Una recente ricerca dimostra nei neonati capacità multisensoriali per orientarsi nell’ambiente che li circonda.Un articolo interessante pubblicato su Padova Oggi ci informa di un nuovo studio “Identifying peripersonal space boundaries in newborns”, pubblicato sulla prestigiosa rivista Scientific Reports realizzato da un team di ricercatori dell’Università di Padova, dell’Unità Pediatrica dell’Ospedale di Monfalcone e dell’Università di Birmingham che mostra come fin dalla nascita i bambini percepiscano lo spazio, vicino e lontano, e addirittura probabilmente lo distinguano già prima di venire alla luce.
Ma cos’è lo spazio peripersonale?
Ci faremo aiutare per comprenderlo dal primo capitolo del lavoro di tesi di laurea del dottore Francesco Erenini guidato dal professor Emiliano Ricciardi – dell’Università degli Studi di Pisa, dipartimento di Patologia chirurgica, medica, molecolare e dell’area critica, Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica e della Salute – dal titolo: “La rappresentazione dello spazio peripersonale nel controllo dell’atto motorio: studi comportamentali sul ruolo del feedback uditivo”.
Uno degli sviluppi più attuali delle neuroscienze, relativamente allo studio delle basi neurologiche delle azioni che compiamo, consiste nell’indagine sui meccanismi di integrazione tra l’apparato visivo e quello motorio attuati dal cervello nella fase immediatamente precedente l’esecuzione di un gesto. In questa brevissima frazione temporale il cervello riceve ed integra sia informazioni provenienti dai segmenti corporei deputati a compiere l’atto (es. braccio, mano), che dall’oggetto bersaglio dell’azione (es. una maniglia). Questo implica che, nel preparare un comportamento motorio, lo spazio viene percettivamente inquadrato e rapportato ad un sistema di riferimento ego- centrico, basato sulla posizione del soggetto e delle varie parti del suo corpo.
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Spazio personale, spazio peripersonale e spazio extrapersonale
Si distingue pertanto uno spazio personale (“interno”), che è quello che ricopre tutta la superficie corporea, uno spazio peripersonale (“vicino”) individuabile nello spazio che circonda il corpo e ne definisce il campo di azione motoria, ed uno spazio extrapersonale (“lontano”) non raggiungibile immediatamente dagli arti.
La possibilità di interagire fisicamente ed immediatamente con gli stimoli provenienti dall’ambiente esterno è collegata strettamente ai limiti di escursione motoria degli arti, all’interno appunto dello spazio peripersonale nel quale si attua una integrazione multisensoriale, per cui vengono colte le informazioni provenienti da tutti i canali sensoriali: gusto, tatto e olfatto in aggiunta alla vista e all’udito, che entrano in gioco anche nell’elaborazione degli stimoli in arrivo dallo spazio “lontano”.
Questa integrazione multisensoriale offre la straordinaria possibilità di localizzare e riconoscere uno stimolo (primariamente sotto l’aspetto della sua pericolosità) integrando le informazioni visive, acustiche ed olfattive provenienti dall’ambiente esterno con quelle corporee, tattili e propriocettive (a partenza dai recettori del sistema articolare, muscolare e scheletrico). (dottor Francesco Erenini, relatore Dott. Emiliano Ricciardi)
La scoperta dell’Università di Padova
Un team di ricercatori dell’Università di Padova, dell’Unità Pediatrica dell’Ospedale di Monfalcone e dell’Università di Birmingham, tenuto conto della crescente importanza attribuita allo spazio peripersonale e del fatto che tutte le precedenti ricerche hanno coinvolto adulti, hanno cercato di investigare il suo sviluppo nelle prime fasi dell’infanzia. A 40 neonati sono stati presentati stimoli sonori a varie distanze dal corpo, accompagnandoli con leggeri tocchi di pennello sulla fronte. È stato analizzato il modo con cui le loro capacità di attenzione venivano modulate dalla stimolazione uditiva e tattile in base alla distanza percepita dal corpo, misurando i loro tempi di orientamento visivo. I dati raccolti hanno evidenziato che, quando gli stimoli sonori provenivano entro una certa distanza, i tempi di risposta erano significativamente più brevi rispetto a quelli registrati quando i suoni venivano inviati da più lontano. Questa “distanza critica” (più vicina) potrebbe pertanto rappresentare il confine di un primitivo spazio peripersonale, individuato come una porzione speciale dell’ambiente già a poche ore dal parto.
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Al riguardo la professoressa Teresa Farroni del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova afferma:
La precoce capacità dei neonati di integrare informazioni multisensoriali potrebbe essersi sviluppata durante la gravidanza, grazie alla percezione di suoni in avvicinamento accompagnati da sensazioni tattili. Al tempo stesso, questa precoce competenza potrebbe a sua volta contribuire al futuro sviluppo dei neonati stessi, contribuendo ad orientare la loro attenzione verso gli eventi che hanno luogo all’interno dello spazio peripersonale stesso. (Padova Oggi)
Per approfondire l’argomento abbiamo contattato la professoressa Simonetta Gentile, docente alla Lumsa di Psicoterapia dell’età evolutiva e responsabile dell’Unità Operativa di Psicologia Clinica del Dipartimento di Neuroscienze dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma.
Ci può spiegare più in dettaglio come è stata svolta la ricerca?
Il neonato è immerso in un mondo tutto suo, addirittura in passato si parlava di una sorta di autismo primario, narcisismo primario, che invece questo tipo di ricerche smentiscono. I neonati hanno già molte capacità di comprendere cosa avviene nel mondo esterno, hanno maggior maturazione del loro sistema sensoriale di quanto si ritenesse in passato, e quindi delle capacità di percepire se stessi e gli altri. Come si fa a capire tutto ciò in un neonato? Si usano delle tecniche che vanno ad analizzare l’attenzione visiva, cioè dove l’infante posa lo sguardo: viene “tracciata” la direzione in cui si muovono gli occhi e si cerca di cogliere cosa il neonato sta osservando, su cosa pone l’attenzione. Per esempio precedenti ricerche sempre dell’Università di Padova mostravano come i neonati già nelle prime 72 ore di vita siano capaci di individuare il volto di un altro neonato percepito come se stesso, qualcosa di simile a lui, anche se non si può parlare propriamente di percezione di sé perché un neonato non è ancora in grado di operare una distinzione dal mondo esterno. Questa ultima ricerca invece va ad individuare quanta distanza da sé il neonato può percepire e lo fa attraverso dei rumori e una stimolazione sensoriale. Stimolo il neonato con dei suoni e cerco di capire quando lui è più allertato, e si è visto che lo è maggiormente quando il suono è più vicino: quindi i piccoli percepiscono già la distanza tra loro e l’esterno.
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Che importanza ha questa ricerca dal punto di vista applicativo?
Questa ricerca e studi simili sono fondamentali perché permettono di avvalorare l’identità di “persona” al bambino appena nato. Accreditare le competenze del neonato aiuta a dare un riconoscimento all’infante che come un computer ha tutte le potenzialità già attive, ma non ha ancora le informazioni. Le informazioni gli arrivano man mano, ma il neonato ha già dentro di sé tutte le capacità per conoscere, riconoscere e soprattutto interagire. Tutto ciò è molto importante ad esempio nel caso dei bambini prematuri dove è fondamentale insegnare ad una mamma e ad un papà a riconoscere i segnali del neonato. In questa evenienza i genitori sono addolorati perché il bambino è nato prima, non è maturo e pertanto deve essere sottoposto a delle cure che lo tengono distaccato da loro perché non possono entrarci in contatto se non in momenti limitati. E’ molto importante in fase di dimissione sostenere i genitori e insegnare loro a riconoscere i segnali del neonato: per esempio dire ad una mamma “Sta proprio guardando te in questo momento!”, confermandole che nonostante la transitoria separazione dovuta alla prematurità il processo di riconoscimento mamma-bambino si era instaurato immediatamente, e in questo momento sta solo riprendendo il suo percorso naturale. Anche nella depressione post partum, una tema molto sottovalutato in Italia, queste ricerche possono sostenere le mamme, perché le aiutano a riconoscere quanto il bambino possa immediatamente interagire con loro.