Il pudore, prima di essere una virtù, è anzitutto la paura di turbare la sacra intimità altrui esponendo la propria. Oggi l’illimitato svelamento delle emozioni conduce a ogni abuso, a ogni manipolazione e a ogni vanità.
Tra tutti i valori e tutte le virtù messi male nella nostra epoca, il pudore è indubbiamente in vetta alla classifica. Da molto tempo gode di cattiva fama, specialmente da dopo la rivoluzione del 1968. La parola, nel suo senso attuale, non è apparso nella lingua francese che nel XVI secolo, e non a caso ma proprio quando le norme che gestivano l’esercizio del pudore stavano cambiando. L’impudicizia contemporanea occidentale abbraccia un campo ben più largo di quello della nudità o della sessualità. Essa affetta praticamente tutti i dominî dell’esistenza, e tocca indiscriminatamente tutti gli àmbiti della società, senza risparmiare quelli che fino a non molto tempo fa erano visti come baluardi della difesa e della pratica del pudore, cioè i cattolici e i cristiani.
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Esibizionismo dilagante
La situazione non è nuova. Lo sgretolamento comincia quando l’uomo all’improvviso decide di mettersi al centro del mondo e di contemplarsi, di ammirarsi, e di desiderare gli altri per soddisfare in sé ogni specie di piaceri. Il meccanismo s’inceppa però quando ciascuno si costruisce la propria bolla senza preoccuparsi della presenza altrui. In una Lettera a Jean Lestandi Céline, che pure ha una penna decisamente osée, già si lamentava:
Ah, quanto è difficile far apprezzare il pudore, nel tempi che corrono, in cui l’Oscenità tiene banco, in cui tutto l’Olimpo s’involtola al Circo!
Il pudore non riguarda solamente o anzitutto il corpo. Non basta strillare “Si copra quel seno che altrimenti potrei vedere!”, per sfuggire all’esibizionismo dilagante, che fa cadere le frontiere di ogni ritegno e di ogni cortesia. Basta guardare una di quelle trasmissioni televisive dove i candidati del quiz o dei reality si espongono senza vergogna, raccontando tutti i loro fantasmi, tutte le loro turpitudini, e tutto ciò esibito con una sorta di vanità che pensa di essere provocante mentre non è che pietosa. Basta camminare per strada o salire su un mezzo pubblico per essere involontariamente testimoni di una totale mancanza di ritegno e di discrezione: le conversazioni telefoniche sui cellulari urlate con forza, anche quelle che toccano registri molto personali e intimi. Basta constatare che tutte le tenute di vestiario sono ormai possibili, in qualunque luogo (compresi i più sacri). Basta passare in una spiaggia, anche quelle più “family-friendly”, per scoprire che i corpi si espongono al ritmo in cui si denudano gli spiriti.
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Il pudore è anzitutto una riserva
L’animale e il cucciolo d’uomo sono “al naturale”. Non sono coscienti di quel che fanno e dunque non sono responsabili delle loro azioni. Il pudore – nell’espressione, nell’attitudine, nel vestire, nel sentimento – è il risultato di un lungo apprendistato che non è frutto di un’imposizione dell’ipocrisia o di un’entità pudibonda, bensì quel che eleva l’anima ed educa lo spirito, al fine di vivere con gli altri in una più grande armonia. La cosa peggiore è forse l’impudicizia dei sentimenti e delle emozioni. Diversi fatti ci mostrano quanto siamo messi male su questo: ostentiamo le reazioni più grossolane, anche e soprattutto davanti agli obiettivi delle telecamere. Il pudore è anzitutto una riserva, non è un’oppressione. Esso mette ordine e armonia lì dove, istintivamente, regnerebbero disordine e caos. L’abilità degli impudichi è di ridurre il pudore a un biglietto normativo del vestiario. Fin dalla più alta antichità, esso è molto più di questo.
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All’origine del saper-vivere
La mitologia greca mette in scena Penelope che deve scegliere tra Ulisse e il proprio padre Icario. Turbata, ella si copre il velo col peplo e Icario, colpito, avrebbe un tempio al Pudore sul luogo dell’avvenimento. Platone avrebbe associato il pudore alla Giustizia, perché esso è obbedienza a norme che, violate, comportano conseguenze sanzionatorie. Aristotele, nella Retorica, avrebbe sottolineato il fatto che il pudore è anzitutto il timore dello sguardo altrui su un’azione malvagia, timore che cresce in funzione della familiarità con questo preciso altro. Ciò oltrepassa largamente l’àmbito della nudità e del sessuale. A partire da Cicerone, il senso diventa più ristretto ed è l’Arpinate a focalizzare il pudore sulle parti del corpo cui sono deputate le necessità vitali – questo nel De Officiis. Fino al Medio Evo, il pudore resta riservato alla morale dei gesti, con una ricerca del giusto equilibrio, del senso dell’onore. Questo ingloba certamente la castità, che deve essere l’opzione fondamentale del cristiano, e la oltrepassa giungendo a regolare in modo equilibrato tutti i comportamenti sociali. Da una tale concezione sarebbe sorto il codice del saper-vivere, regole comuni che avrebbero reso le relazioni gradevoli, improntate a cortesia e a delicatezza. A questa pratica del pudore si deve una parte della reputazione sui costumi francesi fino al XVIII secolo.
L’esaltazione del “Buon Selvaggio”
Tale eredità è stata largamente perduta da decenni, e il processo si fa più veloce. San Tommaso d’Aquino aveva mostrato che il pudore non è una virtù in sé stessa perché è anzitutto il timore di commettere un atto vergognoso, mentre la virtù è al riparo da un simile pericolo, ma aiuta la pratica della virtù (S.Th. II-IIæ q. 144). La ritorsione avrebbe preso il via con l’esaltazione del “Buon Selvaggio”, di cui si loda la presunta innocenza, nel XVIII secolo. La Rivoluzione francese avrebbe finito col pervertire tutto, poiché i suoi capi più sanguinari – come Robespierre – avrebbero sparso cruore nel nome di una Virtù sostenuta da sé stessa in un cielo di tenebre. Non desta dunque stupore che la reazione borghese del XIX secolo non abbia ritenuto del pudore se non quanto attiene al corpo. Al giorno d’oggi, invece, fa “bon ton” denunciare quanto viene considerato mera ipocrisia e semplice convenzione sociale. Ciò non toglie che il dominio sulle emozioni e sulle passioni, svalutato dal romanticismo, permetteva tra le persone rapporti più semplici di quelli comportati dalla costante esposizione sentimentale della propria intimità. Era uso non rivelare i propri sentimenti e il proprio cuore se non al vero amico – e non al mondo intero. I “social” network sono, da questo punto di vista, disastrosi in quanto hanno eretto l’esibizionismo a norma fondamentale. Ciascuno espone i minimi dettagli della propria intimità e della propria vita personale, compresi i pasti, gli acquisti, gli sbalzi d’umore e le opinioni su tutto e sul contrario di tutto. La breccia così aperta conduce a ogni sorta di abusi, a ogni menzogna, a ogni manipolazione e a ogni vanità.
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Saper restare in silenzio
Una rieducazione al pudore passa anzitutto dall’esercizio che consiste nel rispettare gli altri non imponendo le nostre emozioni, le nostre attitudini, le nostre opinioni. In molte occasioni dovremmo restare silenziosi. Allo stesso modo, c’è della manifesta impudicizia nel voler conoscere la vita altrui per curiosità e senza essere invitati. Violare la propria intimità è un crimine. Esporla in pubblico ancora di più. Il mondo interiore di ogni persona non appartiene che a Dio e a quelli ai quali l’interessato vuole aprire la propria porta. Dimenticare questo principio di base significa condannarsi a seguire il movimento circostante contemporaneo per il quale nessun limite è ammissibile. Tutto dev’essere un vasto campo aperto che s’offre impudicamente ai passanti. Cristo ci ha insegnato a coltivare questa riserva, questa discrezione, in ogni campo. Niente dev’essere sbandierato ai quattro venti, pena il rischio di evacuazione delle carni e delle anime. René Girard scriveva che
ciascuno aspira a sentirsi vittorioso in un universo in cui tutti sono fuori strada.
L’impudicizia moderna, quella che non nasconde né la pelle né l’anima, è un’arma del demonio per spingere gli uomini a mettersi gli uni contro gli altri abbandonando ogni rispetto di fronte del perimetro sacro che è la vita di ciascuno. La sciatteria e la provocatorietà dell’abbigliamento sono rivelatori di uno stato spirituale che va ben oltre la nudità dei corpi. Esporsi in ogni circostanza, senza vergogna, è marchio eminente di egoismo e di disprezzo.
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Sarebbe ora che i battezzati, rivestiti dell’abito bianco del pudore cristiano, ritrovassero il loro buonsenso e cessassero di sposare l’errabondo vagare del mondo, che li spinge a dimenticare ogni riserva – talvolta perfino nel loro modo di pregare pubblicamente. Gli eccessi di espressione sono delle aggressioni ai danni del silenzio divino. Il buongusto e l’equilibrio devono regnare nella nostra vita spirituale. L’Anticristo non indietreggia davanti ad alcun eccesso. La sua impudicizia è proporzionata alla sua ambizione ed egli tiene al guinzaglio tutti quelli che esibiscono il proprio sé e il proprio ombelico di fronte al mondo.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]