Il “poverello di Assisi” è stato il primo ad aver messo da parte azioni come denigrare, isolare e tollerare, sostituendole con dialogo, integrazione e accoglienza. E lo ha fatto con gesti concreti
San Francesco d’Assisi le avrebbe utilizzate in modo diverso. Stiamo parlando delle tre parole che rappresentano le “strade” delle relazioni tra le persone: dialogare, integrare, accogliere, termini diventati spesso tabù, che invece sono stati una bussola nella vita del santo di Assisi.
In “Francesco e il sultano” (edizioni San Paolo), Padre Enzo Fortunato spiega come Francesco avrebbe insegnato ad un uso corretto di questi termini.
Il dialogo con il Sultano
La parola dialogo di matrice greca ci dice tutto: dialogare è l’intrecciarsi, dià-, di due logoi, pensieri sentimenti e concezioni differenti. In questa luce, Francesco che 800 anni fa raggiunge il sultano Malik al-Kamil diventa il patrono del dialogo.
Al Sultano d’Egitto il Poverello d’Assisi non portò dogmi, né si rivolse con toni minacciosi, ma, spiega Padre Fortunato, aprì semplicemente il cuore nella speranza di donargli quel saluto di “pace e di bene” che è carico di profezia, di amore, di amicizia, di rispetto, di dignitoso riconoscimento e di benevola accoglienza. San Francesco inaugurò la terza via, quella del dialogo, del rispetto, dell’incontro fraterno, che è più della tolleranza.
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Non basta “tollerare”
Infatti, “tollerare” la presenza dell’altro è qualcosa di passivo, di negativo, e può sfociare solo nell’emarginazione o nel conflitto. È un’azione, un modo di pensare e di vivere, che non solo non favorisce l’accoglienza, né si apre al dialogo, all’incontro, alla relazione. «Tollerare fino a un certo punto», determina isolamento e conflitti, e tende a relegare lo straniero in un angolo, ai confini delle città, nelle periferie del mondo e dei confini degli Stati.
Ma, si legge in “Francesco e il sultano”, ognuno di noi, nonostante continui rigurgiti razzisti, appartiene a un orizzonte generazionale unico, l’umanità, che è il continente di cui siamo porzione.
Le vie sbagliate
L’incontro non può essere uno scontro. Eppure ci sono stati errori passati, evidenziati in “Francesco e il sultano” commessi, in tal senso, anche dall’istituzione ecclesiastica.
La via della Chiesa, in pieno Medioevo, fu purtroppo quella delle crociate, o denigrazione, e si rivelò un percorso sbagliato, difficile, tragico. La guerra produce solo morti e sconfitte: perché non è mai chiara la distinzione tra vinti e vincitori. Lo stesso Francesco ne sperimentò il fallimento: rientrò ad Assisi senza più il sogno di essere cavaliere perché la guerra gli aveva provocato ferite, sofferenze, crisi.
Una seconda via fu, ed è ancora per molti, quella dell’isolamento e dell’emarginazione, ma oggi non avrebbe più senso, perché siamo nell’era della globalizzazione.
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L’unico principio possibile
La nostra fede è, invece, dialogica, capace di accogliere e d’integrare le diversità. Difatti, l’altro c’è, vive accanto a me, e non è più il nostro nemico o un estraneo che posso mettere da parte con indifferenza.
In realtà, spiega Padre Fortunato, non sarà la tolleranza a salvare il mondo. Non sarà sufficiente neppure il riconoscimento della multiculturalità dei popoli e delle nazioni e delle comunità. Perché non ci sono più mondi isolati né arcipelaghi felici dove abitare: siamo gli uni accanto agli altri.
È necessario, perciò, seguire il principio dell’accoglienza e dell’incontro, dell’inculturazione e dell’integrazione.
Principio che Francesco d’Assisi fece proprio, imitando in tutto, sine glossa, la logica dell’incarnazione, di un Dio che si fa uomo e assume tutto di noi, finanche il peccato e le fragilità, senza paure o riserve, ma con generosità, con quell’amore che copre tutto e salva!
Cosa direbbe San Francesco
Oggi San Francesco ci direbbe che l’altro non può restare ai confini delle città, ai bordi delle periferie, come un rifiuto umano. San Francesco è andato a cercare il Sultano e, al di là di quello che in positivo e in negativo si scrive a tal proposito – contro i buonisti o a favore dei fondamentalisti (dipende dal modo di leggere le fonti francescane e il metodo d’analisi della storia del tempo) – il prossimo, se c’è, se vive accanto a noi, fa parte a pieno titolo della nostra città, di questo mondo, delle regioni e province e distretti da noi costruiti. Francesco direbbe ancora una volta ai suoi frati che la prossimità ci riguarda: siamo gli uni prossimi agli altri e degli altri.
È questo lo “spirito di Assisi” e la grande “profezia della pace” che san Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, e l’attuale Pontefice, Papa Francesco, hanno portato avanti, anche se con accenti diversi.
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