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Dal Papa parole sulla Siria e non su Bibbiano: forse che Dio ha figli e figliastri?

POPE AUDIENCE JUNE 26; 2019
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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 22/07/19
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Per una malintesa concezione dell’autorità ecclesiastica (in generale, ma in particolare di quella romana e papale) alcuni si attendono che il Romano Pontefice “pontifichi” un po’ su tutta l’attualità, chiaramente soffermandosi sui casi maggiori. Fatta salva la buona fede di quanti osservano ciò, sarà il caso di offrire qualche precisazione.

Poche ore fa è stata data notizia – nella prima giornata di lavoro di Matteo Bruni come nuovo direttore della Sala Stampa della Santa Sede – della lettera inviata dal Santo Padre al presidente siriano Assad. L’ha recapitata brevi manu il cardinale prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, Peter Kodwo Appiah Turkson. Questi era accompagnato dal proprio sottosegretario al Dicastero, padre Nicola Riccardi, e dal Nunzio Apostolico in Siria, cardinale Mario Zenari. Un imponente spiegamento di forze diplomatiche, che si spiega in ragione dei raid aerei governativi avvenuti nella giornata di ieri nell’area di Idlib: almeno diciotto persone sono morte, stando all’Osservatorio siriano per i diritti umani, tra cui sette bambini. Altre dodici persone, tra cui cinque bambini, sono state uccise nel villaggio di Urum al-Jawz; ancora quattro, due dei quali bambini, sono caduti a Kfarouma, a sud della medesima provincia di Idlib.



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La Siria, un pensiero costante per Francesco

La lettera del Papa «esprime la profonda preoccupazione del Santo Padre per la situazione, con particolare riferimento alle condizioni drammatiche della popolazione civile a Idlib» (così Bruni). Il conflitto siriano infuria con vicende alterne dal 2011 e Idlib è al centro di uno dei fronti attuali da quasi tre mesi: nel magistero di Papa Francesco si trova un costante appello ai responsabili politici, perché l’interesse della popolazione civile – e in particolare dei bambini – prevalga su quelli militari, strategici ed economici.


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La notizia, freschissima di Sala Stampa, è utile per meglio porre una domanda più volte ricevuta in redazione nelle ultime settimane: perché il Papa non ha detto una parola sugli scandali di Bibbiano? È sempre difficile ragionare dei silenzi, ma (senza alcuna pretesa di risultare esaustivi) proveremo a dire qualcosa. E anzitutto dovremo distinguere due fattori contingenti, diciamo “locali”, per poi richiamare qualcosa del peculiare ufficio petrino.

Gazzarra politica su fatti non ancora acclarati

Fatta la legge, trovato l’inganno: così nelle nostre società il garantismo – da istituto liberale che tutela il diritto alla buona fama e impedisce al quarto potere di dare la scalata al terzo – diventa scudo da usare, a targhe alterne, quando gli inquisiti sono nostri amici oppure amici di amici. Siamo tanto immersi in questo malcostume da essere giunti, nei giorni scorsi, a trasformare le accuse a carico del sindaco Andrea Carletti – abuso d’ufficio e falso ideologico – in una sorta di “assoluzione morale”: 27 personalità operanti nell’amministrazione della cosa pubblica sono indagate a vario titolo per il concorso a un grave fenomeno di corruzione amministrativa che abusava delle proprie prerogative per prevaricare i diritti naturali di famiglie, nelle quali i genitori si vedevano togliere i bambini senza alcun motivo sostanziale, e i bambini venivano mandati in affido a coppie colluse con gli assistenti sociali. A questo già malavitoso sistema si aggiunge l’aggravante che i nessi tra Federica Anghinolfi, dirigente del servizio sociale integrato Val d’Enza, e le coppie affidatarie risultavano viziati da pregresse relazioni sentimentali (e ideologiche, data la sua aperta militanza LGBT) della dirigente.

Abbiamo chiesto il conforto di un’osservatrice locale, moglie, mamma, cattolica e convinta elettrice di sinistra (che chiede di restare anonima perché appena uscita dall’ospedale):

Quando ancora il “caso Bibbiano” non era deflagrato sulla stampa nazionale ne avevi annunciato lo sconquasso, ma il tuo grido da Cassandra passò inascoltato. Perché?

Ancora me lo chiedo. Il quadro tracciato dai media non era ancora stato ridimensionato (si parlava ancora di elettrochoc e di regali dei genitori negati ai bambini per puro sadismo), ma ce n’era abbastanza per domandarsi, a sinistra, com’era stato possibile che succedesse questo a Reggio Emilia, e per intuire che poteva trasformarsi in una bomba. La vicenda toccava nervi sensibilissimi, la famiglia, i bambini, gli abusi sui minori. Non doveva accadere, e soprattutto non doveva accadere a Reggio, da cinquant’anni vetrina del welfare di sinistra. Se perfino io, elettrice Pd, ero costernata e arrabbiata, che effetto avrebbe avuto su chi ci odia?

Negli ultimi giorni qualcuno ha abbozzato timide apologie ricordando che il sindaco è indagato “solo” per abuso d’ufficio e falso ideologico: la toppa peggiore dello strappo?

Ci sono diversi gradi di responsabilità, naturalmente. E ancora molti dettagli dello scandalo sono riservati, com’è giusto in un’inchiesta che coinvolge minori. Ma che si trattasse di cinica speculazione su famiglie in difficoltà è chiaro. Una bassezza tale che, a mio parere, anche aver solo collaborato involontariamente o attraverso atti amministrativi è un’onta. Ci sono state vite stroncate, reputazioni distrutte, infanzie rovinate. Se dal punto di vista legale ce la si può cavare, moralmente è un’altra cosa.

Mentre personalità pubbliche apolitiche (come i cantanti Laura Pausini e Nek) hanno rotto il silenzio sul tema, dall’altra parte dell’emiciclo si accingono a brandire il caso per propaganda partitica: cosa auspichi per evitare che finisca tutto nella solita chiacchiera?

In Emilia Romagna siamo in clima preelettorale. Sì che alla vigilia del voto la malafede è a 360 gradi e la lotta è senza esclusione di colpi. Da una parte si creeranno i mostri, dall’altra si griderà al complotto. Se tutto finirà “solo” nella solita chiacchiera e non in una caccia alle streghe che farà vittime innocenti, a cominciare dal tanto di buono che c’è nei servizi sociali emiliani, sarà già molto.

So che, benché cattolica, hai posizioni molto “liberali” sulle c.d. “tematiche LGBT”, ma permettimi di chiederti: che tipo di considerazioni suggeriscono i legami (che ad alcuni sono sembrati ideologici, oltre che affettivi) tra Federica Anghinolfi e alcune delle affidatarie di bambini di Bibbiano?

Sono più che liberale su questi temi e difendo le famiglie omogenitoriali perché non credo che sia la differenza di genere fra i genitori a fare la differenza, ma la loro capacità di amare e proteggere. Se il sistema creato a Reggio dalla Hansel e Gretel verrà accertato dall’inchiesta, è indifendibile in toto in quanto disonesto e volto a interessi personali. Che i responsabili della Onlus possano avere avvantaggiato ingiustamente coppie omogenitoriali consente alla destra di gettare sul fuoco della loro propaganda anche la benzina dell’omofobia, esacerbando pregiudizi e intolleranza.

La Chiesa ha già parlato, in mons. Camisasca

Andando sul piano più propriamente ecclesiastico (e poi ecclesiologico), bisogna dire che la Chiesa ha già preso posizione sul caso, e nel modo più autorevole: sul numero di domenica 7 luglio (la copia settimanale più diffusa e più letta del quotidiano dei vescovi) Avvenire ha pubblicato una dettagliata intervista di Luciano Moia all’Ordinario del luogo, cioè al vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, mons. Massimo Camisasca. Ne riportiamo qualche passaggio:

E per quanto riguarda l’affermarsi di questa cultura antifamiglia?
Non posso che rispondere affermativamente. Salvo restando le responsabilità dei singoli, oggi esiste una cultura molto invadente che vede nella famiglia (padre, madre e figli) un luogo potenzialmente oppressivo e perciò da colpire. Per ‘salvare’ un bambino occorre fare di tutto per ‘salvare’ la sua famiglia. Essa è la custode di diritti e doveri primari che nessuno stato può ‘normalmente’ avocare a sé. Indebolendo la famiglia si indeboliscono tutte le forme di aggregazione sociale in un paese.

E qui coglie davvero la presenza negativa della cosiddetta cultura Lgbt?
Purtroppo, in taluni casi, questa cultura partecipa di questo attacco alla famiglia, che vede come una contraddizione ai diritti dei singoli. Una famiglia vera invece custodisce i diritti di tutti e i doveri di tutti qualunque siano gli orientamenti religiosi, culturali e sessuali dei propri figli.

[…] Non le sembra che alla base di questi drammi ci sia sempre ‘anche’ una carenza educativa. E qui forse ci sarebbe da interrogare la qualità della nostra pastorale per e con le famiglie. Meno matrimoni, meno figli ma anche una conflittualità crescente di fronte alla quale talvolta non abbiamo gli strumenti per intervenire. Cosa possiamo fare?

Nella visita pastorale che sto conducendo nella mia diocesi mi propongo due obiettivi per ogni comunità: il sorgere o il rafforzarsi della comunità giovanile e l’inizio di una piccola comunità di famiglie che possa essere anche il luogo dell’accoglienza di altre famiglie, soprattutto di quelle che sono sole, disorientate e ferite. Non voglio naturalmente propormi come un insegnante per nessuno, ma penso che non sia un caso che gli ultimi sinodi dei vescovi siano stati dedicati alla famiglia e ai giovani.

Il Papa è garante ordinario dell’autorità dei Vescovi

Come si vede, la Chiesa cattolica si è pronunciata con chiarezza e tempestività, mediante la sua massima autorità locale e a mezzo dell’organo di stampa “ufficiale” dei vescovi italiani, in modo da far giungere le sue parole in ogni più piccolo e remoto paesino d’Italia. Per quanti si aspettano (ma anzi reclamano, ma anzi esigono) l’intervento della Prima Sede, giova forse ricordare la natura dell’ufficio primaziale dell’antica Roma. Il Codice di Diritto Canonico vigente, recependo le norme del decreto conciliare Christus Dominus e le precisazioni apportate da Paolo VI in De Episcoporum Muneribus, illustra così l’equilibrio tra le prerogative del Papa e quelle dei Vescovi:

Can. 331:

Il Vescovo della Chiesa di Roma, in cui permane l’ufficio concesso dal Signore singolarmente a Pietro, primo degli Apostoli, e che deve essere trasmesso ai suoi successori, è capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale; in forza del suo ufficio egli gode, pertanto, nella Chiesa di una potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente.

Can. 333 §1:

Il Romano Pontefice, in forza del suo ufficio, ha potestà non solo sulla Chiesa universale, ma ottiene anche il primato della potestà ordinaria su tutte le Chiese particolari e i loro raggruppamenti; con tale primato viene contemporaneamente rafforzata e garantita la potestà propria, ordinaria e immediata che i Vescovi hanno sulle Chiese particolari affidate alla loro cura.

Questo significa, in breve, che l’ufficio petrino assomma in sé tutte e singole le prerogative di ciascun vescovo del mondo, e che il Romano Pontefice è sempre libero di intervenire in qualunque giurisdizione ecclesiastica come se fosse l’Ordinario del luogo; ma anche che compito precipuo e costante del suo ufficio è rafforzare e garantire i diritti dei confratelli nell’episcopato. Insomma, in parole povere, se il Vescovo risulta manchevole, il Papa ha mano libera nell’intervenire al posto suo (anche se di solito si preferisce sostituirlo); se invece fa il suo lavoro e lo fa bene, il silenzio del Papa è piuttosto garante della sua libertà nativa di agire così.


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Un’altra cosa potrebbe tuttavia spingere il Papa a parlare di Bibbiano, se lo volesse, e cioè la rilevanza su livello universale/globale: per grave che sia il caso, esso sembrerebbe al momento materia da Conferenza Episcopale (certamente emiliano-romagnola, ma forse anche italiana), dunque il Santo Padre potrebbe parlarne sicuramente in un’udienza con le sopraddette conferenze episcopali, oppure in una visita pastorale. Più difficile che la stessa diventi “materia da Angelus”, per capirci (fermo restando che nulla osterebbe…).



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Una curiosità potrà forse risultare più eloquente di queste considerazioni: si consideri come la rete criminale che vediamo emergere da Bibbiano rievochi tristemente quella del Forteto (e speriamo di non dover scoprire cose altrettanto mostruose), anche relativamente alle implicazioni politico/partitiche. Ebbene, lo scandalo del Forteto venne alla luce nel 1978 eppure neanche una volta, nel magistero dei tre Pontefici che da allora hanno occupato la Prima Sedes è ricorso un riferimento all’orrida vicenda. E sì che ce ne sarebbe stato motivo, visto che lo scandalo Forteto gettò ombre perfino sull’esperienza didattica e sulla persona di don Milani (canonizzato il 14 ottobre 2018): niente, nient’altro che il saluto dell’“Associazione Vittime del Forteto” in qualche udienza pubblica. Segno di una Chiesa universale che segue con attenzione le vicende locali ma riserva l’intervento diretto come extrema ratio in caso di difetto o di insufficienza della condotta ecclesiastica locale.



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Due obiezioni

La questione importante, però, quella che ognuno farebbe bene a ritenere per sé, è che non inerisce all’ufficio petrino qualcosa come il sentenziare ogni giorno sulla rassegna stampa. «Ma allora perché il Papa è intervenuto su Lambert – qualcuno potrebbe obiettare –, visto che il Vescovo locale aveva già parlato?». Ne ha parlato all’interno di un contenzioso medico-giuridico (che qui non si dà, perché Camisasca si è detto fiducioso nei confronti della Magistratura), e comunque sempre astraendo verso valori universali quali la vita come bene indisponibile.


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Più interessante, semmai, sarebbe la questione sulla Siria: perché ieri sera in fretta e furia Papa Francesco ha scritto una lettera ad Assad e ha mandato stamattina uno spiegamento diplomatico che implicava l’Ambasciata e la Curia Romana? Da una parte l’intento è “rafforzare” l’autorità dei pastori locali, sempre nello spirito del Can. 333 § 1, analogamente a quanto accaduto per Lambert e mille altri casi; d’altro canto un intervento romano è tanto più auspicabile quanto meno è individuabile, sul territorio, l’autorità ecclesiastica cattolica di riferimento. Mentre infatti a Reims e a Reggio Emilia la Chiesa Cattolica sussiste nella quasi totalità di una realtà latina, in Siria i cattolici di rito latino (meno di 15mila, ossia pochissimi), nella fattispecie romano, sono rappresentati dal Vicariato Apostolico, con sede ad Aleppo, il cui ordinario è il vescovo francescano mons. Georges Abou Khazen; i restanti cattolici (che comunque non arrivano a 20mila) sono Melchiti e dipendono quasi tutti dall’Archieparchia di Aleppo, il cui ordinario è mons. Jean-Clément Jeanbart. Insomma, poiché il primo dei due prelati è appositamente designato dalla Santa Sede ma ha giurisdizione su meno della metà dei cattolici siriani, e considerando il gravissimo pericolo in cui versa la popolazione civile, Papa Francesco cerca di far pesare la propria autorità (semplicemente “morale”, va ricordato) intervenendo in prima persona e/o per mezzo di suoi diretti collaboratori ad actum.



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È triste, infine, osservare che spesso le valutazioni sociali soffrono di pregiudizi politici: così “stiamo con Assad” perché Putin ci è simpatico (e non sapremmo dire perché, se non al prezzo di sfornare fake news ogni giorno), e chiediamo “verità su Bibbiano” perché gli imputati sono nostri avversari politici, ma basta poi poco a scoprire che non tutti i bambini sono veramente uguali ai nostri occhi. Ecco, una cosa che senza dubbio il magistero di Francesco insegna è a guardare in tutti i bambini dei figli di Dio, come in tutti i figli di Dio dei bambini.

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