«Cattolici costretti a fare anche 800 chilometri per assistere ad una messa». Il Vicario d’Anatolia spiega che si sta aprendo una nuova storica pagina per il cristianesimo in Turchia (anche grazie a rifugiati e profughi), ma servono risorse.
Monsignor Paolo Bizzeti, gesuita, biblista, sacerdote carismatico innamorato della Turchia da quarant’ anni – una terra a cui ha dedicato studi, libri, pellegrinaggi –, quando forse non ci pensava più fu scelto da papa Francesco per guidare questa diocesi vastissima che va dal Mar Nero al Mediterraneo, ai confini con la Siria, l’ Iraq, l’ Iran.
Era il 2015 e il posto che padre Paolo si preparava a occupare era stato lasciato tragicamente vuoto, cinque anni prima, da monsignor Luigi Padovese, assassinato nel cortile in parrocchia dal suo autista, al grido di Allahu Akbar (ma le ragioni dietro all’orrendo delitto non sono mai state chiarite veramente, ndr) (Famiglia Cristiana, 15 agosto).
Protestanti evangelizzatori
Bizzeti sostiene di avere trovato in Anatolia, una Chiesa «sofferente e abituata a restare chiusa nei propri confini. Qui da secoli non esiste più un’ azione missionaria. Negli ultimi decenni, mentre i cattolici latini si sono sempre più rinchiusi nelle chiese e nei conventi, i protestanti hanno fondato 120 comunità nuove. Oggi in Turchia tutti i libri sul cristianesimo o le trasmissioni televisive o radiofoniche che parlano di Gesù sono opera dei protestanti, che si sono immersi tra la gente e hanno trovato i modi per fare arrivare l’ annuncio del Vangelo. Ora, finalmente, stiamo cercando di muoverci anche noi».
Leggi anche:
Come cresceranno cristiani e musulmani nei prossimi quarant’anni?
Le famiglie dei rifugiati
Il vescovo racconta l’impegno sul piano umanitario, «perché ci siamo trovati di fronte all’ emergenza di masse di rifugiati in fuga dalla Siria e dall’ Iraq, in condizioni tragiche. Perciò abbiamo riaperto la Caritas, organizziamo pacchi alimentari, buoni spesa, forme di microcredito, borse di studio. Ma la presenza dei rifugiati cristiani, che oggi sono più dei fedeli locali, ha aperto anche un’ enorme opportunità per la Chiesa».
Monsignori Bizzeti fa riferimento a quelle famiglie «che hanno preferito perdere tutto piuttosto che rinnegare la loro fede, quindi presenze vitali, attive, che però, un po’ come accade anche in Italia, sono sempre andate avanti concentrandosi sulla liturgia, le feste, le tradizioni… non hanno una formazione solida. E noi, purtroppo, non siamo attrezzati per venire incontro con efficacia a queste emergenze pastorali».
800 chilometri per una messa
Il Vicario non gira attorno al problema: «Ci servono sacerdoti, suore, laici preparati che possano affiancare i nostri cristiani nella formazione e nella pastorale quotidiana, che è ancora più complessa a causa delle grandi distanze. A Iskenderun, dove non ho più un parroco per la cattedrale, la chiesa più vicina è a 60 chilometri; a Van per trovare una Messa bisogna viaggiare addirittura per 800!»
Leggi anche:
I cristiani di Turchia attendono papa Francesco
300 contatti in una settimana
Non solo problemi logistici, ma anche culturali. «Penso in primo luogo al tema di una vera libertà religiosa e del riconoscimento della personalità giuridica per le istituzioni cattoliche, in mancanza del quale abbiamo moltissime difficoltà a fare attività pubbliche. Eppure, vediamo lo Spirito agire ogni giorno».
«Abbiamo tremila rifugiati arrivati dall’Iran e dall’ Afghanistan in cerca di Gesù Cristo, che hanno incontrato o grazie ai protestanti o attraverso le vie più incredibili: sogni, siti internet… Non abbiamo un sacerdote di lingua farsi che riesca a seguirli, allora con un piccolo staff abbiamo organizzato un cammino di catecumenato con momenti concentrati lungo l’ anno e ora abbiamo aperto una semplice web radio di prima evangelizzazione: la prima settimana di trasmissione abbiamo avuto tremila contatti!».
Leggi anche:
Mancano umiltà e misericordia per far parlare cristiani e musulmani in Turchia
Le conversioni
L’intervista al settimanale Credere (edito da San Paolo), ripresa da Famiglia Cristiana, si conclude con una notizia molto importante: il Vicario annuncia che ci sono anche molti musulmani turchi che vogliono convertirsi
«Ci vuole un cammino lungo e non abbiamo sufficienti operatori pastorali per seguirli – chiosa – eppure oggi nella mia diocesi i fedeli più entusiasti sono proprio i neofiti. E poi abbiamo casi di musulmani che non intendono convertirsi, ma che vogliono conoscere meglio il cristianesimo e così ci aiutano a veicolarne i veri contenuti e valori nella società turca. Questa è davvero una terra piena di opportunità per una Chiesa che voglia tornare ad essere missionaria».
Leggi anche:
Turchia, solo il dialogo può assicurare un vivere civile