“Cristo non insegna nulla a nessuno, ma con il semplice fatto di essere condotto in sua presenza, si diventa qualcosa”. Il confronto serrato con il fascino di Gesù trasformò il dolore della prigionia di Oscar Wilde in una vera rivelazione.Non è detto che saremo sempre per forza bravi, fedeli, giusti. La vita è fatta di istanti privilegiati di chiarezza, e di cadute poco presentabili. Non è detto che non rinnegheremo ciò che ora ci sembra incrollabile. L’uomo è un mistero di libertà, questo mi sta insegnando la scoperta – ahimé – tardiva di quel genio che fu Oscar Wilde. Lo riteniamo il talentuoso degli aforismi, ignorando forse che la scelta decisiva per la propria vita (convertirsi al cattolicesimo) la fece sul letto di morte alzando una mano in segno affermativo. Lui, che era stato il maestro del fascino esuberante delle parole, disse sì a Cristo con un gesto, incapace di parlare.
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Tra un estremo e l’altro, tra la vita di eccessi e fuochi d’artificio dello scrittore famoso e l’uomo semplice che alla fine della vita volle rifugiarsi tra le braccia di Dio, c’è la storia incredibile di una persona nella sua irriducibile libertà. Se volessimo osservare la figura di Oscar Wilde dal punto di vista letterario scriveremmo enciclopedie sull’estetismo, è già stato fatto ed è un percorso che trascura il cuore di molte ferite irrisolte che lo tormentavano. Se volessimo usare il criterio moralistico degli uomini probi lo giudicheremmo senza scampo un immorale, e perderemmo una buona occasione per ricordarci che la misericordia è un criterio davvero sovversivo.
Oscar Wilde fu un artista eccessivo che amò giocare con le maschere, ma non rifiutò mai il confronto serrato, profondo, con il problema della Verità. Fu capace di perdersi senza freno dietro l’ambizione, il piacere e il successo, amò stare sul piedistallo. Ma contemporaneamente, fuori dalle pose ufficiali in cui si mostrava sempre accattivante, ironico e pungente, c’era sotto pelle una corsa a ostacoli in cui lui fu la preda sfuggente a cui Dio dava la caccia senza demordere.
Una storia d’amore all’ultimo respiro
Le simpatie di Wilde per la fede cristiana, cattolica in particolare, si approfondirono durante gli studi giovanili a Oxford. La sua anima già tormentata da ansie e attese intuì di poter placare le proprie intime avversità abbracciando la Chiesa di Roma. Quando un amico lo invitò a parlare con un sacerdote cattolico, questo prete uscì dal colloquio con Wilde delineandone un ritratto profetico:
Dietro la patina superficiale della sua vanità e dei suoi discorsi sciocchi c’è, ne sono convinto, qualcosa di più profondo e sincero, inclusa una genuina attrazione per la fede cattolica. Ma non è ancora il momento giusto. Il dito di Dio non l’ha ancora toccato. Arriverà, ne sono convinto, una crisi nella sua vita che gli mostrerà l’Arco di San Pietro come unico rifugio. Fino a quel momento possiamo pregare. (da Joseph Pearce, The Unmasking of Oscar Wilde)
Fu così. Quando venne il momento di fare seriamente i conti con quest’ispirazione giovanile, Oscar si rese conto con piena consapevolezza che da una parte stava la via che portava alla Chiesa di Roma e dall’altra la strada dei soldi e dell’ambizione. Scelse quest’ultima e ci bazzicò in tutti i modi possibili: il mondo gli offrì gloria, fama, elogi, piaceri sfrenati … e poi chiese un conto molto alto da pagare. Assetato di bellezza, perfezione, gusto si trovò a bere da tutte le coppe che la vita artistica e mondana gli offrì. Assetato di amore lo praticò in modo sfrenato e smodato. A differenza degli ipocriti, fu candido nel suo essere pienamente immorale, non censurò nulla né si nascose dietro facili paraventi. Peccò in grande. Perché ci sono anche modi contorti e perversi per non staccarsi dall’evidenza che la nostra anima è fatta di una sete infinita.
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Venne la crisi e fu tremenda. Nel 1895 la sua relazione amorosa, complicata e a tratti snervante con Alfred Douglas, fu causa di un processo che vide Oscar Wilde accusato di sodomia. Fu condannato al carcere e ai lavori forzati. Il mondo intero gli voltò le spalle in modo ignobile, lui precipitò nel buio di un dolore che lo ripulì. E’ su questi due anni di prigione che apriamo una finestra, senza la presunzione di voler etichettare un uomo. Sarebbe assurdo volerlo fare con chiunque, Wilde men che meno tollera un giudizio chiuso e asfittico. La speranza che esce dalla sua storia non è tanto quella di una redenzione possibile sempre a tutti, ma semmai dell’incessante “caccia all’uomo” che Dio non si stanca di fare anche a fronte di mille voltafaccia dell’uomo.
A taluni capita il privilegio di trascorrere un’intera vita in compagnia di Dio, ad altri di rifiutarlo per sempre, ad altri ancora di amarlo e poi rinnegarlo, ad altri ancora di rinnegarlo per poi abbracciarlo senza ritegno. All’altalenante discrezione con cui la libertà umana vaglia ciò a cui aggrapparsi, corrisponde la fedeltà cocciuta di Dio che sempre bracca ogni anima da vicino … e persino di più quelle che lo ignorano. Si accorse anche di questo Wilde in prigione:
Avevo toccato la mia anima, oserei dire, nella sua ultima essenza. Ne ero stato il nemico, in molti modi, ma infine la trovai ad aspettarmi come un amico. Venire in contatto con la propria anima rende semplici al pari di un bambino, proprio come Cristo ci raccomandò di essere.
Siamo noi che possiamo fuggire lontano da Lui, ma ogni qualvolta vorremo riavvicinarci Lo troveremo in spasimante attesa di noi. La citazione appena riportata è presa dalla lunga lettera che Oscar Wilde scrisse in carcere, di getto, e che fu pubblicata con il titolo di De profundis. Da questo testo meraviglioso vogliamo proporvi alcuni passaggi che documentano come, nel momento di massima sofferenza, Wilde ritrovò uno sguardo limpidissimo con cui osò fissare Gesù. Le parole si fanno incandescenti, non più solo affascinanti e accattivanti. Brucia un’anima commossa dietro ogni intuizione. Perché tutti lo avevano abbandonato o tradito, ma Gesù era rimasto fedele ad attenderlo. In prigione l’artista lasciò il posto a un uomo che ripartiva da capo ogni giorno da un gesto semplice:
e ogni mattina, dopo aver pulito la cella e lavato la gavetta, leggo un poco dei Vangeli, una dozzina di versi presi a caso. È un modo bellissimo per iniziare la giornata.
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Il momento più cupo della vita gli portò in dono un’autentica riscoperta di Dio che poi, uscito dal carcere, riuscì nuovamente a tradire e lasciarsi alle spalle fino al letto di morte. E se c’è un debito che tutti abbiamo nei confronti del signor Wilde non è quello di averci offerto con i suoi mille aforismi la frase giusta da sfornare in ogni occasione, bensì la speranza che la misericordia non è un idolo ma un incontro sempre possibile. Possiamo sbeffeggiarla, tradirla, insultarla eppure non ci verrà negata se ci inginocchieremo a lei con l’ultimo respiro e con l’ultimo afflato di lacrime sincere. Dio è capace di aspettare il nostro sì per una vita intera. E lungo la strada ci tende degli agguati; ecco alcuni passi del De Profundis in cui l’uomo Oscar Wilde fissò senza veli il Dio fatto Uomo.