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Poliziotti uccisi a Trieste: la madre dell’assassino chiede perdono per suo figlio

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 09/10/19
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Dinanzi al diluvio di insulti, quel pavimento della caserma, macchiato di sangue, dovrebbe essere solo il luogo di un attonito silenzio

E’ accusato di omicidio plurimo e tentato omicidio il dominicano Alejandro Augusto Stephan Meran, l’uomo di 29 anni che ha ucciso due agenti a Trieste.

Meran, malato psichico in cura presso l’Asl, dopo aver sottratto la pistola all’agente Pierluigi Rotta, gli ha sparato due volte. Uditi gli spari, l’altro agente Matteo Demenego è uscito dall’ufficio ed è stato raggiunto da tre colpi.

Il duplice omicidio ha scosso l’opinione pubblica di tutta Italia. Trieste si è raccolta intorno alle vittime con una fiaccolata silenziosa di cordoglio, mentre in tv l’hanno fatta da padrone commenti aspri e violenti, come scrive Marina Corradi, in una interessante riflessione su Avvenire (7 ottobre).

«Che i due bastardi assassini dei poliziotti di Trieste marciscano in galera per il resto dei loro giorni: sia fatta giustizia, senza attenuanti e senza sconti»: Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia. Poco dopo, Matteo Salvini: «L’infame assassino dei due poliziotti della Questura di Trieste (anche se molti giornali e telegiornali non lo dicono) è uno “straniero con disagio psichico”. Che a nessuno venga in mente che questa sia un’attenuante! Per gli assassini, nessuna pietà».

Parole che rotolano nelle case degli italiani, sulle tavole a cui si cena, parole che soffiano su una rabbia percepibile che si va allargando. “Bastardi”, “Marciscano in galera”, e: “È uno straniero”.


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“Non c’è parola”

In questo valzer di maledizioni, scrive Avvenire, «meraviglia grandemente una breve intervista della mamma dell’assassino a un tg. Una donna provata dalla fatica, arrivata in Italia dalla Germania, la faccia precocemente invecchiata simile a quella di tante colf che lavorano nelle nostre case. In più, il tormento di quel figlio. Cosa direbbe ai genitori delle vittime, domanda la giornalista. La donna, smarrita: «Che posso dire? Che può dire una persona a un padre che perde un figlio? Non c’è parola, non c’è nulla che possa confortare di un dolore così. Mi dispiace per quello che mio figlio ha fatto, è un malato mentale».

“Noi abbiamo paura di Dio”

La madre reprime le lacrime, lacrime vere sulla faccia esausta. Una pausa: «Noi siamo cristiani, noi abbiamo paura di Dio. Io non so come chiedere perdono a quei genitori». E tu che ascolti hai un sussulto: («Che posso dire, non ci sono parole, non so come chiedere perdono»). Lo straniero ‘bastardo’ è un folle lasciato a se stesso, e sua madre è una donna che piange, e comprende il dolore di quei padri, di quelle madri sconosciute.

‘Che marcisca in galera!’ ‘Nessuna pietà!’, gridano fuori, per conquistare il favore del popolo italiano. Ma a parlare cristiano è un’immigrata dominicana venuta qui con i figli per lavorare e sopravvivere. Uno, molto malato, sciaguratamente ha ucciso. Eppure, conclude Avvenire, le parole di una madre disgraziata risuonano, nel fragore delle maledizioni, quelle più pietose, e vere.


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