La risposta è “si”, a patto che da questa pessima vicenda arrivi un cambiamento etico che denunci la corruzione (in ogni circostanza). Come da tempo suggerisce Papa Francesco.
La credibilità della giustizia italiana e l’etica della magistratura escono fortemente minate dall’inchiesta della Procura di Perugia sulla corruzione, in cui sono accusati (e sospettati) diversi giudici, tra cui anche consiglieri del Consiglio Superiore della Magistratura.
La prima parte: Palamara
Il filone principale dell’inchiesta riguarda Luca Palamara, già presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati e membro del Csm, attualmente sostituto procuratore a Roma.
Secondo l’accusa, quando rivestiva il ruolo di componente del Csm, avrebbe ricevuto 40 mila euro dagli avvocati Calafiore e Amara per favorire la nomina di Giancarlo Longo (arrestato nel febbraio 2018 per corruzione a Messina – ndr) a procuratore di Gela: un tentativo non andato in porto – secondo quanto avrebbe riferito Palamara, come raccontato dallo stesso Longo ai magistrati – per «un intervento diretto del presidente della Repubblica» Sergio Mattarella.
Soldi e non solo: anche «viaggi, vacanze e un anello dall’imprenditore Fabrizio Centofanti», suo amico che avrebbe fatto da tramite tra il magistrato e un gruppo di avvocati e imprenditori interessati a pilotare nomine e indagini.
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La seconda parte: Spina
Un altro filone della stessa indagine riguarda invece le accuse nei confronti dell’attuale consigliere del Csm, Luigi Spina. Per quest’ultimo le ipotesi di reato sono rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale. Spina avrebbe rivelato al suo collega notizie relative all’inchiesta di Perugia nel quale era indagato, apprese proprio grazie al suo ruolo nel Csm. Stessi capi d’accusa per il pm romano Rocco Fava (Rainews, 31 maggio).
La terza parte: le notti in albergo
Un terzo filone dell’inchiesta ruota sulle trattative per le nomine ai vertici degli uffici giudiziari — la Procura della Capitale, ma anche Perugia, Brescia. Queste trattative avvengono molto spesso in albergo, di notte.
Tanti incontri, almeno tre documentati, specie dal 7 al 16 maggio. Sempre di notte, sempre gli stessi, per decidere a tavolino le nomine dei procuratori capi, spostando voti all’interno del Csm con l’obiettivo di individuare ed eleggere magistrati controllabili politicamente.
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Chi era presente
Il capotavola è Luca Palamara. Gli altri commensali sono i consiglieri del Csm Luigi Spina, Corrado Artoni, Antonio Lepre, Gianluca Morlini e Paolo Criscuoli. Il braccio politico della comitiva sono i parlamentari del Pd Luca Lotti e Cosimo Maria Ferri. E c’è un convitato di pietra, una presenza per certi versi inspiegabile: Claudio Lotito, amico di Palamara, presidente della Lazio, elargitore di biglietti in tribuna vip per le partite dei biancocelesti, come la finale di Coppa Italia del 15 maggio scorso, a cui assiste Luigi Spina dalla tribuna autorità.
L’ultimo incontro in un hotel, in cui Palamara con gli altri «fa la conta dei voti per il procuratore di Roma», dopo il pensionamento del “nemico” Pignatone. «Obiettivo: Marcello Viola (procuratore generale di Firenze – ndr) capo dell’ufficio della Capitale» (Il Fatto Quotidiano, 3 giugno).
Tra dimissioni e autosospensioni
Tra gli altri indagati e indiziati, Spina si è dimesso dal suo ruolo nel Consiglio superiore della magistratura, mentre Artoni, Lepre, Morlini e Criscuoli (non indagati ndr) si sono autosospesi: iniziative che rappresentano la prima, vera conseguenza reale di una vicenda che, secondo Il Fatto Quotidiano, è destinata ad allargarsi.
Il Csm si è ridotto, così, di un terzo dei togati. Siamo ormai a meno 5 togati e si avvicina pericolosamente il limite numerico che condannerebbe il Csm allo scioglimento, 10 membri togati e 5 laici. I togati rimasti adesso sono 11 (Repubblica, 5 maggio).
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“Ferita profonda e dolorosa”
«Una ferita profonda e dolorosa», un «passaggio delicato» che richiede una reazione forte e immediata: o si riscatta «con i fatti il discredito che si è abbattuto su di noi o saremo perduti». E’ affidato alle parole del vicepresidente David Ermini – uomo vicino al presidente della Repubblica Sergio Mattarella – il senso di una crisi istituzionale senza precedenti che ha scosso il Consiglio superiore della magistratura per effetto dell’Inchiesta di Perugia (Adn Kronos, 4 giugno).
“Riscatto morale per recuperare credibilità”
«La magistratura, dopo l’inchiesta sulle nomine, dovrà recuperare credibilità agli occhi dei cittadini. Per farlo è necessario un riscatto morale, ma occorre anche modificare le regole», ha detto Luciano Violante, già presidente della Camera ed ex magistrato è convinto che per risollevare la magistratura dalla crisi in cui è piombata siano necessari «fatti e comportamenti concreti» (L’Huffington Post, 4 giugno).
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“Critica e autocritica”
E lo stesso Csm, in un documento condiviso dai suoi membri, ovvero quelli rimasti in carica, evidenzia la crisi di credibilità in cui rischia di impantanarsi la magistratura italiana. «È una vicenda che ci chiama in causa tutti e che impone a tutti un serio, profondo, radicale corso di revisione critica e autocritica, di riforma e di autoriforma dell’autogoverno, dei metodi di selezione delle rappresentanze, dell’etica della funzione».
“Niente silenzi” ma non tutte le toghe sono “sporche”
Basterà il mea culpa per riportare un briciolo di etica in questa vicenda triste e nebbiosa? La magistratura ne esce con la ossa rotte. Ma la giustizia deve necessariamente recuperare credibilità e non farsi portare sullo stesso livello, di basso profilo morale, di cui spesso è stata accusata la politica (divenuta sempre meno credibile).
Gli echi dei richiami (continui) di Papa Francesco contro la «bestemmia» corruzione rimbombano ancora di più in queste ore. Scrive Giuseppe Anzani su Avvenire (5 giugno):
«(…) per favore niente ipocrisie dai vertici, niente silenzi sul lungo panorama del passato: è sbagliato generalizzare le “toghe sporche”, perché non è vero; ma qualche purezza etica migliore va recuperata nel cuore, perché il vincolo morale è ancora più forte del vincolo legale. E posta a presidio del solo bene oggettivo, quasi giuramento da “vestali”, per chi ricopre quegli incarichi».
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