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Caroline Filion è la prima donna con sindrome di Down cintura nera di judo!

CINTURA NERA JUDOKA
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Paola Belletti - pubblicato il 05/06/19
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Un bel caso di integrazione e una dimostrazione di tenacia da parte dell’atleta speciale e dei suoi maestri. Perché lo sport, e anche le arti marziali lo sono, è scuola e anticipazione della gioiosa serietà del Paradiso, dove di sicuro c’è spazio per tutti. Anzi, vedremo là chi sono i veri “titolari”.

E’ lei la prima persona affetta da trisomia 21 ad ottenere la cintura nera di judo. Un risultato che farà cadere dei tabu e rischia di avere ripercussioni in tutto il Paese.

Così si legge su Lecharlevoisien, testata online canadese, ripresa anche dalla pagina della Fondazione Jerome Lejeune, su Facebook. Si chiama Caroline Filion de Baie-Saint-Paul e ha 45 anni.

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Sabato 18 maggio nel pomeriggio non si sentiva una mosca volare al dojo di Beauport, uno dei più grandi del Canada. Eccola, Caroline, che si appresta ad eseguire le prese di judo richieste dagli esaminatori. Si mostra forte e sicura.

Il test è stato adattato alle capacità di Caroline, per questo si parla di “cintura nera speciale”. Alcune prese le sarebbero state impossibili proprio a causa dell’handicap che la condiziona senza affliggerla, si direbbe. E si direbbe anche che i benefici per lei e le persone con le quali ha a che fare siano ben superiori all’innegabile disagio, o meglio differenza.



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Per il presidente della commissione la menzione speciale fa riferimento sopratutto all’esecuzione della judoka:

«E’ stato qualcosa di veramente straordinario ciò che ha realizzato», ha esclamato in un’intervista. (Ib.)

Arrivare alla cintura nera è come, a detta del direttore del dojo ed esaminatori Serge Sanfacon, per un giocatore di hockey entrare nella Lega nazionale. Serve una mole di lavoro davvero notevole, e non soltanto per chi è portatore di handicap. Arrivare a questo obiettivo richiede un lavoro di una decina d’anni, almeno.

L’innesco di questo scoppiettante fuoco è stato il sogno della stessa Caroline. Il suo maestro scopre, un anno fa circa, che il suo più grande desiderio è proprio diventare cintura nera. Allora sotto col lavoro! Nessun ostacolo è tale per Caroline, si mette subito a lavorare sodo con i suoi maestri per arrivare pronta all’esame. Nessun ostacolo, dunque, fatta eccezione per la solita immancabile internazionale guastafeste: la burocrazia!

No, ci spiace, Caroline non può accedere all’esame, si sono sentiti rispondere. le lettere alla commissione Jud del Québec si sono susseguite con altrettante risposte gentili ma sempre negative, fino all’ultima. Arrivata il giorno prima dell’esame!

Ed eccola, emozionata e felice: ce l’ha fatta. E con lei sono contenti in molti, forse anche quelli inizialmente increduli o resistenti. Nessun problema invece per i suoi compagni di allenamento, bambini e ragazzi. L’integrazione nello sport vissuto secondo le sue più nobili dimensioni infatti è un processo che avviene più facilmente. Le regole sono chiare, la competizione sana, le persone sono persone.

Come disse il Card. Ratzinger, lo sport ha in sè un potenziale altissimo, mettendo in gioco, è il caso di dirlo, il desiderio stesso del paradiso, cioè della piena realizzazione.

Si riferisce al calcio in particolare ma estende la riflessione allo sport, ai giochi (gli stessi circenses di imperiale memoria) e al gioco, anche quello infantile.

la richiesta di pane e giochi fosse l’espressione di «un desiderio di vita paradisiaca, di una vita di soddisfazione senza affanni e di piena libertà».

si potrebbe interpretare il gioco come una sorta di tentato ritorno nel paradiso: l’uscita dalla «serietà schiavizzante» della vita di tutti giorni («aus dem versklavten Ernst des Alltags») e della soddisfazione dei suoi bisogni verso la «serietà libera» («freien Ernst») di qualcosa che non deve essere e che proprio per questo è bello. Così il gioco oltrepassa («überschreitet»), in un certo senso, la vita quotidiana. Oltre a questo superamento della vita quotidiana, il gioco possiede – come si vede nei bambini – un’altra caratteristica, cioè il gioco è una scuola di vita. Il gioco simbolizza la vita stessa e la anticipa in una forma che viene plasmata liberamente. (L’attività sportiva nel pensiero di Ratzinger)

E in Paradiso, di sicuro, le differenze irriducibili e anche le nostre menomazioni saranno tutte sanate, elevate, risorte. E si giocherà seriamente insieme, con gioia piena. Non è detto che certe ferite vengano chiuse, stavo pensando; forse, come quelle di Cristo saranno “semplicemente” glorificate.


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