In un mondo sempre più veloce e competitivo, farmaci e integratori diventano il carburante cerebrale per un rendimento oltre ogni limite, con quali rischi?Sono lontani i tempi in cui si pensava che ognuno di noi sfruttasse solo il dieci per cento delle proprie facoltà cerebrali: oggi, in un mondo sempre più competitivo, tutti vogliamo estendere i nostri limiti naturali per migliorare la memoria, aumentare la produttività e impedire alla fatica di fermarci.
Così, cresce il consumo di farmaci e integratori che promettono un super cervello, in grado di farci studiare o lavorare meglio e più a lungo.
Si tratta di sostanze assolutamente legali, che non hanno nulla a che fare con gli stupefacenti e neppure con le cosiddette smart drugs, le droghe intelligenti
tiene a sottolineare Johann Rossi Mason, giornalista medico scientifica, esperta di neuroscienze e autrice di un libro-inchiesta sul tema.
Spesso si tratta di farmaci nati per curare patologie neurologiche, come il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, la narcolessia o la malattia di Alzheimer, che nei soggetti sani sembrano attivare il sistema nervoso centrale migliorandone le performance.
Ovviamente, per ottenere un potenziamento cerebrale, queste molecole vanno usate fuori indicazione: ciò significa che sui foglietti illustrativi non troviamo nessun riferimento al loro possibile utilizzo in questa direzione, per cui l’eventuale prescrizione (dosaggio, frequenza di assunzione e durata del trattamento) spetta al medico, che deve assumersi ogni responsabilità anche
sui possibili eventi avversi.
Ciò non toglie che qualche paziente potrebbe non attenersi alle indicazioni, eccedendo con le dosi», ammette Rossi Mason, «e al momento non esistono studi a lungo termine che possano escludere danni più o meno gravi.
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Numeri da capogiro
A detenere il primato del maggiore incremento dell’uso di questi stimolanti è l’Europa, con punte nel Regno Unito, passato dal 5 per cento registrato nel 2015 al 23 per cento rilevato nel 2018. Ma il record mondiale è ancora in possesso degli Stati Uniti, dove oltre il 30 per cento degli americani assume pillole per la mente. «Ad acquistarle non sono solamente studenti ambiziosi o
aspiranti premi Nobel: il vero mercato è quello costituito dagli adulti che temono di perdere terreno di fronte alle nuove generazioni, sempre più tecnologiche.
Oggi si invecchia di più e tutti vogliono farlo in salute, con la mente lucida: per assurdo, è più facile accettare disabilità fisiche e malattie croniche piuttosto che un deficit cognitivo, come la mancanza di memoria o l’incapacità di prendere decisioni», commenta Rossi Mason. Oggi, la terza età non esiste più: i nuovi anziani sono indipendenti, sempre connessi a Internet e spesso studiano all’università.
Questo stile di vita aumenta la loro riserva cognitiva, ovvero regala un “tesoretto” di neuroni in più (cioè una massa cerebrale di dimensioni maggiori) oppure una migliore capacità di far fronte alle emergenze.
«Risale al 1988 uno studio condotto su centotrentasette anziani deceduti: nonostante in vita non avessero mai manifestato i sintomi dell’Alzheimer, alcune autopsie hanno rivelato i segni clinici della malattia a livello cerebrale. Da qui si è scoperto che questi soggetti presentavano una sorta di vantaggio, come cervelli più grandi o dotati di un maggior numero di neuroni che hanno funzionato appunto da riserva, compensando temporaneamente il danno neurologico legato alla demenza».
Ma come si aumenta questa riserva? Studiando a lungo, facendo un lavoro stimolante, occupando il tempo libero con attività gratificanti, mantenendo un atteggiamento positivo verso la vita.
Quali effetti
E ovviamente, in tutto questo, i farmaci che potenziano la mente possono aiutare e agire su riflessi, attenzione, umore, memoria, reattività, precisione, lucidità di pensiero, resistenza alla fatica. Una vasta gamma di possibilità, che alcuni scienziati hanno addirittura definito “neurologia cosmetica”, paragonando il miglioramento delle prestazioni cognitive alla chirurgia plastica, visto che in entrambi i casi si va ad agire sulle apparenze. Attenzione però: nessuna sostanza, per lo meno allo stato attuale, è in grado di rendere più intelligenti.
I libri non entrano in testa per magia, così come calcoli e progetti non si creano dal nulla, senza allenamento, duro lavoro e qualità personali come talento, idee, motivazione, sacrificio, disciplina e applicazione.
Nella maggior parte dei casi, queste sostanze agiscono modulando i principali neurotrasmettitori circolanti nel nostro cervello, ossia i messaggeri chimici che le cellule cerebrali usano per comunicare tra loro. E possono farlo aumentandone le quantità oppure diminuendone la ricaptazione a livello delle sinapsi: per dirla in breve, amplificandone la concentrazione tra le terminazioni neuronali in modo da stimolare maggiormente il cervello.
A compiere tutto questo è un vasto esercito di molecole, che possono avere nomi più o meno noti, come caffeina, creatina, curcumina, ginseng, ginkgo biloba, magnesio, acetil-L-carnitina, acetilcolina, acido alfa lipoico, modafinil, alfa Gpc, ampachine, bacopa, citicolina, coenzima Q10, Dha, Dhaea, galantamina, uperzina A, picnogenolo, suntheanine.
“Ritocco” alle emozioni
Da qualche anno, è nata un’interessante corrente di pensiero sulla possibilità che questi farmaci possano agire non soltanto
sulle capacità dell’individuo che li assume, ma anche sulle sue emozioni. Addirittura, alcune sostanze hanno dimostrato di rendere più coraggiosi, cancellando la paura di buttarsi con il paracadute, parlare davanti a duecento persone, affrontare un colloquio di lavoro.
Va detto, però, che in questo caso si tratta di sostanze presenti nel sottobosco dell’illegalità, droghe a tutti gli effetti insomma, usate per valicare i normali limiti fisici, psicologici e morali: un po’ come avviene nelle stragi terroristiche, dove gli autori
agiscono sotto l’azione di stupefacenti, che li trasformano in macchine da guerra senza umanità, rendendoli capaci di azioni altrimenti inconcepibili.
Quale sicurezza
A questo punto, la domanda è lecita: i prodotti legali sono anche sicuri? Nell’ultimo decennio, sono stati condotti numerosi studi che hanno delineato i profili di sicurezza delle varie sostanze e il basso rischio di effetti collaterali.
Al momento, però, non esistono studi a lungo termine che possano tranquillizzare anche di fronte a un uso “massiccio” o continuativo,
ammette Johann Rossi Mason.
Per precauzione, è bene evitarne la somministrazione fino ai 20 anni, perché non sappiamo ancora quanto possano interferire con lo sviluppo cerebrale. Altrettanto importante è evitare l’acquisto su Internet, dove si può incappare
in truffe pericolose, perché i medicinali possono contenere impurità, contaminanti, principi attivi diversi da quelli dichiarati in etichetta.
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Questioni etiche
Un capitolo a parte riguarda i dubbi etici, che inevitabilmente l’utilizzo di queste sostanze solleva. L’individuo è davvero
libero di fare del proprio cervello ciò che vuole? È lecito superare i limiti naturali? Questo potenziamento cognitivo non rischia di favorire disparità sociali e falsare la competizione quando viene usato in ambiti specifici, come quello sportivo, lavorativo o scolastico? «In effetti, per molti scienziati l’uso di queste sostanze è scorretto, significa “barare” e andrebbe regolamentato durante occasioni come esami o concorsi pubblici», commenta l’esperta.
Basti pensare alla recente vicenda di Caster Semenya, la mezzofondista sudafricana affetta da un’anomalia genetica che le fa produrre naturalmente alti livelli di testosterone, tipicamente mascolini: il Tribunale arbitrale sportivo ha deciso che l’atleta dovrà sottoporsi a una terapia ormonale, pena l’impossibilità di gareggiare con altre donne. Ecco, se il potenziamento cerebrale dovesse diffondersi, non si tratterebbe di qualcosa di simile? Il mondo sarebbe davvero disposto ad accettare i vantaggi indotti con i farmaci, visto che non lo fa con una condizione patologica come quella di Semenya? Senza contare il fatto che, a tutto questo, si somma il timore che queste stesse molecole possano essere imposte ai lavoratori per aumentarne la produttività.
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Alleniamo la mente
In definitiva, esiste un’alternativa a questo potenziamento cerebrale, che non passi attraverso l’uso di molecole chimiche?
«Certamente», assicura Rossi Mason. «Possiamo investire sul nostro stile di vita, curando l’alimentazione, riposando ogni notte in maniera adeguata, praticando una regolare attività fisica, coltivando relazioni sociali appaganti, giocando a Sudoku, leggendo
in una lingua diversa dalla nostra, imparando sempre cose nuove. Il cervello è una macchina che chiede di essere spesso messa in moto e, perché no, spinta al limite. Si tratta di un meccanismo che si autoalimenta: più l’organismo viene utilizzato, più si alza l’asticella di ciò che si può fare».
Solo così potremo evitare di arrenderci alle pillole, che altrimenti, secondo le stime, potrebbero diventare un’abitudine.
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