La bellissima catechesi di Don Dario Criscuoli per l’incontro del primo lunedì del mese ai Santi Quattro, “sede” del monastero wifi per i romani.
Quello che segue è il link dal quale potete ascoltare la catechesi dell’incontro mensile ai Santi Quattro (ogni primo lunedì del mese, alle 20: il prossimo il 4 novembre). Questo mese è venuto don Dario Criscuoli, e pur essendo arrivata all’incontro sull’orlo dello svenimento da sonno, quando ha iniziato a parlare avrei voluto che non finisse mai (e sì che è durato…).
Per chi non lo sapesse, don Dario, da poco responsabile della pastorale familiare della diocesi di Roma, si è trasferito dalla parrocchia di Sant’Alfonso a Prima Porta, a santa Anastasia al Palatino, la chiesa dove c’è l’adorazione perpetua giorno e notte ininterrotta dal 2000, e che custodisce il vero sacro manto di san Giuseppe e un pezzo del velo di Maria. Ieri c’era un folto gruppo di suoi ex-parrocchiani che hanno attraversato la città, peraltro a un orario scomodissimo, per venire ad ascoltarlo, segno che quando uno semina amore, ne raccoglie a manciate.
Per chi non ha tempo di ascoltare – ma vi consiglio di farlo – trascrivo brevemente i miei appunti, omettendo le note a margine tipo “comprare ammorbidente”, “segnare le date dei consigli di classe delle medie”, e tutte le altre cose moleste che mi vengono in mente ogni volta che cerco di concentrarmi su qualcosa.
Il brano è come sempre quello della domenica successiva all’incontro, in questo caso quello dei dieci lebbrosi guariti da Gesù in viaggio (Lc 17, 11-19), uno solo dei quali torna indietro a ringraziarlo.
Cose da tenere nel cuore: Gesù lo incontriamo spesso camminando, il giusto cammina sempre. Ma per avere salvezza e pienezza è necessario attraversare la valle del pianto. Solo Cristo promette salvezza e pienezza, ma non tutti la vogliono. Molti preferiscono accontentarsi. Ma non è vero che “chi si accontenta gode”. Piuttosto “chi si accontenta è un cretino”.
I lebbrosi sono dieci. Dieci è un numero importante per gli ebrei. Dieci è il numero minimo per poter costituire un’assemblea. E’ il numero delle dita. E’ il numero dell’azione umana.
Sono dieci, e sono malati. Tutti noi siamo malati: nelle reazioni, nelle scelte, nelle abitudini, nei pensieri orribili, insensati, nelle cose indicibili che diciamo o che vorremmo dire, noi siamo impresentabili, se solo si alzasse il sipario sul nostro cuore! La gente è pazza (che poi è la traduzione del “lagentestamale” con cui io e la mia amica R. concludiamo praticamente tutte le telefonate, ndr).
La sorella di Mosè, Maria, per esempio diventa lebbrosa a causa della mormorazione. La mormorazione è un peccato, e dietro c’è sempre una persona che non vuole stare al suo posto, come capita spesso anche a noi (sempre?): io lì non ci voglio stare, io mai mi sarei voluto trovare in questa situazione, ma perché proprio a me, e via lamentandoci.
Davanti al dolore e al caos che vivono i lebbrosi – esclusi dalla vita sociale, affettiva, lavorativa – cioè davanti a noi, che viviamo nel caos, che siamo circondati da peccatori che fanno cose incomprensibili, Gesù come si pone?
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Intanto i lebbrosi sono i primi a chiamare Gesù con il suo nome: Gesù, maestro, abbi pietà di noi. Solo il cieco e il ladrone lo chiamano per nome, cioè hanno un desiderio di intimità con lui, e se la meritano perché peccatori. La nostra cattiveria è il solo titolo di merito che abbiamo, per entrare in intimità con lui. Loro danno del tu a Gesù, e lui dice loro “ti capisco”, che è la frase più bella che puoi dire a qualcuno (non “ti amo”). Ti capisco, ti dice Dio, hai fatto questo perché proprio non ne potevi più. Ti capisco.
Il Signore prova a dirti che hai diritto a essere salvato. Tutti i fatti della tua vita te lo stanno dicendo, Gesù permette periodi duri, faticosi, silenzi lunghi perché tu capisca.
I lebbrosi furono salvati mentre stavano camminando: la virtù ha bisogno di tempo, di fatica, non è una condizione statica ottenuta una volta per tutte. L’umiltà, la castità, il perdono, sono sempre frutto di un cammino. La castità, che vuol dire amare sul serio, ha delle regole di crescita che conosce delle tappe attraversate dal peccato. Oggi la Parola ti dice “non bloccarti se la tua storia è diversa da quella che avevi pensato. Non bloccarti se hai un dubbio, se hai paura (dubbio e paura sono segni molto gravi di intelligenza). Non bloccarti, e se non te la senti, sentitela (ormai un topos letterario, ndr). Non bloccarti, vai avanti, cresci, sappi che l’amore è sempre nuovo, arrenditi alla tua storia, (che poi è il tema del mio prossimo libro ndr2), prega, credici e prega ancora, perché il Signore ti chiede solo delle cose che puoi fare, in modo che poi lui faccia quello che deve fare.
Uno solo, uno straniero torna indietro a ringraziare: cercare e trovare chi ti ha guarito vale più che guarire dalla lebbra. Cristo è quello che ti ha capito, amato, perdonato. Noi non vorremmo guardare al nostro passato, ma il diavolo è come uno scorpione, che ha il veleno nella coda e cammina tenendo la coda davanti agli occhi: con quella ti fa sempre vedere il veleno che c’è nel tuo passato, e ti dice che non ce la farai mai.
Invece Gesù non viene a dirti “sforzati, impegnati”. Gesù è per chi non ce la fa, e non ti dice mai impegnati, ti dice solo “ti capisco”. Ma a volte noi in Dio cerchiamo consolazione, è una sorta di gola spirituale – il primo dei peccati secondo Evagrio Pontico. Invece di amare Dio vogliamo essere consolati da Dio (il famoso Dio juke box che ti manda dritte tutte le cose), ma che lui faccia quello che diciamo noi.
Al contrario la fede che salva, come Gesù fa con i lebbrosi, è la fede che ti mette in intimità con lui, che lo fa entrare nelle tue cose: se tu entri in questa dinamica, lui sta con te.
Dio costruisce la nostra vita in costante precarietà perché vuole che preghiamo (la radice di preghiera è la stessa di precario), perché nessuno è confermato per grazia, solo stare costantemente con Cristo attraverso la preghiera è la via di uscita, e san Francesco, che passava notti intere in preghiera davanti al Signore chiedendogli “chi sei tu, e chi sono io?”, lo aveva capito bene.
E con questo, candidiamo ufficialmente don Dario a fare una catechesi sulla preghiera per il prossimo Capitolo generale del monastero, quello del 2020, che sarà appunto sul tema della preghiera. Lui non lo sa ancora, chi lo conosce lo avvisi. E se non se la sente, sentasela.
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ps Ricordo a chi non si sia ancora iscritto alla giornata sulla Parola di Dio che si terrà nella basilica di San Paolo fuori le mura il 19 ottobre dalle 9,15 alle 17 che sarebbe importante farlo (è gratis!) scrivendo alla mail monasterowifi@gmail.com in modo che ognuno abbia la sua sedia con sopra la sua busta con dentro i suoi regali.
QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO SUL BLOG DI COSTANZA MIRIANO