Solo le risorse stupefacenti del Vangelo sono riuscite a farmi passare dalla preoccupazione momentanea sull’abbronzatura a una domanda davvero scottante: sono libera di mettermi davvero nelle mani di Dio?“Sciogliersi al sole” è una delle espressioni che usiamo per descrivere il caldo opprimente dell’estate. Le previsioni meteo ci preannunciano giorni torridi, temperature che schizzano in alto e sole pieno. Al mare le spiagge sono piene di bagnanti sdraiati a prendere il sole, coperti di crema protettiva ma desiderosi di abbronzarsi. Il sole scotta, eppure è gradevole stendersi e mettere in pausa i pensieri e le mille frenetiche attività … stare a non far niente, godersi la luce che pizzica sulla pelle.
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Le vacanze sono necessarie, il corpo e la mente meritano una pausa e quindi anche il totale abbandono alla pura abbronzatura; un brulicare di corpi distesi e rilassati. Ma noi, esseri umani, siamo pannelli solari o candele?
Perdonerete l’irrompere di questa metafora spinta nel bel mezzo di un discorso su relax e vacanze. È stata un’intuizione che ha sorpreso anche me, mentre ero affaccendata a fare altro. Intendo “intuizione” come ipotesi che si spalanca nei pensieri e non come improvviso colpo di genio. Queste sorprese spesso e volentieri mi capitano quando c’è di mezzo il Vangelo. Sì, perché non è solo un modo di dire “la Sua Parola non passerà”; l’apparente semplicità dei racconti evangelici conosce il vero elisir di lunga vita, anzi di eternità: sono parole che più passa il tempo più sanno abbracciare e illuminare l’esperienza dell’umanità nel complesso, e di ogni singola persona nel suo particolare. Stupendo e misterioso.
Scottature superficiali
Solo una coincidenza poteva farmi associare spontaneamente, quanto imprevedibilmente, una giornata in piscina alla libertà umana che si consegna a Dio.
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Qualche giorno fa meditavo sulla voglia smodata della mia figlia minore di trascorrere un po’ di tempo a tuffarsi da qualche parte, in mancanza del mare andava benissimo la piscina; riflettevo sulla mia poca voglia di trascorrere un fine settimana sotto il sole (“Perché gli altri si godono il solleone sdraiati e io dopo 5 minuti devo correre a ripararmi all’ombra?” pensavo). Nel frattempo il lavoro di redazione mi imponeva di fare i conti col Vangelo del giorno, che parlava sì di una luce accecante che scotta, ma capace non solo di abbronzare la superficie bensì di trasformare l’intera persona, da dentro. Questa luce potente è “il giogo leggero di Dio”, e ci arrivo a breve.
È stato questo collegamento estemporaneo a farmi pensare al nostro atteggiamento da spiaggia come a un’immagine che parla anche di una condizione umana frequente, non completamente disdicevole ma tutto sommato riduttiva. L’uomo sdraiato al sole (o la donna, eh … qui è un attimo essere accusati di sessismo) ci offre un’istantanea di disponibilità all’accoglienza: come un pannello solare, l’essere umano al mare è disponibile a ricevere la luce del sole sul massimo della superficie corporea a disposizione, ambisce a un’abbronzatura integrale. Non si muove, forse sonnecchia, le difese sono piuttosto abbassate, si lascia fare dai raggi solari.
L’effetto complessivo, quando ben riuscito, è una doratura invidiabile che riguarda solo la pelle. Per ottenerla ci vuole un buon equilibrio di creme protettive e acque abbronzanti, un’esposizione curata e un’attenzione alle scottature. Si suda e ci si scurisce la pelle, è questo l’effetto del sole al mare. Altrettanta accortezza ci vuole a mantenere il colorito il più a lungo possibile, perché – ahimè – è superficiale. Volendo tradurre il nostro stile di vita marittimo in una metafora, si può dire che tante volte c’interessa fregiarci della bellezza della Luce solo in superficie.
Dio ha illuminato la mia vita, ed è una faccenda bellissima: lo faccio vedere agli altri, appuntandola come una medaglia sul petto; ne mostro l’effetto epidermico. Ma la Sua Luce brucia molto più del sole, quanto sono disposto a lasciarmi scottare? Mi accontento di un cambiamento superficiale che col tempo scompare e non si è davvero infilato e infiltrato nella mia persona intera?
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La nostra disponibilità alla Luce dovrebbe essere struggente e non sdraiata. Dovrebbe struggersi come cera, e non stare semplicemente passivamente supino. Io temevo di bruciarmi la pelle al sole durante una giornata in piscina, poi – di botto – mi sono chiesta se nella vita mi lascio penetrare dalla Luce vera fino in fondo. Può sembrare un gesto estremo di remissività; la Luce di Dio è un fuoco che colpisce potente, brucia. Le circostanze della vita a cui diamo il nome di dolore, sofferenza, incomprensibile male, sono scottature radicali che hanno, talvolta, la capacità vertiginosa di renderci più disponibili alla voce del Padre. Alcune testimonianze autentiche di persone eroiche, eppure senza superpoteri, ci dicono di essere come candele, plasmati dalla chiamata luminosa di Dio dentro le avversità.
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A ben vedere quest’ipotesi è una scelta liberatoria, cioè capace di innescare la vera libertà umana. Tutt’altro che remissiva, anche se richiede una docilità totale. Ora capisco perché Dante insiste così tanto a ripetere le immagini di cera e di sigillo nel Paradiso. I veri beati sono candele, ma non solo perché hanno riverberato scintille di luce; innanzitutto perché si sono lasciati sciogliere, per portare poi la luce. Abbronzarsi in superficie è tollerabile e magari piacevole, ma chi è disposto a tollerare che la potenza della Luce superi l’epidermide, penetri nel corpo e nell’anima e ci cambi completamente?
Conciliare le colonne marmoree della nostra libertà con il desiderio di essere malleabili a ipotesi di compimento migliori di quelle escogitate dai nostri progetti è una sfida aperta in ogni nuovo giorno che sorge. È scottante, sì certo.
Una vita a lume di candela
Mi scocciava parecchio portare mia figlia in piscina e dovermi esporre al sole, vista la mia insofferenza ai raggi che bruciano. Il commento quotidiano al Vangelo ha alzato l’asticella delle ustioni possibili, portandomi a guardare, ammirata e commossa, l’intensità di una Luce che ha la presunzione di scioglierci davvero e di cambiarci dalle viscere alla punta dei capelli. Mi sono ritrovata a leggere la riflessione di un vescovo vissuto 16 secoli fa, Diadoco di Foticea … un nome a me sconosciuto. Possibile che dopo qualche riga me lo sentissi vicino come un caro amico? Possibile.
È il tipico scherzo delle cose cristiane: condividendo con altri uomini l’origine e il senso di tutto ci si scopre vicini e affratellati anche ad anni luce o millenni di distanza. Diadoco scrive, tentando di spiegare cos’è il giogo leggero di cui parla Gesù: