Drammatiche le testimonianze dei presbiteri presenti in Siria e nel Kurdistan
Il 9 ottobre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ottenuto il benestare del suo omologo americano Donald Trump, ha lanciato l’operazione militare “Fonte di pace”.
L’obiettivo è creare una zona cuscinetto in un’area profonda 30 chilometri lungo tutto il confine settentrionale siriano di 450 chilometri, dove poi ricollocare un milioni di rifugiati siriani scappati in Turchia.
L’area, abitata da diverse etnie, è attualmente controllata dai curdi e dalle milizie Ypg, che hanno aiutato gli Stati Uniti a riconquistare le città occupate dallo Stato islamico, e che fin dal 2012 hanno creato in tutto il Nord-est della Siria una regione autonoma ribattezzata Amministrazione autonoma della Siria settentrionale e orientale o Rojava.
La Turchia accusa le milizie Ypg di essere terroristi affiliati al Pkk e l’invasione ha anche lo scopo di cacciarle dal confine (Tempi.it, 11 ottobre).
La nuova fuga
I curdi non sono le sole vittime dell’offensiva turca. Nel nord siriano governato dalle milizie curde, vivono infatti altre minoranze tra cui i cristiani, come ricordato anche dal Papa all’Angelus di domenica 13 ottobre.
Ha sottolineato ai microfoni di Vatican News (14 ottobre), monsignor Georges Abou Kazen, vicario apostolico di Aleppo, che è difficile sapere con esattezza il loro numero: prima dell’inizio della guerra i cristiani erano presenti in tutte le principali località del territorio. Molti di loro sono fuggiti, tra il 2014 e il 2017, di fronte all’avanzata dell’Isis, per poi ricollocarsi in Siria dopo la sconfitta dello Stato Islamico.
Ma ora, la prospettiva è che alcuni di loro saranno costretti ad un nuovo esodo a causa dei bombardamenti e dei combattimenti in corso dal 9 ottobre scorso.
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Il francescano: rischio estinzione
«Quando c’è un conflitto colpisce tutti: cristiani, musulmani, curdi», ha spiegato il padre francescano ad Aleppo Firas Lutfi, «ma è certamente la comunità cristiana, presente da due millenni in Siria, ad essere quella maggiormente colpita. Rischiamo la nostra estinzione. I cristiani sono una parte essenziale della società – una parte fondante direi – e rischiano di essere annientati e cancellati dalla memoria della Siria» (Vatican News, 14 ottobre).
“Attaccati i quartieri cristiani di Qamishil
Che la situazione sia incandescente, lo testimonia sempre a Tempi.it Afram Yakoub, direttore generale della Confederazione assira:
«I cristiani in Siria sono spaventati, non sanno dove andare o dove nascondersi. I turchi hanno attaccato i loro quartieri di Qamishli, ma lo hanno fatto per rispondere al fuoco curdo, che sta usando i cristiani per combattere una guerra mediatica».
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La testimonianza di Padre Samir
Padre Samir Youssef, parroco della diocesi di Amadiya, nel Kurdistan iracheno, riferisce ad Asianews (17 ottobre) di racconti che «confermano i bombardamenti turchi sulle città». Le televisioni locali rilanciano «immagini drammatiche di civili uccisi, a Qamishli sono morti anche dei cristiani nei primi giorni dell’offensiva». Qui, prosegue, «ci sono già famiglie venute nel 2013, ai primi tempi della guerra e non sono più andate via. Altre si preparano ad arrivare».
«Siamo di fronte – spiega padre Samir – a gente che sta soffrendo molto. Alcune famiglie erano tornate in Siria, nelle terre di origine, per ricominciare una nuova vita e si sono viste costrette a fuggire di nuovo. Nel recente passato la presenza degli americani aveva garantito una certa stabilità nel nord-est della Siria, la loro partenza e l’offensiva turca ha stravolto la situazione e le famiglie hanno deciso di tornare nel Kurdistan».
La “bomba” Kurdistan
«Abbiamo parlato con i sacerdoti della zona [teatro delle violenze] – prosegue – e da quello che sappiamo vi sono anche alcune famiglie cristiane in fuga da Hassaké e Qamishli, che hanno già trovato accoglienza e riparo fra i parenti ad Ankawa ed Erbil».
Tuttavia «le partenze continuano ed è forte il rischio di un vero e proprio esodo» verso il Kurdistan irakeno che non può ospitare tutti, dando così origine a una ulteriore destabilizzazione. «Non abbiamo più gli aiuti dalla comunità internazionale – conclude padre Samir – mentre il numero di profughi curdi, cristiani, arabi sunniti è sempre più grande. Sono sempre più frequenti le scene di bambini per strada a chiedere l’elemosina… il Kurdistan da solo non può affrontare l’emergenza».
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