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Faccio scorta della Sua luce perché anche gli altri vedano la bellezza attraente di Cristo

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Chiara Bertoglio - pubblicato il 29/10/19
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Incontrare persone luminose porta a interrogarsi sulla fonte della luce: facciamoci portatori di quella bellezza innestata nella Buona Notizia che ha salvato il mondo.Ogni estate, da tredici anni, dedico una settimana ad insegnare e suonare nell’ambito delle settimane La filosofia nei luoghi del silenzio: una bellissima iniziativa che coniuga bellezza, spiritualità, cultura e relazioni umane, nella cornice (o meglio, nel contesto imprescindibile) di luoghi ricchi di antica sapienza e santità come i monasteri d’Italia.
Quest’anno, il corso è stato, come sempre, molto faticoso e denso, ma anche ricco di inattese e bellissime sorprese. Ho conosciuto persone veramente “belle”, simpatiche, intelligenti, cordiali e generose; una delle partecipanti ha anche realizzato una geniale ed esilarante caricatura della sottoscritta e dei suoi “pallini”, che mi ha fatto ridere come una matta. Porterò nel cuore una signora che ieri mi ha avvicinata, dicendo: “Vorrei farle un regalo”.



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Io, ovviamente, ero incuriosita: la seguo in disparte, e lei comincia a recitarmi una poesia – non so se sua o altrui – che è stata però un momento commovente di “scambio di bellezza”. Un’altra signora, anziana, è rimasta così impressionata dal Requiem di Schnittke, di cui ho proposto una guida all’ascolto, da venirmi a parlare di suo marito, mancato da qualche anno.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=icNHpzt2JzA&w=560&h=315]

Il monastero in cui ci trovavamo era alle pendici del Parco Nazionale del Gran Sasso: nel poco tempo libero, ne ho approfittato per farmi qualche passeggiata nel bosco e, in paese, ho fatto amicizia con un delizioso micetto di pochi mesi che mi ha intenerita moltissimo.
Stupende poi le liturgie a cura di una piccolissima ma “robustissima” comunità monastica di recente fondazione: lunghi momenti di adorazione eucaristica in una piccola, stupenda chiesa romanica fortunatamente risparmiata dal terremoto. Poca luce che filtrava dalle piccole vetrate, simili quasi a feritoie; candele attorno all’altare che creavano un’atmosfera di gioiosa e assorta contemplazione. Canti bellissimi, resi in modo assolutamente perfetto anche agli orecchi di un’esigente musicista: una grande cura nei dettagli che non era estetica fine a se stessa o perfezionismo che si autocompiace, ma un segno di grande rispetto innanzi tutto verso Dio, e poi verso chi partecipava ai momenti di preghiera. Ho anche rivisto, con una stretta al cuore, il bellissimo e antichissimo crocifisso che anni fa avevo contemplato ad Arquata del Tronto, e che ora, simbolo vivente della tragedia del terremoto, si può contemplare nel duomo di Ascoli Piceno.

CROCIFISSO, ARQUATA DEL TRONTO

Arquata del Tronto

Nel corso, abbiamo affrontato ed è emerso profondamente il tema della bellezza e del suo ruolo, soprattutto nella società di oggi e nell’arte che spesso sembra cercare volutamente lo sgradevole e il ripugnante.


VIGNAZIA, SAN GIUSEPPE, PAINTINGS
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Ci ho pensato un bel po’, anche interrogandomi su quella che è la mia specifica sensibilità e ciò che sento un po’ come uno dei miei obiettivi e dei miei sogni nella vita. Come cristiana, mi sento chiamata a portare bellezza intorno a me; una bellezza che non posso darmi o farmi da me stessa, ma che mi è data in dono.

Nello stesso tempo, ritengo importante cercare di nutrirmi di bellezza (nella preghiera, nelle relazioni umane, nell’arte, nella cultura, nella natura), convinta che “diventiamo ciò che contempliamo“, come sostengono i cristiani ortodossi. Anche in questo caso, non si tratta né di una ricerca puramente estetica del “piacevole”, né, tantomeno, di chiudersi in una torre d’avorio al riparo dal male e dalla sofferenza del nostro prossimo. Anzi: secondo me, quanto più ci abbeveriamo alla bellezza vera, alla luce che è trasparenza del mistero dell’amore di Dio, tanto più diventiamo capaci di riversare sull’uomo e sulla donna sofferenti quella luce che ci è stata donata.
Sono anche convinta che, in certa misura, il linguaggio “sia” il messaggio; che, cioè, sia quasi impossibile dire veramente cose belle, e in particolare la “Bella/Buona notizia” che è il Vangelo, con linguaggi “brutti”, con linguaggi che offendono quella sensibilità innata per il bello che è seminata nei nostri cuori e che ci porta, come girasoli, a volgerci quasi inconsapevolmente verso ciò che ci attrae nel profondo.

Credo che la Chiesa, insieme tutti gli uomini di buona volontà che non ne fanno parte ma che condividono la ricerca di senso della vita, dovrebbe preoccuparsi di cercare linguaggi “belli” nelle parole, nel pensiero, nell’arte e nella musica, anche avendo il coraggio di discostarsi dalle “mode del moderno”, che spesso (non sempre, ovviamente) non sono compatibili con l’annuncio del Bello, del Buono e del Vero.

Linguaggi che germinano da nichilismo, disperazione, relativismo sono molto difficili da “evangelizzare”; certo, non impossibili, ma in generale mi sembra che il primo obiettivo dovrebbe essere quello di affidarsi (o di creare, laddove ancora manchi o sia stato distrutto dalla modernità) a linguaggi la cui bellezza corrisponde alla bellezza del messaggio che vogliamo portare.


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Utilizzare lo shock di linguaggi che fanno violenza agli ascoltatori o agli osservatori per annunciare il Vangelo è certamente possibile (in fondo, il Vangelo, come la vita umana, ha le sue “spine”, e volerle ignorare sarebbe tradirne la verità e trasformare la “buona novella” in una soap opera); eppure, io sono profondamente convinta che sia più facile, più giusto e più sicuro portare il bello tramite il bello, il buono tramite il buono e il vero tramite il vero.
Incontrare persone luminose ci affascina e ci porta ad interrogarci sulla fonte della loro luce; incontrare il mistero nella sua bellezza ci attrae e ci avvince; intuire la verità nel suo sfolgorare ci porta a continuare a cercarla.
E solo nella misura in cui ci nutriremo di luce, secondo me, potremo lasciar a nostra volta trasparire la luce in noi, per poterla portare laddove c’è buio, dolore e disperazione.

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DA CHIARA BERTOGLIO

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