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Ucraina, la “fabbrica” dei bambini: i prodotti fallati come Bridget sono abbandonati

SURROGACY

Marina Boyko con la piccola Bridget, nell'istituto ucraino

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Paola Belletti - pubblicato il 28/08/19
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Grazie al coraggioso servizio di giornalismo investigativo di Samantha Hawley per la ABC emergono gli orrori tragicamente prevedibili dell’utero in affitto: in Ucraina i casi di abbandono di neonati considerati “difettosi” sono almeno dieci, ma è quasi sicuramente una cifra per difetto.

Il business della maternità surrogata si sposta in Ucraina

Fa parte del nostro attuale mercato globale la delocalizzazione della produzione dove i vincoli burocratici e il costo del lavoro sono meno pesanti, giusto? Ha conosciuto lo stesso trend anche il settore della fornitura di bambini per conto terzi. La surrogacy è un business enorme e fino ad ora i discount più frequentati erano in Asia. Fino agli scandali che hanno portato a chiudere il via vai di stranieri che inviavano bonifici alle agenzie e ritiravano bambini fatti e finiti. Ricordate il piccolo Gammy? Frutto di una gravidanza surrogata fu lasciato alla donna thai che aveva partorito insieme a lui anche una bambina (brava lei che è nata sana) perché affetto da sindrome di Down. Fu anche grazie allo scandalo che si sollevò in seguito al suo abbandono da parte dei committenti australiani che la Thailandia irrigidì i termini di accesso alla surrogata (a partire da fine luglio del 2015), soprattutto per gli stranieri.



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Le indagini della giornalista dell’ABC News: dal piccolo Gammy a Bridget

A scoprire la drammatica vicenda e a diffonderla fu proprio la tenace Samatha Hawley, autrice dell’attuale reportage Damaged Babies & Broken Hearts: Ukraine’s commercial surrogacy industry  (Bambini difettosi e cuori spezzati: l’industria della surrogata commerciale in Ucraina), a denunciare il caso e mettersi sulle tracce di altri bimbi “commissionati e non ritirati”, alcuni mai rintracciati.

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Ora che le località del sud est asiatico sono così poco ospitali, il nuovo infernale paradiso dell’utero in affitto è l’Ucraina. Aumentate del 1000% le richieste negli ultimi tre anni, si legge su TPI, moltissimi gli italiani.

La bionda e volitiva giornalista in forze all’emittente australiana ABC News ha indagato instancabilmente sul fenomeno seguendolo anche nella sua versione indoeuropea e si è concentrata soprattutto sul caso di una gravidanza ancora una volta gemellare commissionata da una coppia americana e finita con la morte di un bambino e l’abbandono della bambina a causa dei danni cerebrali conseguenti al parto prematuro. Aveva un informatore a Kiev. Lo racconta nel dettaglio qua.

Seguiamo la storia come la riporta Avvenire:

Questi i dati di cronaca, raccontati da Hawley in un toccante reportage televisivo di oltre 20 minuti e in un lungo articolo rintracciabile sul Web: Matthew S. E.T., 39 anni, e la matura moglie Irmgard P., 61, stipulano un contratto di utero in affitto in Ucraina. Nel febbraio 2016 la madre portatrice, che vive nell’area di guerra, a Donetsk, mette al mondo due gemelli alla 25esima settimana di gestazione. Uno muore. L’altra è Bridget, 800 grammi di peso. I medici riscontrano danni cerebrali. La coppia americana è delusa, si aspettava un figlio perfetto, non certo un prodotto difettoso… Così rifiutano Bridget, tornano in California e dopo cinque mesi, con una lettera formale chiedono ai medici di «staccare la spina» alla figlia lontana, visto che le sue condizioni appaiono irreversibili.

Il mercato dei figli come Amazon: non ti piace? Fai un reso

L’avanzato Occidente, quando si trova titolare di un intenso desiderio di genitorialità che non riesce a soddisfare da sé e di un sufficiente conto in banca, si dirige verso Kiev o altre città costellate di cliniche per le gravidanze surrogate, di solito portate a termine – o no, come nel caso della povera madre dei due gemellini nati troppo presto – da ragazze povere o poverissime.

Che poi, povere. Sono ricche di fertilità, hanno il ventre da mettere sul mercato. Non è una ricchezza anche questa?

La domanda è alta, l’offerta si organizza. Ma se un prodotto per il quale si è pagato non viene consegnato secondo le aspettative messe a contratto cosa fa un povero cliente insoddisfatto, oltre a lasciare una pessima recensione? Rende il prodotto o, come in questo caso, preso atto della qualità così scadente, lo lascia al produttore.

Così è avvenuto per Birdget. La mamma surrogata nel pieno della gestazione è stata sfollata a forza da una zona di guerra, Donetsk ed avendo una gravidanza gemellare è incorsa in complicanze che le hanno indotto un parto tragicamente prematuro.

In questa cinica “amazonizzazione” della gestazione umana la presenza di “prodotti” che disattendono i desiderata dei clienti sono statisticamente prevedibili e forse pure accettati. Basta che i clienti che lasciano una stellina siano pochi, ecco tutto. Ma siamo umani e quei bimbi sono la pietra d’inciampo che la Provvidenza lascia sulle nostre strade per farci cadere faccia a terra sulle nostre miserie.



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Questa bambina, cercata per un anno intero da Samantha Hawley, ha tuttora l’ardire di vivere e di prendere l’amore che le viene, come viene. Ai suoi genitori americani non piace, si sa, e per questo si sono permessi di chiederne persino la soppressione per interruzione dei sostegni vitali.

Ha il cognome di questa coppia non è cittadina ucraina, vive senza essere di nessuno, sorride, si sforza di imparare. Siamo nell’istituto di Zaporizhzhya, un centro industriale a sud-est della capitale Kiev ed è lì che vive ancora la piccola, insieme ad altri 200 bambini circa.

Nella sua vita è entrata quella di un’infermiera, la signora dai capelli rossi che alza davanti al suo viso quello della dolce Brizzy. La ama, si prende cura di lei ma non può diventare sua madre adottiva. Si rammarica che non sia stata accolta subito in una famiglia vera in grado di amarla e stimolarla adeguatamente perché Brizzy ha tante potenzialità, dice in mezzo ad un sorriso e un magone che la strozza.

(…) Bridget vive. Cresce. Oggi ha 3 anni e mezzo, è disabile, ha un ritardo intellettivo e motorio, ma con la sua dolcezza abbaglia la giornalista australiana che è riuscita a rintracciarla e incontrarla. L’infermiera che segue Bridget da quando è nata, Marina Boyko, la fa giocare, la abbraccia e assicura che la piccola bionda è in grado di capire ciò che le si dice, probabilmente potrà camminare. Certo, se avesse avuto una famiglia amorevole accanto anziché un orfanotrofio e delle infermiere, per quanto affettuose, le cose sarebbero potute andare diversamente. (Ibidem)



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Sono andata a vedere sulla pagina Facebook della coraggiosa giornalista: c’è un post datato 23 agosto che ha per oggetto la gratitudine. Sono arrivate donazioni per aiutare Bridget nelle cure e anche disponibilità ad adottarla.

Nel mercato disumano del commercio di bambini e sfruttamento delle donne c’è una tragica e coerente conseguenza: i prodotti fallati non arrivano a casa del cliente. Ma sono proprio questi bimbi, fragilissimi, a gridare al mondo che siamo ancora umani e che il nostro principale dovere è l’amore ai piccoli, a quelli che sono “solo” persone. Prima o senza poter diventare “centri di produzione di consumo”.

Anche questi sono effetti collaterali e decisamente più desiderabili.


SIMON CLARK, BULGARIA, DOWN
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