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Studente in arresto cardiaco, lo salva il prof con 9 minuti di massaggio toracico

MAN, HELP, HEART MASSAGE
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Annalisa Teggi - pubblicato il 27/09/19
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Nelle stesse ore in cui il paese faceva i conti con il peso delle parole della Consulta sul suicidio assistito, a Taranto un insegnante si lanciava senza risparmiarsi nel soccorso di un suo alunno. Solo coincidenze, che però evidenziano la distanza tra l’arida condotta ideologica e la vocazione innata dell’uomo a servizio della vita.Taranto: per 9 minuti il Prof. Alessano è stato chino a praticare il massaggio cardiaco su un suo alunno di 17 anni, accasciatosi a terra. Poi è arrivato il 118, grazie al defibrillatore il cuore ha ricominciato a battere. Ora lo studente è ricoverato in ospedale, ma sta bene. Gli insegnanti diligenti preparano le lezioni, però ogni giorno s’impattano con l’imprevisto continuo che è vivere il rapporto coi ragazzi. Doveva essere una lezione di ginnastica come tante all’Istituto Pacinotti, quella che gli studenti aspettano per rilassarsi un po’. Invece è stata una chiamata improvvisa al soccorso. È stata per i presenti anche una lezione di vita, vedere un adulto che prontamente si lancia ad aiutare. Proviamo a guardare questo fatto come lo avranno guardato i compagni di classe, attoniti nel vedere un loro coetaneo privo di sensi e in pericolo di vita.


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Io speravo e massaggiavo

C’erano due classi in palestra a fare lezione, avevano cominciato a fare una corsa di riscaldamento. Il professor Alessano si è spostato per prendere del materiale ma è subito stato richiamato perché un ragazzo si è accasciato a terra. C’è solo il tempo di esserci, non di pensare:

Il ragazzo non era più cosciente e il suo cuore si era fermato. Ho praticato un lungo massaggio cardiaco, mi hanno aiutato altri due colleghi e alla fine quando ero esausto ho lasciato il posto ad un altro ragazzo, che si trovava a scuola per rifornire il distributore delle vivande. Avevamo il defibrillatore, ma non lo abbiamo usato, perché il suo cuore si fermava poi ripartiva, ed è stato così per diversi minuti. Ma non so dire quanto. In quel momento non hai mai una percezione obiettiva del tempo. Io speravo e massaggiavo, massaggiavo e speravo, in attesa che arrivasse il 118. In ambulanza il ragazzo è stato rianimato con il defibrillatore per due volte sino a quando non si è ripreso una volta in ospedale. (Repubblica versione cartacea – venerdì, 27 settembre)

Due cose mi colpiscono in questo racconto, che ha una potenza espressiva quasi dimenticata nelle pagine dei narratori attuali. Nessuno scrittore potrebbe immaginare qualcosa di più clamoroso del ragazzo addetto al distributore di bevande che entra in scena, Dostoevskij salterebbe sulla sedia. Il personaggio secondario che diventa protagonista; al tipo passato per caso è chiesto un gesto eroico. Ci vedo il riflesso di quella grande dritta di vita che è il motto chestertoniano «quando vale la pena fare qualcosa, vale la pena farla male»: in questo caso significa che il criterio della realtà è esserci, non essere perfetti e adeguati. Ciascuno può essere chiamato a fare l’impossibile senza aver fatto corsi di aggiornamento. Ogni comparsa in attesa dietro le quinte può vedersi proiettata addosso la luce del riflettore più grande: ci sei, c’è bisogno di te. Il criterio meritocratico, che ha un suo senso in certi ambiti, non è il criterio originario della Creazione, la quale si fonda sull’amore del Padre per la nostra pura e nuda presenza: in questo Lui vede tutto il necessario per collaborare al progetto del mondo.


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«Io speravo e massaggiavo, massaggiavo e speravo». In poesia si chiama chiasmo, ma questa non è una lezione erudita; eppure la parola è testimone di chi siamo intimamente, soprattutto nei casi in cui non c’è alcuna barriera ideologica tra esperienza e discorso. Nel pieno del momento cruciale, il Prof Alessano sperava e massaggiava, massaggiava e sperava. Non c’era tempo per elaborare un pensiero, la parola trasmette – come un filo elettrico scoperto – l’accaduto. Sperare è un gesto spirituale, massaggiare è un gesto fisico. L’azione è frutto di una simbiosi di spirito e corpo, l’umano vive a compartimenti stagni solo nei trattati astratti degli eruditi.

Però sperare viene prima. Non è un dettaglio da poco e non è una svista. È spontanea fedeltà all’accaduto, profondamente significativa. L’uomo si muove in virtù di un quid che è un’attesa, un’intuizione, un bisogno spirituale di bene. La spinta all’azione più pratica possibile viene dall’anima, vorrei riassumere. La speranza, si dice, è l’ultima a morire, ma è anche la prima a destarci.

Massaggi e messaggi

Ho letto la notizia dell’accaduto nella scuola di Taranto questa mattina, sfogliando il quotidiano davanti al secondo caffé. Sono arrivata all’articolo in questione, dopo aver appunto sfogliato decine di pagine dedicate al tema caldo dell’attualità: le reazioni alla sentenza della Consulta in merito al suicidio assistito. Abbiamo di fronte ai nostri occhi un documento che è stato ufficialmente definito in molti modi, ma che in buona sostanza s’inchina a una cultura di morte assai meno umana e pietosa di come la raccontano i sostenitori.


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Lo stridore dei due eventi – vicini solo per una coincidenza di cronaca – mi ha colpito. Una sentenza è un documento scritto, che s’immagina abbia avuto un decorso di discussioni, consultazioni, confronti. Ed è amaro che una riflessione condotta dal pensiero umano approdi ad avallare la sconfitta, la negazione. Dopo pagine e pagine di commenti al documento, il quotidiano si sposta sulla realtà, che ci catapulta in uno scenario opposto. Di fronte alla morte, la prontezza del soccorso. Pare scontato e fuori tema, ma non lo è. Perché non siamo così lontani da un tempo in cui si troveranno ragioni per redarguire i futuri Prof. Alessano e per scoraggiare il soccorso. Ora è sotto giudizio il valore della vita di chi è in gravissime condizioni di salute, ma l’attenzione si sposterà a un bacino sempre più vasto di umanità. Verrà insinuato il dubbio che il ragazzo in arresto cardiaco possa non voler essere rianimato, se la rianimazione lo restituirà alla vita paralizzato. Non è fantascienza. L’amica Umberta Mesina mi fa notare che esiste già una legge chiamata Good Samaritan che in alcuni paesi tutela chi ha prestato soccorso e potrebbe trovarsi in tribunale. La legge vuole essere un aiuto a chi presta soccorso, a non lasciarsi impaurire dalle azioni legali che potrebbe subire; questo ci fa ragionevolmente supporre che esistano molti casi del genere.

Ammetto che tremo un po’ nel sentire che oggi il Buon Samaritano è una legge e che quella prontezza così ontologicamente umana del Prof. Alessano possa essere svilita e in certi casi addirittura biasimata. Il pianeta Terra rimane per me un luogo complesso ma infinitamente amabile finché dentro le avversità del vivere sbucherà il ragazzo del distributore di bibite a sperare e massaggiare.

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