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Confine Messico-Usa: i migranti stremati accolti da una suora. In un night club

La suora che ha trasformato il locale notturno in un luogo d'accoglienza per migranti

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 12/10/19
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Niente cubiste e musica ad alto volume: stiamo parlando di un luogo d’accoglienza gestito con la regia di una religiosa e della Caritas

Ha trasformato un vecchio night club abbandonato, in un centro di accoglienza per i migranti che superano il confine tra Messico e Usa.

Suor Norma Pimentel gestisce diversi luoghi d’accoglienza e lavora per la Caritas. E’ figlia di migranti, poiché è nata in Messico ed è emigrata negli Stati Uniti all’età di 10 anni con i genitori. Quindi sa bene cosa significa lasciare casa propria e tentare di costruirsi una nuova vita in un Paese diverso dal proprio.

“Ero straniero e mi avete accolto”

A lei è andata bene. Dopo una serie di studi accademici e i voti religiosi, da oltre un decennio è alla guida della Caritas della regione del Rio Grande in Texas nella diocesi di Brownsville.

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Lo «slogan» che muove il cuore di questa religiosa americana è radicato in un versetto del Vangelo «Ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25,35). Suor Norma ha dato ormai tutta la sua vita nell’accoglienza dei migranti, al border, al confine dei muri che la storia statunitense più o meno recente ha reso celebri.



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130mila persone

Al confine, senza polemiche, lei accoglie da anni e anni mamme e bambini oppure anche solo minorenni, come avvenne nel 2014 quando al confine in pochi mesi di presentarono 130 mila persone, molti di loro erano minorenni (www.catt.ch, 4 luglio 2018).

I migranti arrivano da El Salvador, Honduras, Guatemala, i paesi del cosiddetto “triangolo della morte”. Numerosi anche quelli che scappano dal Messico. Buona parte viene convogliata in strutture d’accoglienza che la Caritas prova a gestire. Strutture di ogni tipo, proprio come il night club.

Agensir (10 ottobre), è andato a scoprire questo singolare luogo d’accgolienza. L’ingresso del centro, nella città di McAllen, è buio, come si addice ad una pista per balli e spettacoli. Qualche neon illumina l’angolo bar ora farmacia, dove sono impilate le cartoline preparate dai bambini della città come segno di accoglienza e la zona guardaroba, ora banco per la registrazione e improvvisata sala d’attesa.

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Docce e sala mensa

Seguendo le frecce sul pavimento ci si ritrova nella sala mensa e nella rudimentale “boutique”, dove la luce naturale – scrive Agensir – risplende su centinaia di materassi impilati ordinatamente e sulle scatole e gli scaffali di vestiti organizzati per taglia. Nella sala successiva accanto alle docce artigianali c’è la sala mensa dove i volontari stanno preparando i sandwich e le bottiglie d’acqua in attesa degli ultimi arrivati.

Ed eccoli i migranti arrivare e varcare la porta del night smarriti e increduli. Tutti loro tengono per mano o in braccio un bambino o una bambina.

Alcuni hanno tra i sei e i sette anni e hanno camminato anche per 31 giorni. Una processione quotidiana. Come quella di Carmen e Juan, hounduregni.

La storia di Carmen e Juan

Carmen e Juan parlano solo spagnolo e hanno un bimbo di sei anni che non si stacca dal collo del papà. Mentre i loro compagni di avventura si siedono in attesa di essere registrati, Carmen e Juan si inginocchiano e si abbracciano. Su quella scrostata sedia blu poggiano la fronte e pregano in lacrime, stringendo in mezzo il piccolo.

Da quell’altare improvvisato levano un canto di gratitudine, certi che il Dio dei poveri li ascolta, anche se inginocchiati sul pavimento nero di un ex night club.

Il loro caso si aggiungerà agli altri 900 mila in attesa nei tribunali americani, dove una richiesta d’asilo impiega circa due anni prima di arrivare sul tavolo di un giudice e decidere per la permanenza o il rimpatrio. Intanto almeno per oggi, respirano libertà e respirano senza paura.


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