Che senso ha andare in un luogo abitato da tanto dolore innocente? La testimonianza di un seminarista che trascorre ogni sabato in compagnia delle famiglie dei pazienti dell’Ospedale romano. di Ignanzio Beghi
Da due anni, insieme ad altri seminaristi, trascorriamo il sabato pomeriggio all’ospedale romano Bambino Gesù. All’inizio dello scorso anno, abbiamo conosciuto Mario e Lucia, genitori di Michele [i nomi sono di fantasia]. Il ricovero di Michele si protrae a lungo, così, nei mesi successivi, cominciamo a frequentarci e a diventare amici. Lucia ci racconta che il bambino, per le imprevedibili complicazioni di una malattia banale, è finito in coma irreversibile a quattro anni. Il dolore e la tristezza dei genitori sono profondi. La loro situazione, simile a quella di molte altre famiglie che incontriamo, ci ferisce e ci interroga. Che senso ha andare in un luogo abitato da tanto dolore innocente? Cosa portiamo? Possiamo offrire solo una compagnia e condividere un po’ della nostra vita con la loro, come ci ha insegnato don Giussani. Non sarà inutile?
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Qualche settimana fa, arrivando in ospedale, vediamo Lucia che accompagna in camera Michele sulla carrozzina. “Dove siete stati?” domando loro. “Abbiamo accompagnato Anna [un’altra piccola paziente, ndr] in terapia intensiva. Era tanto spaventata all’idea di cambiare reparto. Anche se è molto piccola, capisce che qualcosa non va. Allora sono andata con Michele a salutarla e a dirle che la aspettiamo quando starà meglio e tornerà”. Dopo qualche minuto, Lucia è di nuovo in corsia a giocare con Ester, una bambina di pochi mesi affetta da sindrome di Down. I genitori l’hanno abbandonata in ospedale. Così Lucia, insieme a Mario, divide il suo tempo tra l’assistenza al figlio e le premure a questa bambina. Gesti di pura gratuità, un’attenzione che pare insolita da parte di chi potrebbe vantare il diritto di essere ripiegato sul proprio dolore. Questo fatto illumina ciò che leggiamo ogni sabato, ne Il senso della caritativa: «La legge suprema del nostro essere è condividere l’essere degli altri». È una frase di don Giussani così vera che chiunque può sperimentarla. Ma sono io il primo ad avere bisogno di scoprirla di nuovo ogni volta. Il bisogno di amare ed essere amato è la verità di me che devo affermare ogni giorno. Andare in caritativa mi educa all’autenticità del mio essere.
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