Il nome di Kayla Mueller, detenuta dallo Stato Islamico per più di due anni, è stato dato all’operazione che ha lo scorso 26 ottobre ha condotto all’eliminazione di Abu Bakr Al-Baghdadi. Prima di essere uccisa, nel 2015, aveva spedito una lettera molto intima alla sua famiglia: vi traspariva una profonda e radicata fede in Dio.
«Non abbiate paura per me, continuate a pregare e io farò lo stesso. A Dio piacendo, presto saremo riuniti», scriveva Kayla Mueller concludendo una lettera trasmessa ai suoi genitori nella primavera del 2014. Domenica 27 ottobre 2019 il presidente americano Donald Trump ha informato ufficialmente che l’operazione delle forze speciali della sera prima avrebbe avuto il nome della loro figlia. Il suo decesso era stato confermato dalla Casa Bianca nel 2015.
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Originaria dell’Arizona, Kayla Mueller aveva lavorato tra il 2009 e il 2011 per delle associazioni umanitarie in India e Israele, prima di entrare nell’associazione Danish Refugee Council, in Medio Oriente. Nel 2012 attraversava la frontiera turco-siriana per venire in aiuto alle famiglie costrette dalle truppe jihadiste a lasciare le loro case. Aveva all’epoca 23 anni. Un anno prima, Kayla Mueller spiegava a suo padre che trovava Dio «negli occhi di quelli che soffrono». Rapita ad Aleppo, nel nord della Siria, nel 2013, fu consegnata ad Al-Baghdadi, il quale l’avrebbe violentata a più riprese prima di ucciderla.
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«Veniva portata nella stanza di Al-Baghdadi, poi ne tornava piangendo e raccontando alle ragazze quel che vi era accaduto», raccontava la madre al New York Times. Due giovani yazide, tenute prigioniere con l’americana prima di fuggire, hanno raccontato alle autorità che Kayla faceva tutto quanto poteva per proteggere le sue giovani compagne di prigionia, anche a costo di mettersi in pericolo.
«In ogni situazione c’è del buono»
Sono probabilmente queste due superstiti che hanno potuto far passare l’ultima lettera di Kayla Mueller ai suoi genitori, un anno prima della sua morte.
Non ho potuto scrivere questa lettera che un solo paragrafo per volta – spiegava –, perché il semplice fatto di pensare a voi mi faceva sciogliere in lacrime.
Vi raccontava come si era “abbandonata” a Dio:
Mi ricordo di mamma, che diceva come alla fine la sola persona a cui ci si possa rivolgere sia Dio. Sono arrivata a un punto in cui, in tutti i sensi del termine, mi sono abbandonata al nostro Creatore, perché letteralmente non c’è alcun altro. Grazie a Dio e alle vostre preghiere, mi sono lasciata cullare teneramente. Ho trovato la luce nell’oscurità e ho appreso che anche in prigione si può essere liberi. Ne sono grata. Sono giunta a comprendere che in tutte le situazioni c’è del buono, alle volte basta cercare.
All’annuncio della morte del capo dello Stato Islamico, Donald Trump ha reso omaggio a «una bella e giovane donna», che era andata in Siria per «aiutare la gente». Il corpo dell’ex prigioniera di Al-Baghdadi non è mai stato ritrovato. I suoi genitori conservano un’infima speranza di poterla rivedere un giorno: «Per quell’1% di possibilità non ci è lecito abbandonare la speranza», ha dichiarato lunedì scorso sua madre, Marsha Mueller, alla televisione locale KPHO. Ed ha aggiunto:
Vogliamo che Kayla torni a casa, so che può sembrare impossibile ma dopo quello che abbiamo vissuto e le cose che ci sono capitate io credo che possiamo ritrovarla.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]