Ieri le principali testate italiane – dopo settimane di silenzio – sono tornate a parlare di Angeli e Demoni, l’inchiesta sugli affidi illeciti che ha travolto i servizi sociali della Val d’Enza.Come svegliati all’improvviso da un sonno profondo, quotidiani e telegiornali nazionali hanno dato ampio spazio a quello che ormai è conosciuto come “caso Bibbiano”, anche se le dimensioni e la gravità dell’inchiesta vanno ben oltre i confini di questo comune di 10 mila abitanti in provincia di Reggio Emilia.
Il motivo del “risveglio collettivo” va senz’altro al servizio di Luca Ponzi, che per il Gr Rai dell’Emilia Romagna domenica ha per primo mandato in onda un audio che è un pugno nello stomaco.
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Nei contenuti non c’è nulla di nuovo, l’intercettazione era già contenuta nelle 277 pagine dell’ordinanza firmata dal Gip di Reggio Emilia a giugno, ma ascoltare una madre affidataria brutalizzare la bambina che le è stata affidata, sentire gli insulti e le urla è molto diverso.
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«Scendi! Scendi! Non ti voglio più»: l’intercettazione avviene all’interno di un abitacolo, si sente aprire lo sportello e si sente lo scrosciare della pioggia. «Io non ti voglio più, scendi!», poi lo sportello si chiude e la bimba rimane sotto l’acqua. Ma c’è dell’altro. Stessa madre affidataria, stessa bambina, stesse urla, stessa violenza. La donna accusa la piccola di non voler mettere per iscritto gli abusi sessuali subiti dalla sua famiglia di origine, abusi che in realtà non sono mai avvenuti: «Tu non scrivi – dice – perché c’hai paura di scrivere, perché le cose che devi scrivere adesso sono talmente profonde che non ti va più di scriverci. Non ci vuoi neanche andare vicino!». Impossibile ignorare un audio così e infatti tutti i siti di informazione ne parlano: dall’Ansa al Corriere, da Repubblica al Messaggero, da La Stampa ai vari Tg, ecc.
I media mainstream sembrano così rispondere a chi da giugno riempie i social con l’hashtag #parlatecidibibbiano, sembrano finalmente dare spazio a un’inchiesta scomoda e su cui molti hanno preferito usare la sordina. Eppure qualcosa non torna.
Sebbene il nome della persona intercettata fosse già uscito, si tratta di Daniela Bedogni, una delle persone indagate, sono pochi quelli che lo esplicitano e soprattutto nessuno – o quasi – si ricorda di scrivere che la Bedogni era madre affidataria insieme a un’altra donna, Fadia Bassmaji, con cui è “unita civilmente”. Non solo. La bambina, secondo i giudici, sarebbe stata affidata alle donne in questione in funzione del fatto che una delle due aveva avuto in passato una relazione omosessuale con Federica Anghinolfi, responsabile dei servizi sociali della Val D’Enza e figura chiave nell’inchiesta, di cui il giudice scrive che sono «la sua stessa condizione personale e le sue profonde convinzioni a renderla portata a sostenere con erinnica perseveranza la “causa” dell’abuso da dimostrarsi “ad ogni costo”».
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Nell’ordinanza si parla inoltre di «incentivi all’affidamento di bambini a coppie omosessuali nell’ambito del noto movimento Lgbt». Operazioni che hanno avuto, sempre secondo il giudice, obiettivi ideologici oltre che economici. Eppure non lo scrive nessuno. O quasi.
Repubblica, Tgcom e Ansa addirittura – in un estremo tentativo di normalizzazione? – parlano di “genitori affidatari” e pur essendo già da mesi usciti i nomi utilizzano, nel dare la notizia, due nomi di fantasia: “Michela e Andrea”.
Come fossero un maschio e una femmina, come fossero un papà e una mamma, come a voler ribadire che in qualunque famiglia può esserci la pecora nera. Eppure questa non era una “famiglia” e soprattutto non era una “famiglia qualunque”.