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Come faccio a proteggerti se vorrei anche lasciarti libero?

CHILD, WOOD, ADVENTURE
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Cristina Buonaugurio - pubblicato il 02/10/19
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L’impresa di far crescere i propri figli è piena di tentativi declinati diversamente in ogni circostanza, ma coniugare la premura di non perderli di vista e il desiderio di lasciarli esplorare è possibile. Durante il periodo estivo ho avuto modo di conoscere nuove persone, di ritrovare vecchi amici e di osservare tante famiglie in un momento particolare (semplicemente perché diverso dalla routine) come è quello delle vacanze.

Nello specifico ho potuto osservare da vicino alcune famiglie di bambini “speciali”, con problemi cognitivi di diversa natura e ho potuto notare alcune differenze nel modo di relazionarsi a questi bimbi da parte dei rispettivi genitori, che possono offrire spunti di riflessione per tutti i genitori. Perché prima o poi tutti ci troviamo a fare i conti con un dilemma di non semplice soluzione: quanta libertà dare ad un bambino? Quanto e per quanto è bene proteggerlo?

Logicamente le risposte variano da bambino a bambino, in base all’età, ma anche in virtù del suo carattere o della situazione in cui ci si trova. Eppure alcune riflessioni generali possono essere condivise.



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Troppa protezione limita i bambini

Alcuni genitori di bambini con problemi tendono a “stare addosso” ai loro figli in modo eccessivo, mostrando la loro preoccupazione per quello che loro figlio potrebbe fare o dire. Spesso temono il giudizio delle altre persone, che le azioni del figlio possano essere considerate inopportune o che loro stessi possano essere considerati genitori poco capaci.

Certamente non è semplice accettare la presenza di alcune problematiche e lo è ancor meno fare i conti con tutto quello che alcune diagnosi comportano. E questo può dar vita al tentativo di “nascondere” ciò che crea sofferenza agli stessi genitori, evitando il contatto con altre persone o riducendolo al minimo: di solito appena il bambino comincia a dare segni di irrequietezza si “toglie il disturbo”. In questo modo si crede di proteggere i figli da quello che potrebbe procurare loro sofferenza o fastidio e si crede di aiutarli ad essere più tranquilli. Il che potrebbe anche essere vero (è chiaro che ogni caso va valutato anche in base alla diagnosi specifica), solo che spesso coincide con il privare tali bambini di esperienze utili per la crescita, prime tra tutte quella di rapportarsi con i coetanei e quella di sperimentare una certa dose di libertà.

GARDENING

Shutterstock | Rawpixel.com

Ma non sono solo queste famiglie ad eccedere nel proteggere i figli: può succedere a tutti i genitori di non lasciare troppo respiro ai propri bambini (o ragazzi). E così i bambini sono costretti a non allontanarsi, non possono esplorare posti nuovi o fare nuove amicizie, devono stare fermi e buoni, per non correre alcun tipo di rischio. Logicamente non voglio incitare i genitori a far fare ai figli tutto ciò che vogliono (ci mancherebbe!), ma invitarli a distinguere tra l’atteggiamento di chi “non perde di vista” il figlio, pur lasciandolo libero di sperimentarsi, e chi lo limita in modo eccessivo.

Quest’ultimo comportamento può avere senso quando è di breve durata e legato a situazioni contingenti che davvero richiedono protezione (una malattia, un periodo di riabilitazione dopo un problema fisico), ma potrebbe essere foriero di danni quando diventa un’abitudine costante. In tal caso, infatti, si rischia di crescere bambini incapaci di sentirsi liberi e di sperimentare una giusta autonomia.


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Ho già indicato in un articolo precedente quanto sia importante educare ad essere autonomi: il compito dei genitori, infatti, è proprio insegnare ai figli a muoversi nel mondo senza il loro costante supporto, mostrare che da soli possono farcela e dimostrare la propria fiducia nelle loro capacità. Logicamente è un lavoro che va commisurato all’età dei figli, ma che non va mai perso di vista. Con un neonato la protezione è l’unico modo per esprimere il nostro amore di genitori, ma man mano che un bambino cresce il nostro amore deve colorarsi anche di libertà, una libertà che deve crescere con lui. Ma che allo stesso tempo non deve eccedere!

Troppa libertà non fa capire dove andare

Per quanto la tendenza a proteggere i bambini con disturbi di tipo cognitivo (ma anche fisico) sia di solito preponderante, esistono anche famiglie che tendono a lasciare molta libertà di esplorazione e di azione ai propri figli. Probabilmente su indicazione dei terapisti che li hanno in cura, certamente nella volontà di offrire loro la possibilità di non sentirsi limitati e per questo diversi dagli altri.

Il problema sorge laddove questa grande libertà, non accompagnata da un’adeguata protezione finisce per avere il risultato opposto, ovvero evidenziare una differenza che indiscutibilmente esiste. E che va accettata. Che significa protezione in questi casi? Può andare dallo spiegare la situazione a chi non conosce quello specifico bambino, quando lo si ritiene opportuno, all’aiutare il proprio figlio ad evitare comportamenti che potrebbero risultare inopportuni e alla lunga dannosi per se stesso, laddove è possibile farlo. In ogni caso protezione vuol dire non perdere di vista questi bambini, non lasciarli allo sbando, privi della sicurezza che dà il sentirsi contenuti (ma non controllati!).

Anche perché spesso questi bambini lasciati a se stessi tendono a mettere reiteratamente in atto comportamenti che inducono il rifiuto da parte dei coetanei, stanchi o irritati proprio a causa di quegli atteggiamenti, o la diffidenza da parte degli adulti, portando inevitabilmente a un isolamento che provoca sofferenza tanto al bambino quanto ai suoi genitori.


FRANCO NEMBRINI
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Anche in assenza di problematiche specifiche, può succedere che alcuni genitori concedano troppe libertà ai propri figli, sottovalutando il fatto che privarli della giusta protezione faccia loro molto male. In cosa consiste la protezione in questi casi? Anche qui può assumere diversi significati: dal mettere regole chiare all’evitare concretamente che un figlio corra dei rischi inutili per la sua crescita. Essenzialmente implica adeguare lo spazio di libertà che lascio a mio figlio alle sua caratteristiche personali, alla sua età, al luogo in cui ci troviamo, alle persone che si muovono attorno a noi. Perché le situazioni cambiano e i bambini imparano ad affrontarle solo se vengono guidati ed accompagnati nell’esplorarle, almeno all’inizio.

Io amo dire che le regole sono una sorta di libretto di istruzioni per la vita che mettiamo in mano ai nostri figli. Se concedo troppa libertà (e quindi non do regole o comunque non indico come muoversi in una certa situazione) io privo mio figlio di quel manuale. E affrontare la vita sprovvisti di tale strumento non è affatto semplice!

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DA CRISTINA BUONAUGURIO

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