Padre e chirurgo, responsabile di Comunione e Liberazione e morto a soli 48 anni nel 1999. Dal rapporto filiale con Don Giussani maturò uno sguardo grato al Mistero di Dio presente e capace di appassionare tanti giovani.
La mia vita è come una mongolfiera, più vado, più m’innalzo, più mi impegno, più sono dentro a questa vita, più scopro degli aspetti dell’umano che erano impossibili prima: la capacità di fedeltà, di amicizia, di lealtà, di ripresa, di indomabilità, che non avevo mai pensato prima. Perciò, da ultimo, è una gratitudine. Come ho iniziato, così voglio finire: è una gratitudine che caratterizza la mia vita, perciò non ho paura di darla tutta. – Enzo Piccinini, 12 dicembre 1998
Un marito e padre, un chirurgo instancabile e coraggioso, un’indole istintiva ed entusiasmante: si può delineare così un ritratto essenziale di Enzo Piccinini, ma per molti giovani come me è stato un volto da tenere caro per fare della fede un’ipotesi di vita piena. Il mio ricordo personale di lui è quello di un uomo che pronunciava ogni frase fino all’ultimo fiato, le ultime parole uscivano soffiate eppure forti. Doveva dire fino in fondo, quello che gli stava a cuore.
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Un «sì» integrale a Cristo
Sono stata tra gli universitari di Comunione e Liberazione, quelli del CLU per intendersi, che lo ha conosciuto quando era a guida della comunità, lo ascoltavo alle assemblee e non avrei mai avuto il coraggio di rivolgergli parola. Non perché fosse altero o burbero, tutt’altro. Il suo entusiasmo di vita mi faceva timore, era così attraente da lasciarmi un po’ timorosa; perché proponeva un cammino verso la felicità pieno di ragioni logiche ed affettive. Sapevo che fissare negli occhi lui, era – di necessità – fare i conti senza paracaduti di sorta con la presenza di Gesù nel tutto del quotidiano.
Ricordarlo, mi riporta a quel giorno in cui un amico di Milano (sarebbe poi diventato mio marito) mi telefonò per avvisarmi dell’incidente autostradale in cui Enzo perse la vita, era il 26 maggio 1999 e aveva solo 48 anni. La sua figlia maggiore, Chiara, era nostra compagna di facoltà. Lo sconcerto e il dolore si sciolsero nella preparazione del suo funerale, ci aggrappammo alle parole con cui Don Giussani lo ricordò:
Enzo fu un uomo che, dall’intuizione avuta in dialogo con me trenta anni fa, disse il suo “sì” a Cristo con una stupefacente dedizione, intelligente e integrale come prospettiva, e rese la sua vita tutta tesa a Cristo e alla sua Chiesa. La cosa più impressionante per me è che la sua adesione a Cristo fu così totalizzante che non c’era più giorno che non cercasse in ogni modo la gloria umana di Cristo.
Ieri, proprio in occasione del ventennale della sua prematura scomparsa è stata aperta la sua causa di beatificazione: Monsignor Erio Castellucci, arcivescovo-abate di Modena-Nonantola, ha accolto l’istanza presentata dalla Fondazione Piccinini.
Rischia chi offre
Non ci può essere nessuno scienziato che possa andare alla realtà senza un’ipotesi positiva su di essa; qualunque ricerca, anche la più banale, se non avesse un’ipotesi positiva sulla realtà che affronta, non permetterebbe alcun passo. Questa è l’ipotesi positiva in assoluto: Dio si è fatto uomo, il che vuol dire che ciò che abbiamo sempre cercato, che io ho sempre cercato, anche inconsapevolmente nei giochi da bambini, nella donna che ho amato, nella carriera, è qui, è presente. – Enzo Piccinini, 1995 (da Fondazione Piccinini)
Una vita spesa tra le corsie dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna, Piccinini è stato un chirurgo sempre disponibile a valutare casi clinici particolarmente complessi, eppure lontano mille miglia da quei dottori delle serie televisive così sicuri di sé, che decidono della vita e della morte dei loro pazienti grazie al proprio talento. Specializzato in chirurgia generale e vascolare, Enzo era un medico che rischiava, ma con l’umiltà di chi mette le proprie mani al servizio di Dio. E ce lo raccontò nel corso di una testimonianza agli esercizi spirituali del dicembre 1998. Non fu una coscienza spontanea, ma piuttosto un confronto libero e filiale con Don Giussani a guidarlo a prendere il proprio mestiere come offerta, più che come pura eccellenza di capacità personali.
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Ci raccontò di un caso particolare, una donna in condizioni gravi che era giudicata inoperabile ma che il Don Gius gli chiese di prendersi a cuore. Dopo una valutazione attenta, Enzo capì che doveva rischiare:
E così l’ho operata. È stato un intervento incredibile (mi ricordo ancora quante ore). Poi ho lasciato passare un po’ di giorni, perché non sapevo. In terza-quarta giornata ho capito che le cose andavano bene, e allora ho ritelefonato a Giussani: «Giussani, sta inaspettatamente andando bene». Silenzio. Poi fa: «Scusami, ma avevi dei dubbi?». «Se avevo dei dubbi? Ero pieno di dubbi: ne avevo fin sopra qui: c’era un disastro, ho perso dei chili». E lui fa: «Guarda, te l’avevo detto…». Era stato bellissimo quando mi aveva detto: «Guarda, noi preghiamo Dio e san Pampuri, e tu vai». E alla fine mi dice: «Grazie per essere stato strumento di un miracolo». Ecco, guardate ragazzi, questa è la posizione giusta nella vita, perché non potevo nemmeno insuperbirmi per tutto quello che avevo fatto. «Strumento di un miracolo» vuol dire che io non ho fatto niente. Se questa è la posizione nella vita, scusatemi, ma che paura si ha più? Che cosa ci può fermare?
Il vero rischio non è degli irruenti, né degli istintivi. Il vero rischio è umile e rivoluzionario: è un’offerta, è mettere al centro la volontà di Dio e spendersi completamente, senza mettersi al centro. Solo così la persona è davvero a fuoco, perché collabora a una storia che è in mano a Chi vede un senso molto più compiuto dei singoli esiti di ogni vicenda. Avevo 21 anni quando ascoltai quella testimonianza, m’inebriò; come un buon vino, avevo bisogno di decantarlo … allora mi aprì una scena di vita che intuivo solo in modo incerto. Aveva a che fare con l’essere felici e rimanere bambini, correre ma gli occhi fissi sul Padre. Più il tempo passa più ne riconosco la verità concretissima. Rimanere figli diventando adulti è l’unica possibilità di crescita senza disperazione, senza isteria da prestazioni.
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Il cuore è indomabile
Enzo Piccinini è stato un marito e un padre esemplare; ma molti lo criticavano, lo ricordò lui stesso con amarezza. Impegnato sul lavoro, impegnato nella guida della comunità di Comunione e Liberazione, quando poteva avere tempo per la famiglia? Era così libero da condividere anche questo aspetto personale della sua storia e lo fece durante quella testimonianza agli esercizi spirituali. E non ci riempì della sua personale sapienza, ma ricostruì il suo percorso fatto di passi anche incerti, che però si era messo a fuoco sempre meglio nel confronto con Don Giussani. Non era un uomo orgoglioso e immobile, ma pronto a squadernare i dubbi su di sé e ad accogliere il messaggio nuovo e buono contenuto nel cammino cristiano. E così condivideva con vivacità la fiducia che aveva imparato, quella di chi capisce che non occorre avere una serie prestabilita di comportamenti per essere bravi genitori, così come non occorre avere una condotta impeccabile per essere felici: alle voci urlate del mondo che ci vogliono come utenti frazionati in mille maschere (il lavoratore, il single, il vegano, l’ateo), Enzo proponeva la gioia di un’unità della persona vissuta sulla sua pelle:
L’unità della persona comincia dal fatto che uno mette il cuore in quel che fa, e questo – credete a me – vale per chi come me ha a che fare con situazioni drammatiche […] ma vale anche per chi è davanti al computer, come per quella che va a fare la spesa, come per quella che pulisce le scale: è uguale. Mettere il cuore in quel che si fa, significa mettere se stessi, e mettere il cuore significa giocare quell’esigenza di felicità che è indomabile perché è strutturale in noi. (Ibid)
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Con questo vento indomito alle spalle, Enzo ha generato qualcosa di molto più grande della sua famiglia, ma proprio a partire dalla sua famiglia. Quando i suoi figli hanno raggiunto l’età scolare, ha riversato la sua passione intraprendente anche in questo ambito. È stato il promotore di due realtà educative importanti: la scuola la Carovana a Modena, interamente gestita da famiglie e fondata nel 1979, e la scuola il Pellicano a Bologna, fondata nel 1989.
Ho recuperato in questi giorni un vecchio quaderno in cui prendevo appunti quando ero in università; una pagina riporta ciò che scrissi durante un’assemblea tenuta da Piccinini e la parola che ricorre più frequente è speranza: «tutto, anche l’apparente contraddizione, ha un destino buono».
Chiara, Maria, Pietro e Anna Rita sono i suoi figli biologici. Credo che non soffrano affatto di gelosia, e sappiano – loro per primi – quanto la paternità con cui Enzo li ha cresciuti si sia allargata a macchia d’olio sui molti giovani che lo hanno seguito o anche solo incrociato di sfuggita, e sui colleghi e studenti che sono stati al suo passo in ospedale (qui un documento esaustivo). L’apertura della causa di beatificazione è una grande gioia per poter spalancare ancora di più l’abbraccio delle sue mani operose. Ora non deve più prendere respiro, può parlarci tutto d’un fiato e forte e ininterrottamente.
Il gusto della vita non è negato a chi sbaglia: è negato a chi non ha un nesso con il Destino che fa le cose, con il Mistero presente. Per cui tutto è un’ipotesi positiva, il tempo che per tutti è sinonimo di decadenza, lavora in positivo. – Enzo Piccinini, esercizi spirituali 1998 (da Fondazione Piccinini)
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