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Cosa sono le fake news, e come so se sto peccando condividendole?

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Catholic Link - pubblicato il 06/09/19
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4 punti da consideraredi padre Juan Carlos Vásconez

Sappiamo che la menzogna è un peccato segnalato direttamente dall’VIII comandamento: “Non dire falsa testimonianza”. Cosa succede, però, quando si condivide una notizia che risulta falsa? Anche in quel caso si commette un peccato?

È sicuramente importante essere cauti al momento di diffondere quello che ci arriva. Agire con leggerezza può trasformarci in cooperatori del male, e in alcuni Paesi diffondere messaggi falsi può costare fino a un anno di prigione. E in cielo?

Le notizie ingannevoli sono sempre esistite, ma per via della crescita esponenziale delle reti sociali le fake news hanno proliferato in tutto il pianeta. Questa definizione è ormai diventata popolare e viene usata per indicare la divulgazione di notizie false che provocano un pericoloso circolo di disinformazione.

Le reti sociali permettono che gli utenti siano al contempo produttori e consumatori di contenuti e hanno facilitato la diffusione di contenuti ingannevoli, falsi o fabbricati appositamente. In questo modo si genera un circolo vizioso, e una notizia falsa viene replicata migliaia di volte nell’arco di pochi secondi.



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Negli ultimi anni abbiamo visto come i contenuti incendiari ed estremisti, anche se non hanno niente di vero, finiscano per diventare più virali di qualsiasi fatto reale. Lo ha segnalato anche Papa Francesco nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2019: “Se internet rappresenta una possibilità straordinaria di accesso al sapere, è vero anche che si è rivelato come uno dei luoghi più esposti alla disinformazione e alla distorsione consapevole e mirata dei fatti e delle relazioni interpersonali, che spesso assumono la forma del discredito”.

1. La manipolazione della verità

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pixabay

Quello che si cerca divulgando informazioni false è rafforzare o estendere convinzioni errate e creare paura e panico nella società. Il Papa mette in guardia contro le fake news: “Ci siamo abituati a mangiare il pane duro della disinformazione e siamo finiti prigionieri del discredito”.

Non è un fatto nuovo. La storia è piena di queste manipolazioni che all’epoca erano fake news e col tempo sono diventate qualcosa che viene accettato da molti. La Chiesa cattolica non è esente da tutto questo, anzi, ne è stata una delle grandi vittime.

Secoli fa avveniva su libelli e opuscoli, oggi sulle reti sociali e sulle pagine web. Dalla nascita della Chiesa a Pentecoste fino ai nostri giorni, tante informazioni hanno puntato a fare danno manipolando o inventando l’accaduto.

In alcuni casi particolarmente gravi si è cercato di esacerbare gli animi o screditare, come nel caso della notizia diffusa nell’aprile di quest’anno, “Un cardinale ha detto che la pederastia nella Chiesa è colpa dei bambini”, di cui si sono fatti eco vari mezzi di comunicazione messicani parlando del fatto che l’arcivescovo emerito di Città del Messico, il cardinale Norberto Rivera, avrebbe incolpato i minori del fatto di “tentare” gli adulti nei casi di pederastia commessi da membri della Chiesa. Si trattava ovviamente di una menzogna inventata anni prima.

Una delle figure su cui si creano più notizie false è Papa Francesco, a volte facendogli dire frasi inesatte o del tutto fuori dal contesto, altre volte inventando discorsi completi.

Il problema può acutizzarsi quando alcuni mezzi di comunicazione si fanno eco di queste voci e le pubblicano come notizie. La situazione si complica quando anziché riferirsi a fatti vengono pubblicate solo le presunte citazioni.

2. Chi diffonde maggiormente le notizie false

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Aleteia

I ricercatori delle università di New York e Princeton hanno pubblicato di recente i risultati di uno studio rivelatore sulle notizie false in Internet, e hanno scoperto che la loro diffusione è più comune tra chi ha più di 65 anni rispetto a qualsiasi altro gruppo. Non è quindi una questione di inclinazione ideologica né di preferenza politica, né tantomeno di salute mentale o caratteristiche demografiche. Il fattore determinante per condividere fake news sulle reti sociali è in genere l’età.



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Secondo lo studio, l’11% degli utenti con 65 anni o più ha condiviso qualche articolo di fake news su Facebook, mentre lo ha fatto solo il 3% delle persone tra i 18 e i 29 anni. Lo studio è innovativo perché oltre a cogliere i dati e le percezioni del campione ha anche chiesto il permesso di paragonare le risposte con i contenuti pubblicati dagli interessati sui profili nella rete sociale, registrando in questo modo il comportamento reale degli utenti.

Dall’inchiesta emerge che le persone con più di 65 anni hanno diffuso il doppio di fake news rispetto agli adulti con un’età compresa tra i 45 e i 65, e sette volte di più rispetto al gruppo più giovane. Per ottenere questi risultati, i ricercatori hanno usato una serie di siti le cui informazioni sono risultate perlopiù false.

3. Perché funzionano le fake news

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Lo strumento che si usa di più a scopo di disinformazione è WhatsApp, proprietà di Facebook, che ha avuto un impatto considerevole in Paesi come il Brasile o l’India.

Per sua natura, su Whatsapp circola più disinformazione che nelle altre reti. Non è lo stesso diffondere qualcosa di falso su Twitter, dove può arrivare qualcuno a smentire, che dirlo su Whatsapp, dove nessuno legge le nostre conversazioni. Ad ogni modo, si è iniziato a prendere misure per combattere la questione: ridurre il numero di messaggi reinviati (da 20 a 5) ed eliminare gli account che violano le sue clausole come fare “spam”.

Nelle reti sociali, in generale si condivide il contenuto creato da altre persone: marche, creatori, amici, YouTubers… Ma perché si fa? Dopo aver analizzato vari articoli sul tema, siamo giunti a una conclusione che può sembrare un po’ inquietante: perché è socialmente gratificante o difende le nostre idee, indipendentemente dal fatto che siano giuste.

È accaduto in poche settimane. Su molti media è stata replicata una notizia che non lasciava capire chiaramente l’origine delle sue informazioni: apparentemente, un bambino sarebbe stato assassinato dalle sue madri, una coppia lesbica, perché aveva rifiutato di usare abiti femminili. La Procura di Guanajuato, che indaga sul crimine, ha tuttavia negato categoricamente che sia accaduto qualcosa di simile (la notizia si può vedere a questo link).

4. Condividendo metto il mio sigillo personale

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Iakov Filimonov – Shutterstock

Quando condividiamo un contenuto, una notizia, ci mettiamo un timbro personale, in qualche modo diciamo di credere a quell’informazione, e visto che abbiamo inviato quel contenuto, la persona che o riceve ha la sensazione che sia un bene condividerlo perché ne “beneficino più persone”.

Tutto questo con appena un po’ di sforzo, visto che si deve semplicemente premere un tasto. È importante essere sicuri del fatto che quello che condividiamo sia un’informazione vera, altrimenti si può aiutare a diffondere fake news. Ammettiamolo, quando si condivide qualcosa su Internet a titolo personale sono in gioco la propria credibilità, la reputazione e la popolarità.

Condividere notizie di cui non si è sicuri può voler dire calunniare o diffamare. Diffamare è togliere la fama dell’altro, dicendo di lui, in sua assenza, cose negative che chi ascolta non conosce e che non c’è motivo di dire anche se sono vere. Calunniare è un’accusa o un’imputazione falsa contro qualcuno per provocargli un danno.

Papa Francesco ci ricorda che parlare male dell’altro è uccidere, perché la radice è lo stesso odio: “non hai il coraggio di ucciderlo o pensi che è troppo, ma lo uccidi in un’altra maniera, con le chiacchiere, con le calunnie, con la diffamazione”. Nel Vangelo ascoltiamo le parole di Gesù: “ Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: ‘Stupido’, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: ‘Pazzo’, sarà destinato al fuoco della Geènna”.

Per questo, il Pontefice ricorda che “quando sentiamo persone che si dicono tante cose brutte, bisogna sempre ricordare che dando dello ‘stupido’ o del ‘pazzo’ si uccide il fratello, perché l’insulto ha una radice di odio”.

La facilità delle reti sociali di condividere contenuti ci ha portati ad avere il potere della diffamazione a livelli mai conosciuti prima d’ora e a un solo click di distanza. Il male provocato condividendo questi contenuti ha conseguenze che non riusciremo mai a comprendere.

Cicerone diceva che “nulla si espande tanto rapidamente quanto la calunnia, nulla si lancia con più facilità, nulla si accoglie con più velocità o si diffonde in modo più ampio”. Ripetere gli insulti o screditare gli altri perché ci sembra divertente è continuare a chiamare “stupido” o “pazzo” un’altra persona che magari neanche conosciamo. Questa è diffamazione, ed è quindi moralmente inaccettabile.

Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica si tratta di un peccato contro la giustizia, e quindi richiede riparazione. Reinviare un messaggio è estremamente semplice, ma dobbiamo essere sicuri che si tratti di un’informazione autentica, che non diffama o calunnia nessuno. In caso di dubbio, è meglio non condividere, perché si può trattare di fake news.

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