“Tutti gli ospiti che arrivano, siano ricevuti come se fosse Cristo Signore”, così San Benedetto può ispirare ogni casa a essere un luogo di vera accoglienza, che si arricchisce nello scambio reciproco San Benedetto nella sua Regola dedica un intero capitolo all’accoglienza degli ospiti. Il tema è di grande importanza per un monastero ma è ricco di spunti anche per noi laici: l’ospitalità infatti è sempre occasione di carità, di apertura al nostro prossimo, scambio di amicizia e umanità. Il luogo in cui viviamo, sia esso la casa di famiglia, il loft di un single, un luogo di vita comunitaria per laici o religiosi, non deve mai essere un luogo chiuso ma un ambiente dove accogliere volentieri chi, a vario titolo, bussa alla nostra porta. Vediamo allora cosa dice san Benedetto a questo proposito:
Tutti gli ospiti che arrivano, siano ricevuti come se fosse Cristo Signore; poiché egli dirà un giorno: Fui ospite, e voi mi riceveste. Ed a tutti sia reso conveniente onore, ma molto più a quelli della nostra stessa Fede e ai pellegrini. (Regola Cap. LIII)
San Benedetto insegna che non riceviamo un ospite per filantropia o per cortesia mondana, ma per un atto di carità cristiana. D’altronde la storia monastica è una storia di accoglienza, non solo di poveri e pellegrini, ma anche di re, principi, alti dignitari e a volte persino del Papa.
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Bisogna però anche prendere delle precauzioni: la sicurezza del convento deve essere protetta. Si può e anzi si deve impedire l’ingresso nel convento alle persone pericolose o sospette: norma che valeva in tempi burrascosi come quelli di San Benedetto ma che vale anche oggi, considerando i pericoli presenti anche nella nostra società. Se tutti (salvo come abbiamo visto serie eccezioni) sono accolti nel monastero, ci sono alcune categorie che meritano un’accoglienza speciale. In primo luogo chi condivide la fede cristiana: il che sottintende che anche chi appartiene ad altre fedi può essere accolto. In secondo luogo i pellegrini: essi cercano Dio e bisogna aiutarli nel loro cammino verso quell’obiettivo. Infine, i poveri:
Specialmente i poveri e i pellegrini siano accolti con tutto il riguardo e la premura possibile, perché è proprio in loro che si riceve Cristo in modo tutto particolare e, d’altra parte, l’imponenza dei ricchi incute rispetto già di per sé.
Con quanto realismo san Benedetto ricorda che i potenti ottengono già rispetto e ossequio nella loro vita quotidiana: i monaci dedichino quindi attenzione e carità piuttosto ai pellegrini e ai poveri. La Regola detta un preciso cerimoniale di ricevimento di un ospite, un’accoglienza calorosa fatta di abbracci e inchini.
Dopo questo primo ricevimento, gli ospiti siano condotti a pregare e poi il superiore o un monaco da lui designato si siedano insieme con loro.
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Il momento di preghiera è anche un modo per verificare le buone intenzioni dell’ospite, che poi non viene mai lasciato solo non solamente per motivi di cortesia, ma anche per controllarlo: la prudenza non è mai troppa. Dopo la preghiera comune, all’ospite «si porga ogni più umano ristoro»; l’Abate in persona versa l’acqua per l’abluzione delle mani e lava a ciascun ospite i piedi.
La cucina dell’abate e degli ospiti sia a parte, per evitare che i monaci siano disturbati dall’arrivo improvviso degli ospiti.
Questo avviene non solo perché la dignità di alcuni visitatori richiede una cura particolare nelle pietanze e un servizio accurato; ma soprattutto perché non si può sempre prevedere il loro arrivo («Gli ospiti non mancano mai nel monastero e sopraggiungono a ogni ora») e bisogna essere sempre in grado di rispondere ad ogni esigenza, senza turbare l’organizzazione della vita quotidiana della comunità. L’accoglienza a tavola è elemento fondamentale dell’ospitalità e i cuochi incaricati della mensa degli ospiti devono svolgere quel compito «come si deve», organizzando bene le corvée in cucina e prestando una cura particolare nell’arte culinaria. San Benedetto considera così sacra quella tavola che prevede addirittura che:
Se non è uno dei giorni in cui il digiuno non può essere violato, il superiore rompa pure il suo digiuno per far compagnia all’ospite.
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L’Ordine Benedettino e in genere tutti gli ordini religiosi si sono sempre molto impegnati nell’accoglienza: quando non esistevano gli alberghi e il viaggio era un’avventura pericolosa, il monastero era un luogo ideale per trascorrere la notte. Le abbazie divennero così i rifugi preferiti per i viaggiatori, alcuni dei quali peraltro rimanevano così affascinati dall’ambiente che si fermavano volentieri per un periodo di esperienza monastica e a volte vi rimanevano per sempre. Geniale organizzatore della vita comunitaria, san Benedetto prevede che l’ospite sieda al tavolo dell’Abate, non solo per riguardo nei suoi confronti ma anche per dare all’Abate, persona di lunga esperienza e capacità di discernimento, un’occasione di evangelizzazione e invito alla conversione. Per evitare comunque che si abusi dell’ospitalità del monastero, chi si ferma più giorni viene caldamente invitato (secondo certi statuti di monasteri addirittura proprio obbligato) a condividere la vita monastica nella sua totalità e gli viene quindi affidato un incarico di lavoro. L’ozio è in aperto contrasto con la vita monastica e, se l’accoglienza è un dovere, nessuno può abusarne. Ancora oggi i monasteri sono meta di visitatori, che colgono volentieri l’occasione per dedicare qualche giorno a ritemprare lo spirito e cercare Dio in quel luogo di pace. Anche se la società è profondamente cambiata rispetto a quella medioevale e oggi ci sono alberghi e alloggi per tutti i gusti e tutte le tasche, l’accoglienza religiosa mantiene tutta la sua forza e risponde alla domanda di senso della nostra vita. Le belle liturgie, curate e suggestive, che si tengono in coro attirano chi cerca l’elevazione a Dio. È normale essere invitati a condividere non solo l’Ora ma anche il Labora, mettendosi a disposizione della comunità monastica per dare una mano nei lavori manuali. E tra una raccolta di pomodori e un cesto di fagioli da sgranare si parla di Fede e di cose alte e spirituali. L’ospite può vivere anche l’esperienza straordinaria del silenzio, nel quale si sente più facilmente la voce di Dio.
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Lo scambio è comunque reciproco, perché anche la comunità monastica viene arricchita dalla presenza degli ospiti: ascoltando le loro esigenze, i monaci prendono più coscienza della propria vocazione e del proprio compito nella Chiesa. Ho avuto più volte occasione di essere ospitata nella foresteria di un monastero ed è stata sempre un’esperienza bellissima e molto arricchente. Oggi il cerimoniale di accoglienza del visitatore è più informale, rispetto a quanto scritto nella Regola, ma sono sempre stata accolta con calore e affetto. Inoltre, la tavola dell’ospite era preparata davvero «come di deve»: anzi, ho sempre mangiato benissimo!
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