Allo sfruttamento mediatico (e mercantile) del talento, il Lorenzo nazionale replica con una proposta molto antica: l’arte è rispondere a una chiamata.Quand’era il Jovanotti di Sei come la mia moto lo detestavo, più è diventato Lorenzo più ho cambiato idea su di lui. Al contrario di molti artisti che col passare del tempo si spengono, lui si è acceso lungo la strada; crescendo ha maturato una fame di vita sempre più intensa. Tante letture, tante relazioni; radicato a Cortona e in giro per il mondo; presente sul virtuale dei social e sudato per le pedalate molto reali a bordo della sua bicicletta. Sveglio, al modo in cui lo dice lui in Mezzogiorno:
E sogno dopo sogno sono sveglio finalmente
Per fare i conti con le tue promesse
Mica è poca cosa questa zampata sulla presenza della realtà come portatrice di promesse. Lorenzo Jovanotti è un uomo che si muove cogliendo ispirazioni ovunque e questo non lo rende un maestro di vita impeccabile per forza, ma gli porta in dote una virtù eccellente: non è un uomo singolare, è una persona disposta ad ascoltare e predisposta a ospitare; le sue parole sono come la voce che esce dopo aver ricevuto una spinta.
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Il cantante riceve sollecitazioni e le restituisce con il filtro della propria sensibilità, è un’antenna più che un microfono:
Mi butto, mi getto
Tra le braccia del vento
Con le mani ci faccio una vela
E tutti i sensi li sentoPiù accesi più vivi
Come se fosse un’antenna sul tetto
Che riceve segnali
Da un mondo perfetto (da Estate)
A un mondo abbagliato da personalità che stanno al centro della scena, registi autoeletti del dire e del fare, il caro Cherubini rimugina e vive un’alternativa più coraggiosa (… in realtà quel medievale di Dante la pensava già come lui, ma ci arriveremo) e ne ha parlato all’Università Statale di Milano qualche settimana fa.
Vocazione, non solo talento
Francesco Massara della Iulm, che ha analizzato duecento canzoni del cantante a caccia del suo carisma e del segreto del suo brand personale: su 2.288 parole i sostantivi prevalgono sugli aggettivi, 37,5 per cento a 15, grande segno di concretezza, e conclude che Jovanotti è idolo di nuovo conio. Non di tipo narcisista, astratto, distante (tipo Ferragni, Ronaldo o Beckham) ma a vocazione comunitaria, capace di relazionarsi e di vivere esperienze insieme ad altri. (da Corriere)
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E quando è arrivato il momento di cedere il microfono alla guest star, la parola «vocazione» è tornata come protagonista. Molte testate giornalistiche hanno rilanciato la notizia di questa bomba del Jova-pensiero, per dirla in sintesi: non conta il talento ma la vocazione. Ecco la trascrizione esatta del passaggio:
Oggi si parla molto di talento con i talent show, si celebra molto il valore del talento. E ci dimentichiamo di un valore molto più importante del talento. Io sono la dimostrazione che il talento non è tutto. La cosa ancora più importante del talento è un’antica parola che si chiama ‘vocazione’. La vocazione è la chiamata, ovvero quel tuo talento che si struttura in base a una chiamata. Oggi il talento può essere considerato un valore mercantile, se vogliamo, ma c’è qualcosa che è misterioso che è la chiamata, sentirsi chiamati da qualcosa e quindi inventarsi un talento per rispondere a quella chiamata. Quindi non sopravvalutate il talento, ma state attenti ad ascoltare la voce che vi chiama.
Per fortuna c’è il video, perché non tutti i giornalisti hanno digerito per intero il discorso: molti hanno saltato la precisazione che vocazione sia parola antica, altri hanno omesso di dire che il talento è un modo per rispondere. Mettiamo a verbale che «antico» e «rispondere» sono suoni percepiti come fastidiosi da certe orecchie; quasi da brividi come le unghie sulla lavagna. Moderno, avanti, nuovo sono aggettivi che piacciono molto; affermare, proclamare, sostenere sono verbi su cui si incentra l’azione. La prospettiva di una vocazione al fondo della realtà – descritta molto bene da Jovanotti – ribalta un po’ gli assi cartesiani dell’uomo faber.
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Immagino gli occhi sgranati dei giovani presenti al simposio del signor Cherubini, e le bocche sorridenti, spalancate. E non credo sia dipeso solo dalla capacità empatica dell’oratore; c’è anche il fatto che l’oratore ha pescato nel mare giusto e il metal detector dell’anima umana suona rumorosamente quando sente il vero. L’uomo non è fatto per l’egocentrismo, sfiorisce in fretta se segue solo le proprie fisse e intuizioni; la vanità di Narciso finisce in un suicidio. Il mercato dei talent show mercifica il germe buono del talento, trasformandolo nell’idolo della fama e del successo. La parabola artistica di Lorenzo Cherubini è quella di un talento vocale non certo pazzesco, ma di una voce che ha qualcosa da dire … ispirata, cioè sospinta da qualcosa.
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Essere chiamati è arioso come spalancare una finestra; implica novità che la nostra testa non può congetturare, ma ci sono; implica il soffio di un vento che rinfresca gli antri bui delle nostre ansie patologiche. Implica soprattutto una relazione: c’è chi chiama e c’è chi risponde. Questa è l’origine del mondo in cui la creatura uomo è stato catapultato: la realtà porta i segni inconfondibili di una voce che ci interpella, strattona, abbraccia, nutre. L’io è quando è in relazione.
Immagino che il medesimo pubblico sarebbe rimasto alquanto deluso se al posto di Jovanotti fosse entrato un professore e avesse detto: «Bene, ragazzi ora aprite il Purgatorio al canto 24». Facce cupe, schiene ingobbite e sbadigli. Eppure non ci sarebbe stato nulla di diverso nei contenuti: in quel canto Dante dice che la vita è una vocazione, negli stessi termini in cui lo ha descritto Jovanotti.
I’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch’e’ ditta dentro vo significando (vv. 52-54)
Non cominciamo subito con la lamentela della lingua antica; vocazione è una parola antica, no? Ecco, in soldoni, Dante afferma che Amore è un vento che spira e scrivere non è altro che rispondere alla spinta di quel vento: Amore dètta e si dicono cose sensate (significati) solo quando si ascolta quella voce. Forse il titolo giusto di questa notizia era: Jovanotti torna al Medioevo. Ma non sarebbe stato esatto; torna quasi al Medioevo. Dante rimane un passo avanti, perché ha saputo dare un nome e un volto chiaro a Chi ci chiama. Senza un soggetto chiamante, la vocazione può degenerare in un caotico e confusionario «sentire le voci».
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Qualcuno, non qualcosa
È ammirevole trovare persone che hanno intuizioni potenti, è amaro vederle altrettanto disorientate come luci alla deriva in un mare buio. Jovanotti è uno di quelli che mi richiama alla mente le parole di San Paolo all’Areopago: riferendosi alle menti che cercano il vero con autenticità, ma senza aver ancora incontrato il Dio Incarnato, dice che si muovono a tentoni. Tentano e tastano. Anche se Dio non è lontano da loro, la mancanza si sente. E così, il signor Cherubini, che è capace di intuizioni che deviano dalle logiche obliterate del pensiero dominante, mi lascia perplessa per altre scelte che ricadono nell’idolatria dell’umano: l’idea di celebrare dei matrimoni durante i suoi concerti può essere nata dall’impulso positivo di affermare l’amore, ma mi pare che prendersi l’autorità di sancire un vincolo davanti a migliaia di persone tradisca qualcosa di abbastanza egocentrico e riduca lo sposalizio a una pura formalità allegra. Anche il matrimonio è una vocazione, invece.
L’io che inzialmente stava in disparte ad ascoltare, finisce per mettersi al centro come cantante-celebrante. C’è una frattura, una crepa. Ed è qualcosa di oggettivo, il gap in un flusso di pensiero che può intuire cose fantastiche ma che, privo di quella vera relazione che la vocazione esige, sbanda; si muove a tentoni, appunto.
Ascoltate bene l’audio del video qui sotto, c’è una piccolissima pausa nella voce di Jovanotti. Decisiva a dire il vero. Perché se c’è una vocazione vuol dire che qualcuno chiama me; l’io non è l’unico attore sulla scena. Ma chi è che chiama? Bella domanda. Ecco, c’è un tremito nella voce del caro Cherubini quando dice «sentirsi chiamati da…..» e rimane in sospeso, poi aggiunge, tamponando alla svelta, «qualcosa». Davvero una cosa può chiamare? È una domanda che porrei volentieri a Lorenzo: solo un essere animato e dotato di voce può chiamare. Il telefono trilla, ma non parla; segnala che qualcuno vuole parlarmi.
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Ed è infatti vero che dietro le cose, c’è qualcuno che chiama. A quel lettore vorace che è Jovanotti vorrei proporre quest’intuizione dell’adolescente Chesterton: al termine della sua grave crisi esistenziale si arrese all’ipotesi più ragionevole e buona, un Tu – Dio fatto uomo – lo chiamava dietro i multiformi aspetti del reale.
Tutte le cose buone sono una cosa sola. Tramonti, correnti filosofiche, bambini, costellazioni, cattedrali, l’opera, montagne, cavalli, poesie – tutti questi sono solo travestimenti. Qualcosa cammina sempre tra di noi con abiti mascherati, indossa il mantello grigio di una chiesa o il mantello verde di un prato. Lui è sempre lì dietro, la Sua forma riempie le pieghe in modo così superbo. (appunti del 14 luglio 1899, da G. K. Chesterton di Maisie Ward)
Guarda, caro Lorenzo, anche Chesterton dice “qualcosa”… e poi lo chiama “Lui”. Questo è il più grande spettacolo dopo il Big Bang.
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