separateurCreated with Sketch.

Monica Mondo dialoga con Arnoldo Mosca Mondadori: Eucaristia, «il miracolo continuo che sembra non interessarci affatto»

fot. Courtesy Everett Collection

whatsappfacebooktwitter-xemailnative
Giovanni Marcotullio - Breviarium - pubblicato il 05/09/19
whatsappfacebooktwitter-xemailnative

Così Monica Mondo, nello scorso inverno, scriveva in Premessa al suo libro-intervista con un autore noto a chi bazzica i tipi di Morcelliana e a chi s'interessa di sociale (insomma, non al c.d. “grande pubblico” dei reality, dei talk e dei social), quantunque abbia tria nomina – Arnoldo Mosca Mondadori – che attirano inevitabilmente l'attenzione. “Il farmaco dell'immortalità”, suona solenne il titolo del libro: che si parli di eucaristia è chiaro a chiunque abbia orecchio per certi epiteti, e analogamente quanti conoscono il tenore delle interviste della giornalista sabauda1 non si stupiranno del sottotitolo: «Dialogo sulla vita e l'Eucaristia». Monica Mondo chiede l'anima a quelli che intervista – donde il titolo della sua rubrica – ma mette a nudo anche la propria, di modo che le domande e le risposte non restano mai asetticamente e compostamente schierate da una parte e dall'altra della discussione. Che nel sottotitolo “la vita” venga perfino prima de “l'Eucaristia” basta ad alludere alla modestia dell'opuscolo (non si presenta come trattato di teologia, né “Dialogus” con la majuscola) e insieme alla sua ambizione (lo stupore eucaristico è la lente attraverso cui si osserva – e si giudica, e si ama – Dio in tutto e tutto in Dio).

In meno di cento pagine!, si sarebbe tentati di esclamare guardando all'agile libretto – ma rischieremmo di incappare nel superbo e superficiale giudizio di Golia su Davide (del resto anche Samuele ci sarebbe cascato, se non avesse ascoltato la Voce che lo metteva in guardia)2: non multa, sed multum, questo si trova nel libro.

Poco prima di cominciare a scrivere guardavo il calendario e realizzavo che esattamente un mese fa è stato pubblicato il rapporto di Gregory A. Smith (Pew Research Center) sul sentire dei cattolici statunitensi quanto all'eucaristia e alla dottrina della Chiesa in materia. Dal campione rilevato (10.971 rispondenti su 14.415 intervistati) risultava che in generale più del 70% dei cattolici USA ritenga dell'eucaristia una dottrina vagamente berengariana, ossia che consideri il pane e il vino della Messa «un bel simbolo di Gesù».

[read_also art1="396337" /]

Il rapporto è (dolorosamente) interessante per molti aspetti: qui mi limito a sottolineare unicamente che le percentuali sembrano quasi invertite quando si considerano i cattolici che «vanno a messa una o più volte a settimana»: in quel caso il 63% fa propria la dottrina della Chiesa e il 58% mostra anche di conoscerla. Quando si passa alla messa «mensile/annuale» la percentuale crolla al 25% (e la conoscenza della dottrina della transustanziazione scivola al 23%); se si giunge a quanti vanno a messa «raramente/mai», ossia ai “cattolici non praticanti” la percentuale si schianta sul 13% (col 10% di intervistati capaci di enunciarne il contenuto). Insomma, se fin dai tempi di Giustino e dei martiri di Abitinia i cristiani si designano come «quanti si riuniscono nel giorno detto “del Signore”» (ossia ogni domenica), è pure doveroso rilevare qualche differenza tra questi e quanti più crocianamente “non possono non dirsi cattolici”: non si tratta di stabilire la hit parade dei “più cattolici”, ma di contestualizzare criticamente un'indagine demoscopica.

[read_also art1="395659" /]

Come che sia, anche il pensiero che addirittura 37 cattolici praticanti su 100 – i quali quindi vanno a messa (e probabilmente si comunicano) settimanalmente – non conoscano o rigettino3 la dottrina della transustanziazione non può “dare sollievo”, se si ragiona avendo a cuore la Chiesa di Cristo e il suo fine salvifico universale.

Così infatti Robert Barron, arcivescovo ausiliare di Los Angeles nonché pioniere dell'evangelizzazione sui new social media, ha esordito ammettendo di non riuscire a trattenere il disappunto e l'amarezza4 per i risultati dell'indagine: «Beh, ma se è [solo] un simbolo – ha sbottato il Vescovo riparandosi dietro una citazione di Flannery O’Connor – che vada all'inferno!»5. «Separare la dottrina dalla pastorale – argomentava il presule – non ci porterà da nessuna parte», e ricordava ai follower come i grandi santi della carità fossero animati da un ardente amore per l'Eucaristia (ragion per cui, proseguiva Barron, è prevedibilissimo che venendo meno quell'amore verrebbe meno anche lo slancio sociale della Chiesa).

Uno stimolo all'azione, dice Barron dopo aver denunciato un “massive failure” dell'operato della Chiesa quanto al suo compito di trasmettere la fede cristiana: uno stimolo per tutti nella Chiesa. Non mi sono potuto impedire di tornare a quelle parole leggendo la dichiarazione di Mosca Mondadori sul finire del libro:

E se Dio vorrà sarà questo un antidoto alla piaga grande del clericalismo – a meno che non si clericalizzino i laici (cosa sempre possibile) – nonché al falso dilemma che divide i “cattolici della dottrina” dai “cattolici del sociale”. Ma se leggendo il libro di Mondo e Mosca Mondadori ho pensato a Barron (e credo che se lo facesse tradurre in inglese farebbe tanto bene negli USA), la cosa bella e veramente consolante che emerge dal testo è che esso non propone un piano Marshall – spirituale e “a rovescio” – bensì esprime compiutamente, quand'anche germinalmente, un'autentica e già presente vitalità ecclesiale: la fede di Giustino, di Bernardo e di Marthe (Robin) è una e medesima, a dispetto delle diverse categorie con cui è stata affermata nella storia, ed è sempre viva. Essa offre un formidabile supporto alla ragione umana, così che Mosca Mondadori può dire:

E l'intervistatrice rispondeva, come riavendosi dall'incanto: «Questa è poesia, e fa bene ascoltarla, apre la speranza». Un passaggio insolitamente accondiscendente, per chi conosce l'arte dell'intervista della Mondo, la quale istintivamente rifugge dal duetto cinguettante e, quanto più sceglie testimoni palpitanti di speranza con cui parlare, tanto più credibilmente veste i panni dell'avvocato del diavolo per dare voce, nelle domande, allo scetticismo e all'incredulità di molti uomini (che più o meno latitanti ristagnano nel cuore di tutti):

Quando ancora ero all'incirca a questa pagina, profittando dell'amicizia di cui Monica mi onora, le ho scritto un messaggio: «Sembra un dialogo tra un platonico e un'aristotelica». E lei con un sorriso: «Talvolta è necessario». Mi sono ricordato che anche di Teresa d'Avila e di Giovanni della Croce è stato detto qualcosa del genere, e se poche pagine dopo avrei trovato un allerta dell'“aristotelica” contro “il neoplatonismo” (26) più avanti, nel corso del libro, avrei scoperto che con ben quattro citazioni Giovanni della Croce risulta l'autore più citato da parte del “platonico”. Un'amicizia che ha fatto la storia della Chiesa, quella; un dialogo tra mistici contemporanei, questo, ché l'uno e l'altra schivano la propria esaltazione ma si confessano eternamente preceduti da un'ineffabile eccedenza di grazia.

[read_also art1="144443" /]

E come Teresa d'Avila affermava di aver avuto alcune delle illuminazioni contemplative maggiori mentre spadellava per le suore, così Arnaldo descrive un momento di “intimità divina”:

E come Giovanni della Croce invita l'anima ad accogliere la spoliazione di tutte le consolazioni – prima quelle sensibili e poi anche quelle spirituali –, così lo stesso Mosca Mondadori (in sintonia con la Mondo), afferma di essere grato per le sensazioni e per le “visioni del cuore”, ma di non desiderarle:

E nelle pagine successive:

Nelle ultime pagine del dialogo si fa menzione di un'iniziativa sociale che proprio nella devozione eucaristica Mosca Mondadori ha fondato e avviato: l'editore si è recato nel 2015 nel carcere di Opera e ha «proposto a Giacinto Siciliano di poter aprire un laboratorio di produzione di ostie». L'intesa è stata trovata immediatamente:

Forse Barron e gli altri pastori – non solo americani – (giustamente) preoccupati per i frutti selvatici di una pluridecennale semina catechetica di scarsa qualità potrebbero prendere spunto e offrire alle loro comunità un segno di questo tipo6: “transustanziazione” è il nome filosofico-teologico di una dottrina cattolica, ma Tommaso stesso ricordava che «l'atto del credere non ha per termine il modo in cui la fede si enuncia, bensì la sua essenza». In altre parole, la categorizzazione teologica non può essere il primo momento della trasmissione della fede (difatti anche la categoria tuttora in uso è nata nel secondo millennio, mentre il secolo dei grandi trattati “sul corpo e sul sangue del Signore” fu il IX!), e ogni “tradizione” che ometta il passaggio per l'esperienza – ossia per la mistica – risulterebbe fatalmente manieristica, in un certo senso “artificiosa” e pertanto poco efficace.

I due interpreti del dialogo affermano, qua e là, di non volersi addentrare in campi come quello tecnico-teologico, per i quali (pur essendo entrambi persone assai colte) non dispongono di strumentario teoretico adeguato; a ben vedere, però, i campi sono attigui e lo sconfinamento quasi inevitabile. Alcune tematiche affiorano carsicamente, qua e là, come un Leitmotiv: il male e la sofferenza, la grazia e la libertà, la visione beatifica e il paradiso (senza che si perdano di vista l'aborto, l'eutanasia, i tagliagole e gli sfruttatori dei poveri). Su una tematica teologica piuttosto complessa, ma pure semplice nel suo enunciato, la Mondo propone un'audace e suggestiva analogia: si tratta della questione dell'oggettività ontologica del sacramento, che la teologia cattolica ha il compito di preservare nella sua aseità pur senza nuocere al carattere ordinato – cioè destinato a – dell'Eucaristia.

Il merito dell'analogia è di preservare la dottrina eucaristica da ogni fisicismo: come guardo veramente, realmente e sostanzialmente la partita senza essere fisicamente allo stadio, così mi nutro veramente, realmente e sostanzialmente del corpo e del sangue di Cristo (della sua anima e della sua divinità) anche se «la vista, il tatto e il gusto» giudicano (correttamente) la loro assenza fisica, ma non quella mistica (in senso forte, cioè appunto sostanziale). Il punto debole – ogni analogia ne ha almeno uno – è che la tv neanche si accenderebbe, se qualcuno non volesse guardarla, né si potrebbe più dire in senso compiuto che un apparecchio televisivo trasmetta davvero qualcosa, se fosse acceso in una stanza vuota, senza qualcuno nei paraggi che possa almeno ascoltare l'audio. Monica difatti avverte il cul-de-sac dell'immagine e, pur non rinunciando a scriverla (chi avrebbe resistito, da quanto è parlante?) muove qualche passo indietro: mi piace ora offrire a lei e ai lettori un riscontro, visto che il passo mi ha fatto balenare in mente una considerazione.

[read_also art1="380169" /]

È vero che il sacramento dell'Eucaristia esiste in una relazione, perché è così che Cristo l'ha voluto: era seduto a tavola con i suoi; ha spezzato il pane e ha versato il vino per loro; l'effetto dichiarato del “farmaco d'immortalità” è dimorare in loro (e loro in Lui) – insomma il racconto dell'istituzione è semplicemente impensabile al di fuori di questo quadro. Il fatto è che la relazione comincia prima che noi ce ne accorgiamo. Ci sono più avanti nel testo due frasette di Mosca Mondadori – «Dipende da me solo l'aprirmi. Il resto lo fa Dio» (43) – che un lettore malevolo potrebbe qualificare di semipelagianesimo, se non tenesse conto di tutto il discorso: anche l'aprirsi, infatti, dipende da noi ma non solo da noi. A cosa ci apriremmo, per capirci, se non fossimo già da sempre preceduti da un'offerta di grazia?

Lo illustra con plastica chiarezza la fiaba della Bella Addormentata (una di quelle che più trasparentemente di tutte riflette il portato gnostico originario del genere, cioè la struttura narrativa volta a divulgare il mistero cristiano): quando il Principe7 bacia la Bella, il suo è un vero bacio o no? E come potrebbe non essere un vero bacio se anzi è detto “il bacio del vero amore”? Eppure quel Bacio – che è proprio l'immagine dell'Eucaristia – viene dato unilateralmente da un soggetto senziente e agente a uno inerte e incosciente. Nell'epoca caotica e ciarliera del #metoo si è perfino giunti a invocare la soppressione di quel Bacio, qualificato di molestia (sic!) senza realizzare che esso è il compimento escatologico di un protovangelo arcaico (secondo la maledizione originaria la Bella sarebbe dovuta morire per la puntura) – come si legge in Gen 3. La verità è che il nostro tempo, sazio e disperato, intuisce l'importanza della relazione ma ripudia l'idea che sia un Altro a suscitarci, fin da sempre, a tale relazione. Le fiabe stanno lì a ricordarcelo, perché il Bacio del Principe della Pace (Is 9,5) è bacio vero, reale e sostanziale anche se lo disconosciamo o se protestiamo di non volerlo, illudendoci di poter volere solo quanto conosciamo (cioè nulla), laddove la nostra sete si placa unicamente nel Tutto per cui siamo fatti e che resta per noi infinitamente Altro.

[read_also art1="304791" /]

E c'è poi molto altro ancora, nel libro, prima di un finale bellissimo: breve come la chiusa di una canzone provenzale, struggente come un pugno di esametri omerici al punto giusto. Ma non ve lo riporto.

[img attachment="418699" align="alignleft" size="full" /]


1: Diffuse soprattutto da TV2000 nella trasmissione “Soul”. 2: 1Sam 17,42 e 16,7. 3: Rispettivamente, il 23% conosce poco o per niente il contenuto del dogma mentre il 14% sa enunciarlo: dunque i cattolici che rigettano la dottrina sono 2/3 di quanti la ignorano, e questo – quantunque ridimensioni ulteriormente il numero degli “increduli” stricto sensu – pone seri interrogativi sull'efficacia del ministero catechistico e didattico della/nella Chiesa. 4: Su YouTube è disponibile un'intervista più estesa sull'argomento. 5: E qualcuno sarà stupito (o forse no) nell'apprendere che anche il noto James Martin s.J. riportava l'aneddoto, in un bell'articolo di apologetica sull'eucaristia. Era il 2 giugno. Del 2010… 6: «È nato in Mozambico, a Maputo, nella Casa della Misericordia di padre Antonio Perretta, il primo laboratorio di ostie “figlio” del laboratorio del carcere di Opera. […] Anche in Sri Lanka sta nascendo, sempre grazie ai detenuti formatori del carcere di Opera, un laboratorio dove lavoreranno ragazze che altrimenti rischierebbero di entrare nel | mercato della prostituzione. Nascerà presto anche un laboratorio a Buenos Aires, dove lavoreranno ex ragazzi di strada» (Ivi, 92-93). 7: Il quale è detto “azzurro” solo in quanto “Celeste”, cioè proveniente dal Cielo, ma è canonicamente avvolto del cristico mantello rosso di cui in Apoc 19,13.

Top 10
See More