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Susanna Tamaro: mi ritiro dalla vita pubblica, ma continuo a scrivere

SUSANNA TAMARO, WRITER
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Annalisa Teggi - pubblicato il 13/12/19
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Non è per disgusto del mondo, precisa l’autrice del bestseller Va dove ti porta il cuore. Il passo indietro è legato al peggioramento della sindrome di Asperger che le toglie forzaHa scelto il giorno del suo 62esimo compleanno per fare questo annuncio:

Mi ritiro dalla vita pubblica perché non ho più energie per muovermi. Soffro di una sindrome neurologica, quella di Asperger, che dà tanti vantaggi, come una memoria spaventosa, ma anche tanti svantaggi, soprattutto dopo 50 anni. (da Ansa)

Originaria di Trieste, Susanna Tamaro risiede da circa 30 anni nei pressi di Orvieto e lì sarà il centro della sua vita d’ora in poi: starà a casa a creare nuove storie e a godere di una terra ricca di meraviglie agli occhi di una scrittrice (qui un bellissimo documentario sulla sua quotidianità).

Avevamo già raccontato su For Her quale drammatica condizione implichi quel disturbo dello spettro autistico identificato col nome di sindrome di Asperger e spiegato metaforicamente dalla Tamaro con l’immagine di una prigione senza sbarre. Nessun ritardo intellettivo, nessuna disfunzione linguistica eppure un’estrema fragilità a vivere nella complessità delle realtà, un forte tremore di fronte al caotico manifestarsi degli eventi. Tutto ciò che è limitato, ripetitivo, stabile è l’antidoto che le ha permesso nel tempo di custodire la parte più fragile di sé.


SUSANNA TAMARO
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Fortunatamente – ha detto Tamaro – sono molto distratta e non ricordo di essere una persona famosa, questo mi permette una vita più rilassata. Sono molto legata alle mie origini, ma in Umbria c’è un tempo ottocentesco, non c’è fretta, c’è arte, cultura e un livello di relazioni umane bello, caldo. È importante essere venuta qua – ha concluso Tamaro -, perché mi ha permesso di scrivere libri importanti”. Non posso più muovermi, viaggiare, fare incontri, non ho più forza per farlo e dovendo scegliere scelgo di rimanere a casa per poter ancora scrivere”. “Non è un ritiro per il disgusto del mondo“, ha sottolineato Tamaro. (Ibid)

La fragilità non è un superpotere, ma un dono sì

Immediatamente il mio pensiero è andato alla giovanissima Greta Thunberg, anche lei affetta dalla sindrome di Asperger. Vedere questa ragazzina al centro dell’attenzione mondiale, sovra-esposta come un idolo, e saperla toccata da questa fragilità estrema mi lascia perplessa. Lei si cura del mondo, ma siamo sicuri che chi le scrive l’agenda si curi davvero di lei? Magari qualcuno portasse all’attenzione della paladina dell’ambiente queste parole della Tamaro. Malattia non è sinonimo di menomazione incompatibile con un gusto appagato di vita, anzi; può essere occasione di una fecondità enorme proprio a partire dal dolore di una ferita che tiene desti. Ma no, non è un superpotere come Greta ha ostentato:

Ho la sindrome di Asperger e questo vuol dire che qualche volta sono un po’ diversa dalla norma. E, date le circostanze, essere diversa è un superpotere. (da Quotidiano.net)

Non occorre sovraccaricare di stereotipi eroici la fragilità per riconoscerne i doni che porta. Semmai la fragilità frantuma definitivamente il pregiudizio del super e loda l’evidenza che la nudità dell’essere è già straordinaria. Il passo indietro della Tamaro non è darla vinta a una patologia, è il coraggio di affarmare chi si è senza fronzoli. Si può davvero salvare il mondo riconoscendo il valore ingombrante dei propri limiti. Il limite di cui ci curiamo sempre meno non riguarda le emissioni di CO2, ma il nostro fiato corto. Non possiamo sempre essere all’altezza, non possiamo sempre salvare capra e cavoli; riconoscerlo ci addestrerebbe a usare la potenzialità di quel discernimento che ha fatto dire alla Tamaro: «Scelgo di rimanere a casa per poter ancora scrivere».

Rinunciare è un verbo ricco di occasioni; così come il digiuno è una vera premessa di pienezza.



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Alzare lo sguardo

L’ultimo libro pubblicato da Susanna Tamaro è una riflessione sull’educazione, si intitola Alzare lo sguardo. Il diritto di crescere, il dovere di educare. E lo sguardo si fissa proprio sui tanti giovani che vengono invitati a guardare insistemente a Greta come modello, ad adeguarsi a un modello che sposa grandi cause astratte e poco a fuoco sul reciproco cammino quotidiano di crescita (questo paragone è un mio pensiero, la Tamaro parla di ragazzi in età scolastica in generale).

Il punto di forza della sua osservazione è proprio quello di essere stata una studentessa poco brava, secondo gli standard:

Al giorno d’oggi sarei stata considerata un BES, ovvero un bisogno educativo speciale. All’epoca ero soltanto una bambina, che non capiva niente; prendere fischi per fiaschi era la mia attitudine naturale; dire cose sbagliate nei momenti sbagliati era il secondo dei miei talenti. Il passare degli anni mi ha reso sempre più fragile, sempre più insicura, più incapace di aprire bocca con il rischio di sentire il mio cognome accoppiato a quel simpatico quadrupede che ha l’abitudine di ragliare. (da Alzare lo sguardo)

Non usa giri di parole per mettere il dito nella piaga, e chiamare per nome il grande assente nelle aule scolastiche: il dono di sè.

Un insegnamento che non contempli il dono di sé non è molto diverso da un invito a correre su una superficie ghiacciata. Può arrivare al traguardo soltanto chi sa già pattinare, tutti gli altri vanno a gambe all’aria. (Ibid)

Il dono portato in dote dalla fragilità è proprio questa vista pulita sui bisogni irrinunciabili, e il ghiaccio è una superficie dura a cui è impossibile aggrapparsi. Anche questa è una declinazione verissima del tornare a casa, della scelta di mollare le distese lisce per aggrapparsi al ruvido che ci tiene in piedi giorno per giorno.


FRANCO NEMBRINI
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Susanna Tamaro ha scelto il passo indietro di chi non può più fare a meno del contatto con la concretezza del domestico. Sarebbe una gigantesca conquista se ci ponessimo questo obiettivo anche per l’educazione dei nostri figli che sognano di cambiare il mondo ma sentono di appartenere a una complessità anonima:

La chiave di lettura che viene offerta è quell della complessità. Non si fanno più pensierini, ma si studia l’analisi del testo letterario; niente affluenti del Po di destra e sinistra, ma riflessioni approfondite sul cambiamento climatico; niente addizioni di ciliegie, sottrazioni di torte, ma entità equipotenti. In una simile visione non è contemplata l’idea che esista una base comune di tutti i saperi, e che questa base sia necessaria per poter poi costruire qualcosa che duri nel tempo. Tutto è – e deve essere – fluttuante, tutto è – e deve essere – relativo, perché nessunopuò avere la certezza, né tanto meno l’arroganza, di credere che esista un’unica versione del reale. (Ibid)

 

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