La comunità di Mar Musa nel segno di padre Dall’Oglio
di Igor Traboni
Nel solco del dialogo e della fratellanza tanto caro a padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita di cui non si hanno notizie da sei anni e che in questo paese del Lazio volle aprire uno dei monasteri della comunità di Mar Musa. Ma anche una risposta all’invito di Papa Francesco e del grande imam Ahmad Al Tayyeb a spezzare la spirale dell’odio usando la parola “fratello”. Così a Cori, in diocesi di Latina, è appena terminata la settimana di condivisione e fraternità «A porte aperte», organizzata dall’associazione Amici di Deir Mar Musa e dalla stessa piccola comunità monastica qui presente. Una settimana intensa, sul tema “Dalla convivenza alla fratellanza. Una geografia dell’incontro”, con riflessioni proposte da cristiani e musulmani. L’incontro di 800 anni fa tra Francesco e il sultano è stato un po’ il filo conduttore, ma si sono alternate anche riflessioni sulla relazione tra Medio oriente ed Europa e una sessione particolare su “Il lato nascosto di Tibhirine”, con una toccante testimonianza di un membro della comunità Sufi di Medea che aveva rapporti con i monaci poi assassinati in Algeria. Una settimana che è stata anche di condivisione e fraternità tra i partecipanti e di questi con i monaci di Mar Musa, nel ritmo della preghiera, del lavoro manuale e dell’apertura dei cuori. «Abbiamo avuto — racconta Francesca Peliti, presidente dell’associazione Amici di Deir Mar Musa — una cinquantina di ospiti, metà dei quali di lingua francese, provenienti sia dal Belgio, dove padre Dall’Oglio ha intessuto molti rapporti di amicizia, che dalla Francia e dalla Svizzera. E poi da ogni parte d’Italia, molti dei quali non conoscevano prima l’esperienza di Mar Musa, ma avendone sentito parlare, volevano sperimentarla. E ne sono rimasti conquistati».
La figura di padre Paolo Dall’Oglio è stata ripercorsa attraverso il suo libro, Innamorato dell’Islam, credente in Gesù, punto di riferimento del pensiero teologico del gesuita italiano. «Il suo spirito — sottolinea Peliti — è sempre presente in queste giornate, che non sarebbero nate se lui non avesse avuto questa intuizione profetica già negli anni Ottanta».
Oltre a questa settimana residenziale, i membri dell’associazione in genere si vedono ogni due mesi, per affrontare di volta in volta argomenti specifici, come quello del maggio scorso dal titolo “Con Maria, vivere insieme in pace” anche se «l’impronta è sempre la stessa — aggiunge Peliti — ovvero mettere sul tappeto dei temi che vengono affrontati da cristiani, ebrei e musulmani seguendo dei testi, che poi vengono commentati insieme. E questo dà inoltre modo di conoscerci meglio, anche perché facciamo parte, insieme ad altre associazioni, di “Scriptural reasoning”, un percorso di conoscenza delle religioni attraverso la lettura dei testi sacri».
Quella di Mar Musa nel suo complesso è una comunità monastica piccola nei numeri (appena una decina i monaci e le monache presenti tra il nucleo originario siriano di Mar Musa, il monastero di San Salvatore a Cori e quello nel Kurdistan iracheno, a Sulaymanyah) ma forte nelle personalità.
Come padre Jacques Mourad, cofondatore della comunità, anch’egli sequestrato in Siria e liberato dopo cinque mesi di prigionia, esperienza che ha ora raccontato nel libro Un monaco in ostaggio. La lotta per la pace di un prigioniero dei jihadisti e pubblicato da Effatà. O come suor Carol Cooke Eid, cristiana maronita, insignita nel maggio scorso a Berlino del Pax-Bank Preis 2019, un premio per rendere omaggio ogni anno all’impegno straordinario nel dialogo interculturale e interreligioso tra cristiani e musulmani. Non a caso, in una toccante lettera agli amici italiani, dalla comunità hanno scritto: «Continueremo ad amare il nemico e ad aiutare il povero. Continueremo nella speranza e nell’ottimismo a lavorare per la pace. Continueremo così come eravamo, come abbiamo iniziato e come siamo stati chiamati a essere: amare il mondo musulmano e i musulmani». Rafforzati dall’invito di Papa Francesco, che, ricevendo monaci e monache nel 2016, disse loro che «di fronte alle armi nel mondo, le nostre armi sono la preghiera, il perdono, l’umiltà, l’intercessione, il sacrificio. Vi invito a perdere tempo nella preghiera».