«L’attitudine umana più vicina alla grazia di Dio è l’umorismo» e più avanti rincara la dose: «Ordinariamente la gioia cristiana è accompagnata dal senso dell’umorismo, così evidente, ad esempio, in san Tommaso Moro, in san Vincenzo de Paoli o in san Filippo Neri. Il malumore non è un segno di santità: “Caccia la malinconia dal tuo cuore” (Qoèlet 11, 10). È così tanto quello che riceviamo dal Signore “perché possiamo goderne” (1 Timoteo 6, 17), che a volte la tristezza è legata all’ingratitudine, con lo stare talmente chiusi in sé stessi da diventare incapaci di riconoscere i doni di Dio». Si tratta di Papa Francesco e della sua esortazione apostolica sulla santità Gaudete et exsultate. Nel giorno in cui la Chiesa cattolica celebra la festa di san Filippo Neri viene spontaneo seguire l’esempio del Papa e associare buon umore e santità perché come diceva Leon Bloy c’è solo una tristezza, quella di non essere santi.
Sulle pagine di questo quotidiano negli ultimi giorni alcuni acuti osservatori hanno analizzato l’attuale situazione della società italiana e conversando con loro mi sono anch’io cimentato nella riflessione sulle cause, i segni e gli effetti della crisi e sono arrivato alla conclusione che il segnale più inquietante che emerge dal nostro paese è la crisi del senso dell’umorismo e della comicità.
Quaranta anni fa, nella primavera del 1979, terminarono le puntate del programma della Rai «Non Stop», forse l’ultima “infornata” in televisione di comici veri, in particolare ne ricordiamo due che hanno superato l’usura del tempo: Carlo Verdone e Massimo Troisi. Poi qualcosa si è inceppato, non ricordo più di aver riso di cuore davanti alla tv da quei tempi con l’unica eccezione di Corrado Guzzanti a cui riconosco, soprattutto nei primi anni, quel gusto per il non sense e la capacità di far guizzare il suo genio versatile. Sarò forse troppo drastico ma i comici italiani secondo me non fanno più ridere, e questo è un problema grave. Giustamente Federico Fellini, genio (anche) comico, sosteneva che i comici sono i veri benefattori dell’umanità. Invece sembra che la gravità, cioè la seriosità, avvolga da decenni il nostro paese, un fatto inquietante su cui sarebbe necessario riflettere. Il senso dell’umorismo si è smarrito per strada, in Italia non si ride più, soprattutto non si sor-ride più ma, purtroppo, si de-ride. È proprio nel sorriso che, invece, risiede il senso ultimo di ciò che vuol dire essere umani: quel gesto spontaneo che indica una gioia profonda, una forza che permette agli uomini di affrontare la vita con un sano distacco verso se stessi e una spinta di misericordia nei confronti degli altri, di partecipare quindi alla vita del mondo e degli altri loro simili senza risentimento né snobismo.
Il Vangelo non dice esplicitamente che Gesù abbia sorriso, eppure possiamo facilmente immaginarlo: pensiamo ai suoi tanti incontri, ad esempio con Zaccheo o con il giovane ricco, è veramente difficile immaginarli privi di un volto sorridente. Anche perché è il sorriso ciò di cui gli uomini, oggi più di ieri, hanno sete. Quando si ride oggi invece si tratta per lo più del ghigno cattivo, amaro e cinico oppure del riso di scherno che hanno preso il posto di quella risata del cuore, che è libera e liberatoria e che spingeva Thomas Carlyle a dire che «chiunque abbia riso di cuore anche una sola volta nella vita, non sarà mai irrimediabilmente cattivo». Dalla parte opposta dei “cattivi”, cioè letteralmente “prigionieri”, ci sono gli uomini liberi, che i cristiani chiamano “santi”, i quali conoscevano bene la virtù dell’umorismo, strettamente imparentata anche a livello etimologicamente con la virtù dell’umiltà. Su questo punto un maestro è stato san Tommaso Moro che invitava alla saggezza del saper ridere di se stessi e al buon umore ha dedicato una celebre preghiera molto amata dall’attuale Pontefice. Un altro inglese, il sacerdote Aloysius Roche, nel saggio Sublimità dei santi ha osservato che «la storia di tante eresie è in molta misura una storia di perdita del senso dell’umorismo»; gli fa eco dall’altra parte il tedesco Joseph Ratzinger quando ricorda che: «La gioia profonda del cuore è la precondizione del senso dell’umorismo e così l’umorismo è in qualche modo la misura della fede».
Ciclicamente gli uomini creano le condizioni per realizzare forme di società in cui la gioia è assente e allora si concretizza l’incubo dei regimi totalitari; è proprio in quei periodi che lo spirito critico e l’ironia sembrano scomparire del tutto come aveva intuito Jacques Maritain che avvertiva: «Se una società perde il senso dell’umorismo si prepara al suo funerale». Viene da ribaltare il detto «una risata vi seppellirà» e dire: «solo una risata può disseppellire un paese altrimenti morto». Tornare a ridere e sorridere è quindi la prima urgenza per il nostro paese, altrimenti destinato a chiudersi nella tristezza e il risentimento, e questo è un discorso molto serio.