Il tragico fatto di cronaca ci spinge a ricordare che esistono tante possibilità di aiuto a sostegno di gravidanze difficili, dal concepimento al parto. Non lasciamo sole le donne in balia di ipotesi angosciose come aborto e abbandono. Un tragico abbandono è accaduto nella mattinata di due giorni fa, martedì 19 novembre a Campi Bisenzio in provincia di Firenze:
[…] il corpo di una neonata – probabilmente partorita al nono mese – è stato trovato in una borsa abbandonata davanti a una farmacia dell’Indicatore, nel comune di Campi Bisenzio. Il rinvenimento è avvenuto intorno alle ore 11.45 da parte del personale della farmacia comunale Farmapiana Spa, che si è accorto della presenza della borsa abbandonata accanto al raccoglitore dei farmaci. (da Firenze Today)
Non è stato possibile salvarla e con ogni probabilità l’ipotermia ha causato il decesso. La piccola aveva un maglioncino ed era avvolta in una coperta, la cerniera della borsa in cui era stata deposta era semiaperta ed è stata rinvenuta vicino a una farmacia: questi elementi fanno presagire una premura in chi l’ha abbandonata, il desiderio che fosse affidata a qualcuno in grado di aiutarla.
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Per quanto contorta possa apparire l’ipotesi di un abbandono-premuroso, è invece doveroso ricordarsi che l’umano ospita contraddizioni sensate nel proprio animo. Nulla sappiamo dei genitori della bambina, della madre in particolare, ma non è assurdo pensare che questo abbandono così grave fosse segnato da un affetto sincero. Impossibile pensare che il vincolo materno si spezzi senza difficoltà, tutto lascia presagire l’ipotesi di un bisogno grande a cui non è stata trovata una risposta positiva alternativa.
La procura di Firenze ha aperto un fascicolo di indagine ipotizzando il reato di infanticidio, ed è il percorso legale appropriato. Ma a noi comunità umana spetta un altro compito, altrettanto necessario e che comincia dall’immagine contraddittoria di una madre che infila un maglioncino e avvolge in una coperta la neonata che sta per abbandonare. Cosa è mancato alla nostra vista? Quel bisogno umano che ha costretto una donna a un aut aut così estremo poteva essere intercettato? Sì. La capillarità con cui si diffondono messaggi sulla via facile dell’aborto-sempre-e-comunque ha reso le nostre orecchie e i nostri occhi impigriti ad accogliere le storie umane che ci sfiorano. Ormai si innesta con estrema noncuranza il pensiero automatico: “Tanto se c’è un qualsiasi problema, la donna può abortire”.
Casi tragici come quelli di Campi Bisenzio ci offrono l’ennesima nuova e particolare conferma che la cultura dell’aborto non solo è, evidentemente, lesiva dell’umano ma non è neppure una risposta adeguata alle tante sfumature di vita che la realtà ospita. Aborto è una risposta unica a milioni di domande ferite e concrete delle donne; banalmente, è come la strategia menefreghista di propinare una compressa di tachipirina a chiunque abbia ogni genere di malessere. E ho usato una metafora imperfetta, perché la tachipirina non sopprime la vita altrui …
Se ci spostiamo sul versante di chi tutela la vita, invece, troviamo un campo fiorito di proposte, solerte nel cercare di creare occasioni il più possibile capillari nell’incontrare le maternità difficili. Dal concepimento al parto ci sono modi concreti per non arrivare a gesti estremi di morte o abbandono. Visto che la teoria sul bene prezioso che è ogni vita ce la ricordiamo spesso e volentieri (con grande gioia!), oggi giova ribadire con asciutezza informativa e di pubblica utilità tutti i modi in cui l’aiuto a una ragazza o a una donna o a una coppia che si confrontano con una gravidanza inattesa o problematica possono trovare mani tese.
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scopro di essere incinta e vado nel panico. Chi mi aiuta?
Cominciamo da un numero di telefono, attivo in tutta Italia che permette di fare la cosa più semplice: parlare con qualcuno senza spostarsi da casa, senza doversi esporre di persona. C’è SOS VITA: il numero da digitare è 800813000. L’intento delle persone che rispondono è quello di ascoltare, condividere, comprendere e sostenere donne e coppie che si trovano ad affrontare una gravidanza difficile da accogliere, difficile da vivere. Il servizio è in totale riservatezza e, qualora incontri il desiderio dell’interessata o interessati, può suggerire enti a cui rivolgersi nella propria zona di provenienza.
Non bisogna cedere alla pressione subdola di chi estirpa problemi rifilando pillole. Ogni persona ha innazitutto bisogno di essere trattata da persona, cioé essere ascoltata dentro una relazione vera. L’anonimato può essere una via di incontro autentico, perché è molto comprensibile che sia ostico esporre problemi o dubbi radicati nella parte più intima di noi.
sono incinta e ho tanti dubbi. Chi li ascolta?
Nonostante la si riduca nell’alveo della propaganda pro aborto, la legge 140 del 1978 contempla la maternità difficile come un’esperienza a cui bisogna prestare premurosa cura. Giova quindi ricordare che proprio in quel testo di legge si ridadisce che il ruolo dei consultori familiari è di primaria importanza per assistere le donne in difficoltà,
contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza. I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita. (da Ministero della Salute)
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In prima linea tra chi si occupa di farsi carico dell’assistenza di maternità difficili ci sono i CAV (centri di aiuto alla vita), distribuiti in tutta Italia. Per trovarli nella zona più vicina è sufficiente una ricerca con Google (ad es: “cav torino”) e molti di essi hanno anche una pagina Facebook. Cosa offrono? Un aiuto concreto e anche supporto emotivo. Una grande donna come Paola Bonzi, che si è spesa fino all’ultimo secondo di vita per questo progetto, ha spesso ricordato che i motivi prevalenti che portano a un’interruzione di gravidanza sono di natura economica; ecco allora che il CAV si fa portavoce di una speranza tangibile, costruisce con la mamma o la coppia un percorso di aiuto fatto della concretezza di pannolini e pappe ma anche di supporto nella ricerca di un alloggio o dell’inserimento lavorativo. E anche nei casi in cui il fattore dell’indigenza non è rilevante, entrare al CAV significa essere accolti in uno spazio di ascolto, senza giudizio e con la premura di tutelare appieno la libertà della donna in difficoltà.
Proprio contemporaneamente al tragico fatto di Campi Bisenzio, una notizia di segno contrario è giunta da Forlì il cui Comune inserirà, caso finora unico, il «diritto di non abortire» tra i punti del programma di amministrazione. È un ribaltamento del pensiero ormai accreditato come dominante, che vorrebbe associare il diritto nel senso unico di interrompere la vita. Una madre in difficoltà ha parimenti diritto a sentirsi offrire una via reale di sostegno alla sua gravidanza. Questo rovesciamento proficuo è stato possibile a Forlì, dove esiste già un protocollo unico in Italia che ha come motore propositivo proprio il CAV della città:
il Comune di Forlì ha stilato fin dall’anno 2007 uno specifico Protocollo operativo con la Ausl e la Consulta Comunale delle Famiglie (in rappresentanza di 23 associazioni del terzo settore) per realizzare sul nostro territorio quanto previsto dagli artt. 2 e 5 della L. 194/78. I contenuti operativi di detto Protocollo sono stati addirittura recepiti come “buona prassi” nelle Linee Guida che la Giunta della Regione Emilia-Romagna ha elaborato fin dal 20 ottobre 2008 per la tutela sociale della maternità. (da Forlì Today)
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sono arrivata a termine gravidanza ma non voglio tenere il bambino. Come faccio?
Possono essere davvero tante e dolorose le motivazioni per cui una donna porta nove mesi in grembo un figlio e poi non vede alcuna via d’uscita se non quella separarsi da lui. La realtà può tessere ragnatele di situazioni che diventano gabbie tremende, per questo anche il giudizio su una madre che abbandona un figlio deve rimanere sospeso. Forse l’unico giudizio sensato è da rivolgere alla comunità stessa (a noi) che non è arrivata in tempo ad afferrare la mano di chi stava navigando nel buio pesto. Ma qualunque cappio, ombra o scelta ci siano a monte, l’abbandono di un neonato può davvero essere evitato.
Ricordiamo che l’Italia tutela il parto in anonimato e garantisce il diritto di non riconoscere il proprio figlio:
La donna che non riconosce e il neonato sono i due soggetti che la legge deve tutelare, intesi come persone distinte, ognuno con specifici diritti. La legge consente alla madre di non riconoscere il bambino e di lasciarlo nell’Ospedale dove è nato affinché sia assicurata l’assistenza e anche la sua tutela giuridica. Il nome della madre rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto “nato da donna che non consente di essere nominata”(DPR 396/2000, art. 30, comma 2)
Se poi, per le ragioni più disparate possibili il parto avvenisse in casa o in luoghi diversi dall’ospedale, esiste la possibilità di lasciare il neonato nelle Culle per la vita: si tratta di strutture concepite appositamente per permettere di lasciare, totalmente protetti, i neonati e dotate di una serie di dispositivi (riscaldamento, chiusura in sicurezza della botola, presidio di controllo h 24 e rete con il servizio di soccorso medico) per salvaguardare le sue condizioni.
Si trovano di solito in prossimità di un ospedale e garantiscono l’assoluto rispetto della privacy di chi lo deposita. E per quanto una donna possa sentire un senso di colpa nel compiere questo gesto, deve invece pensare che anche questo gesto estremo è un atto di premura.
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Certo, meglio sarebbe trovare prima la via di un incontro con chi vive drammi che portano al rifiuto di un neonato, ma è altrettanto necessario diffondere l’informazione su tutte le possibilità che dal concepimento fin anche alle prime ore dopo il parto ci sono per chi si trovi nella necessità di vivere una gravidanza gravata da ostacoli.