di Pablo Perazzo
Per qualsiasi persona che sia aggiornata sui progressi della neuroscienza e sugli interessanti studi di università prestigiose e di molti pensatori di vari rami del sapere, la felicità è un segno indiscutibile di questi tempi.
Si scrivono libri sulla felicità nella vita familiare, nelle imprese, nelle politiche governative, e sono sempre più numerose le conferenze TED in cui molte persone sviluppano studi e pensieri sulla felicità.
Per questo, ho pensato di parlare della sempre più famosa “corrente di psicologia positiva”, che si va diffondendo come la psicologia della felicità. In modo molto scientifico, attraverso studi pratici con molti gruppi umani, cerca di conoscere il comportamento delle persone più felici per insegnarlo a chi si sente in genere triste o depresso.
I risultati, da ormai praticamente vent’anni, sono molto positivi. La ragione del titolo dell’articolo è il fatto che il mio obiettivo è stabilire punti di dialogo tra questa corrente che definirei umanista e le verità più fondamentali della nostra vita cristiana.
Insegnando la felicità
Poco tempo fa, ho potuto assistere a un’intervista di divulgazione alla dottoressa Laurie Santos, considerata attualmente una delle più note esperte sul tema e docente di Psicologia positiva all’Università di Yale.
È stata lei ad avviare le famose lezioni di felicità di Yale, pensate per 250 allievi ma che in poco tempo ne hanno accolti più di 1.200. In seguito ha lanciato un corso online intitiolato The Science of Wellbeing (La Scienza del Benessere), che in poco tempo è diventato virale.
Perché? Secondo quanto dice, l’uomo ha sempre cercato la felicità, ma oggi è come se avessimo perso la bussola, e per quanto ci sia uno sforzo collettivo, la maggior parte delle persone cerca le risposte in modi sbagliati.
In questa intervista di mezz’ora, la docente menziona vari atteggiamenti o abitudini che vale la pena di vivere per sperimentare a poco a poco un cambiamento di vita e passare da una vita egoista ripiegata su se stessi, spesso triste e depressa, a una situazione in cui possano fiorire i rapporti di amicizia, si impari a vivere ogni momento con gratitudine e si faccia un po’ di esercizio – dice con un certo senso dell’umorismo.
L’aspetto più interessante, a mio avviso, è come riconosce che l’allontanamento sempre più vertiginoso dalle religioni e dalle culture che tradizionalmente hanno promosso e promuovono la vita spirituale sia senza alcun dubbio una delle cause per cui vediamo tante persone tristi e depresse.
Atteggiamenti che ci insegna la psicologia positiva
Menziono rapidamente i punti principali che la dottoressa Santos condivide nell’intervista, cominciando dal relazionamento sociale, ovvero stabilire legami sociali forti, per cui è imprescindibile mettere da parte le proprie preoccupazioni e dedicare del tempo agli amici.
In secondo luogo, bisogna preoccuparsi e aiutare gli altri, non pensare solo alle proprie necessità, rinunciando anche ai propri interessi per andare incontro a chi ci sta accanto. Non bisogna spendere denaro per soddisfare i propri interessi consumistici, ma donarlo a chi sappiamo che ne ha bisogno.
Si deve anche essere grati per quello che si ha, senza lamentarsi costantemente e di tutto, e non paragonarsi continuamente agli altri, finendo per essere insoddisfatti.
La professoressa lo spiega dicendo che spesso guardiamo a ciò che abbiamo in modo relativista, anziché avere uno sguardo obiettivo. Non guardiamo a quello che possediamo e non facciamo che paragonarci agli altri, a coloro che sono i modelli per questo mondo in termini di beni materiali, bellezza fisica, ricchezza e potere. L’esperta dedica anche una parte dell’intervista a spiegare la famosa mindfulness, mostrando con poche parole quanto sia importante fare attenzione al momento presente e non divagare su ciò che verrà o sul passato.
Se invece divaghiamo, perdiamo l’occasione di essere felici di quello che stiamo vivendo. Non si tratta, indica, di sorridere sempre e di avere un atteggiamento positivo nei confronti di tutto, perché a volte viviamo situazioni complicate che richiedono un atteggiamento serio, ma è comunque importante se vogliamo trovare una soluzione all’altezza della gravità del problema.
La dottoressa Santos menziona infine l’importanza della vita spirituale, che in passato era molto più presente nelle nostre culture.
Punti di incontro con la nostra fede
Approfondendo un po’ queste raccomandazioni psicologiche, mi sembra semplice scoprire le similitudini con alcuni insegnamenti di base che impariamo nella fede cristiana. Questi consigli sembrerebbero una forma scettica di insegnare verità che lo stesso Signore Gesù già ci raccomandava, con la propria testimonianza, più di duemila anni fa.
Parliamo dell’appello all’amore, che implica il fatto di uscire da se stessi e relazionarsi agli altri; del comandamento della carità, che si manifesta nell’aiuto, nel servizio e spesso nel sacrificio per le necessità altrui, come spiega chiaramente nella parabola del buon samaritano; dell’atteggiamento grato per le infinite benedizioni e per i doni che il Signore ci concede ogni giorno, a cominciare dal fatto stesso di esistere e di svegliarci ogni mattina; del non paragonarci per tutto il tempo agli altri, riflettendo in fondo un atteggiamento vanitoso e superbo; del non credere di non poter essere felici se abbiamo di meno o siamo più brutti, o contiamo poco agli occhi del mondo, ovvero se giudichiamo la nostra vita in base ai critieri del piacere, dell’avere o del potere.
Un capitolo a parte è l’atteggiamento meditativo che richiede da parte nostra l’attenzione al momento presente. Lo viviamo ogni volta che preghiamo davanti al Santissimo, o quando recitiamo il Rosario alla nostra amata Madre. È superfluo sottolineare poi l’attenzione che dobbiamo dedicare quando partecipiamo alla Santa Eucaristia.
La dottoressa afferma nell’intervista che cinque minuti quotidiani di meditazione bastano per cambiare in meno di tre settimane la tendenza a divagare con la mente.
Sono infine molte le situazioni – aspetto centrale nella nostra prospettiva cristiana di vita – in cui affrontiamo il dolore e la sofferenza, occasione per avvicinarci un po’ di più a Cristo crocifisso. Più riconosciamo questo cammino della croce, come appello che viviamo ad essere come Cristo, anche se fa male, più cresciamo in felicità, perché è il nostro cammino di santità.
Cercando la comunione
Propongo che anziché cadere in un atteggiamento meramente critico, in base al quale tutte le proposte attuali ci allontanano sempre più dalla fede, cerchiamo di trovare questi punti di incontro e di riscattare ciò che hanno di positivo, per mostrare che la nostra fede in Cristo è un cammino che cerca la felicità, che anziché reprimerci punta alla libertà, che conosce i desideri e le inquietudini più profondi dell’essere umano.
Ovviamente non dobbiamo essere ingenui o cadere in un entusiasmo infantile, pensando che ciò che accade attualmente sia una sorta di anticamera che sta “preparando il terreno” perché sia magari più facile aprirsi alle verità della nostra fede.
Concludo con una delle affermazioni finali della dottoressa Santos. Le culture e le religioni che alcuni decenni fa si vivevano con un’intensità molto maggiore aiutavano a far sì che le persone avessero atteggiamenti molto più positivi nei confronti della felicità. Una vita religiosa si oppone al fatto di cadere negli egoismi, chiedendoci piuttosto di avere quell’atteggiamento caritatevole che è il comandamento principale che ci insegna Gesù Cristo, nostro Signore.