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Ordinazione di “viri probati”: dov’è la difficoltà?

ORDINATION,NEW YORK,CARDINAL DOLAN
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Thomas Michelet - pubblicato il 31/10/19
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L’Assemblea Speciale del Sinodo sull’Amazzonia ha evocato la possibilità di giungere localmente all’ordinazione di “viri probati”. Le ragioni dell’abbandono di questa pratica dalla Chiesa latina nel XII secolo sono scarsamente note. Professore di teologia alla Pontificia Università di San Tommaso d’Aquino, frate Thomas Michelet spiega che non si tratta di una semplice questione di convenienza.

Ordinare dei viri probati – degli uomini sposati di età matura – la Chiesa lo faceva fino al XII secolo. Dov’è allora la difficoltà? Al momento dell’ordinazione, codesti viri probati s’impegnavano in presenza della moglie a vivere da quel momento in poi a mo’ di fratello e sorella, vale a dire in continenza perfetta. Ragione per la quale si trattava di uomini di età matura: avevano superato l’età in cui si fanno figli e non ne avevano piú a carico.

Una regola apostolica

All’epoca, la Chiesa insegnava di tenere per regola questa in quanto ricevuta dagli apostoli. Ecco perché essa l’ha sempre fatta osservare, malgrado le forti opposizioni e le grandi difficoltà pratiche. Gli uomini di allora non erano per natura piú inclini al celibato di quelli di oggi, e anzi la natura spesso aveva la meglio. Abbiamo delle testimonianze di vescovi che tornavano a vivere con la moglie (la moglie legittima!) e che sono stati deposti dal loro ufficio per questa ragione – i due finivano i loro giorni in penitenza monastica.


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Il celibato è sempre stato qualcosa di difficile da far rispettare e la Chiesa non ha potuto imporlo che perché lo riceveva come una regola che s’imponeva da sé. Se cosí non fosse stato, esso sarebbe scomparso da molto tempo! Ed è per questo che nel XII secolo la Chiesa ha deciso di proteggerlo in una maniera piú radicale, non chiamando piú al ministero se non candidati celibi. Lungi dal far scomparire la regola del celibato, essa l’ha dunque voluta rafforzare.

Due tipi di celibato

La difficoltà è che da allora la regola del celibato (celibato relativo, celibato secondo o conseguente: quello di uomini sposati che s’impegnavano al celibato nella loro ordinazione) è stato incluso nel nuovo regime celibatario (celibato assoluto, celibato primo o antecedente: quello di uomini che non sono mai stati sposati). Questo ha comportato due conseguenze.



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Da una parte, si è finito per dimenticare il regime antico e confondere i due tipi di celibato, tanto piú facilmente in quanto si parlava di celibato per entrambi i casi, mentre erano diversi i loro regimi. D’altro canto, poiché questo secondo regime era semplicemente di istituzione ecclesiastica, nonché recente, si è finito per presentare il celibato ecclesiastico stesso (confondendo le due cose) come una semplice questione di disciplina, come qualcosa che la Chiesa aveva deciso e che poteva dunque cambiare. Cosa che finí presto per risultare insopportabile: in nome di cosa la Chiesa può imporlo e perché rifiuta di cambiare?

Il celibato come una necessità

Dimenticando il primo regime, la Chiesa ha pure dimenticato che fino a quel punto essa non presentava il celibato come una opzione o una semplice scelta spirituale (lasciando cioè la possibilità di un’altra scelta), ma come una regola proveniente dagli apostoli e che s’imponeva con forza propria. Certo, c’era una grande convenienza tra questo celibato (il secondo regime) e il sacerdozio, ma una semplice convenienza e non una necessità. Facendo questo, si è dimenticato che la regola del celibato s’imponeva agli uomini sposati a partire dall’ordinazione, e non come una convenienza bensí come una necessità. O perlomeno questo è quanto la Chiesa insegnava fin dall’Antichità.



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In maniera paradossale e lamentabile, quel che nel XII secolo è stato deciso per proteggere e rinforzare il celibato finí piuttosto per fragilizzarlo con una sorta di perdita della memoria. Se si vuole ora tornare indietro, facendo riferimento alla tradizione dei viri probati, allora bisogna farlo fino in fondo e cioè ricordare la regola per la quale al momento dell’ordinazione essi debbono abbracciare il celibato. Altrimenti, ciò costituirebbe una rottura nella tradizione, e dunque una pura innovazione. Ciò sarebbe un rinunciare a qualcosa che la Chiesa latina ha tenuto fin dalle sue origini. Non sarebbe piú la Chiesa fondata sugli apostoli:

Il vero fondamento della vita del sacerdote – disse Benedetto XVI –, il suolo della sua esistenza, la terra della sua vita è Dio stesso. La Chiesa, in questa interpretazione anticotestamentaria dell’esistenza sacerdotale – un’interpretazione che emerge ripetutamente anche nel Salmo 118 [119]  – ha visto con ragione la spiegazione di ciò che significa la missione sacerdotale nella sequela degli Apostoli, nella comunione con Gesù stesso. Il sacerdote può e deve dire anche oggi con il levita: “Dominus pars hereditatis meæ et calicis mei”. Dio stesso è la mia parte di terra, il fondamento esterno ed interno della mia esistenza. Questa teocentricità dell’esistenza sacerdotale è necessaria proprio nel nostro mondo totalmente funzionalistico, nel quale tutto è fondato su prestazioni calcolabili e verificabili. Il sacerdote deve veramente conoscere Dio dal di dentro e portarlo così agli uomini: è questo il servizio prioritario di cui l’umanità di oggi ha bisogno. Se in una vita sacerdotale si perde questa centralità di Dio, si svuota passo passo anche lo zelo dell’agire. Nell’eccesso delle cose esterne manca il centro che dà senso a tutto e lo riconduce all’unità. Lì manca il fondamento della vita, la “terra”, sulla quale tutto questo può stare e prosperare.

Il celibato, che vige per i Vescovi in tutta la Chiesa orientale ed occidentale e, secondo una tradizione che risale a un’epoca vicina a quella degli Apostoli, per i sacerdoti in genere nella Chiesa latina, può essere compreso e vissuto, in definitiva, solo in base a questa impostazione di fondo. Le ragioni solamente pragmatiche, il riferimento alla maggiore disponibilità, non bastano: una tale maggiore disponibilità di tempo potrebbe facilmente diventare anche una forma di egoismo, che si risparmia i sacrifici e le fatiche richieste dall’accettarsi e dal sopportarsi a vicenda nel matrimonio; potrebbe così portare ad un impoverimento spirituale o ad una durezza di cuore. Il vero fondamento del celibato può essere racchiuso solo nella frase: Dominus pars – Tu sei la mia terra. Può essere solo teocentrico.



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[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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