono in difficoltà chi – in Vaticano – si adopera perché giustizia e cura vengano distribuite a chi le richiede. L’intervista a Monsignor Kennedy fatta da Associate Press, e ripresa dal Washington Post, ha ovviamente fatto il giro del mondo, ed è di un serietà e gravità incredibile, e certamente spiega meglio la decisione di Papa Francesco – presa meno di una settimana fa – di chiudere col segreto pontificio in questa materia. Tuttavia questo dato va inquadrato in una dinamica un po’ più ampia: il fatto che siano casi che spesso risalgono a molto tempo fa, che spesso un singolo sacerdote è responsabile di più abusi e che in generale dunque non siamo di fronte solo a denunce su fatti “nuovi”. Questo, è bene ribadirlo, non sminuisce il grave danno e la responsabilità dei vescovi delle diocesi, una responsabilità morale oltre che di volta in volta legale o patrimoniale.
La maggior parte delle accuse di abusi sessuali da parte di esponenti del clero provengono – spiega Today.it -, oltre che dagli Stati Uniti, da Argentina, Messico, Cile, Italia e Polonia.
Il danno di credibilità che la Chiesa si è autoinflitto, con una cultura di omertà e di scarsa trasparenza, avrà bisogno di una, forse due generazioni, prima di rimarginarsi. Il danno spirituale a chi ha subito abusi, e lo scandalo provocato in essi e nelle loro famiglie è davvero un peccato mortale.
Ma – come sottolinea giustamente il Corriere della Sera – “dando un’intervista in cui rivela numeri e altri dettagli sull’ufficio che si occupa delle denunce” si intuisce “un cambio di passo netto rispetto al passato, soprattutto su questi temi, dopo decenni di insabbiamento dei casi di abusi”.