Chiara Montini racconta la sua infanzia accanto allo zio. E ci fa scoprire un Giovanni Battista che mai ci saremmo aspettati
Che ricordi, che aneddoti quelli che racconta Chiara Montini, su suo zio Papa Paolo VI (1897-1978). Da lui ricevette regali, sacramenti e tanto calore umano. «Da bambina fu tutto più semplice e divertente: un giorno in arcivescovado ci diede in regalo una pecora», racconta nel suo libro “Mio zio, Paolo VI”, di Chiara Montini (Morcelliana).
Le vacanze in Svizzera
«Le sensazioni più belle sono quelle del periodo delle vacanze», evidenzia Chiara. Siamo alla fine degli anni ’50. Il cardinale Montini, accompagnato dai segretari e da padre Giulio Bevilacqua, suo fedelissimo, era solito trascorrere alcuni giorni di riposo in Svizzera, nei monasteri di Einsiedeln e di Engelberg, con la famiglia di suo fratello Francesco (papà di Chiara ndr).
«Era molto attratto dal carisma benedettino», continua Chiara.«L’ora et labora rappresentava il suo stile di vita», così come «ci parlava spesso del Curato d’Ars, per cui provava grande venerazione e ammirazione».
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Uno zio… simpatico!
Al mattino, l’allora zio-cardinale Montini, «intratteneva me e mia sorella Elisabetta con la costruzione dei castelli di carta che, immancabilmente, Bevilacqua faceva cadere» (Famiglia Cristiana, 11 ottobre 2018).
«Lo zio – prosegue Chiara – si mostrava in tutta la sua semplicità: la sua cordialità era espressione di gentilezza e disponibilità, il suo affetto era premuroso e tenerissimo, aveva per noi bambine attenzioni delicate e pazienza infinita, le sue parole erano sempre chiare e comprensibili; spesso veniva a galla un tratto tipico di alcuni esponenti della famiglia Montini, cioè l’umorismo, contraddistinto da una vena di sottile ironia che trovava nell’amico carissimo, padre Bevilacqua, un sostenitore e un complice eccezionale».
L’elezione
Dopo l’elezione al soglio pontificio, nel 1963, la nipote comprese «di aver perso uno zio perché la condizione di un Papa, come ebbe a dire Jean Guitton, è unica al mondo». Gli incontri con l’illustre parente avvennero in seguito con minor frequenza, a cadenza annuale, ma sempre legati a festività mariane: l’8 dicembre, l’Immacolata, in Vaticano e l’8 settembre in occasione della festa della natività della Madonna a Castel Gandolfo.
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Quell’indimenticabile udienza privata
Finito il Liceo, Chiara chiese un’udienza privata per ricevere dei consigli sul percorso da intraprendere.
«La mia insicurezza, i miei dubbi, la mia fragilità trovarono nell’abbraccio dello zio le risposte che nessuno mi aveva potuto dare. In questa occasione fu assolutamente esplicito, chiaro e autorevole. Voleva che io studiassi la storia della nostra famiglia, facessi ricerca delle testimonianze, degli scritti, del pensiero che sempre vivo, forte e fecondo sostenne i nostri familiari. Mi invitò ad approfondire il passato familiare, il nostro comune passato, perché da quelle radici era cresciuto un albero rigoglioso che andava protetto e difeso, custodito e indagato, fatto esempio e modello per le generazioni che sarebbero seguite».
“Situazioni imbarazzanti”
Il momento più complicato del rapporto con sui zio restano gli anni della contestazione, segnati da post Concilio e ’68. Chiara ammette di aver vissuto «situazioni a volte imbarazzanti, dolorose e drammatiche, in cui non sempre ero in grado di difendermi da commenti ironici e battute pungenti. Mi sentivo ferita dalle frecciate che i coetanei scoccavano, dalle frasi aspre e poco gentili rivolte non solo all’indirizzo del mio nome ma anche e soprattutto all’operato dello zio».
Di fronte a tutto questo prima da studente e poi da giovane universitaria arrivò quasi a nascondere le sue origini (La Stampa, 15 luglio).
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