Nel terreno dove siamo piantati possiamo fiorire: stare dove siamo, accettare chi siamo, è una sfida all’altezza di chi ha una missione.Mi ritrovo a osservare il verde e la timidezza con cui i fiori si affacciano alla vita. Incredibile pensare che abbiamo l’occasione di osservare tanti piccoli miracoli quotidiani, fenomeno che mi piace definire “Meraviglia quotidiana”. Come quando la mattina mi rimbocchi le coperte prima di uscire di casa presto, o quando ti infilo il copriletto sotto il materasso perché so che ti dà estremamente fastidio che i piedi rimangano fuori. O quando tento di piantare il basilico solo per poterne sentire tutti i giorni il suo profumo appena mi affaccio al balcone, se poi rimanesse anche viva la pianta sarebbe bello; sì, devo lavorare sul mio pollice verde.
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Un po’ la voglia di primavera, un po’ il tempo che sembra non accordarsi con questo desiderio, mi sono ritrovata a pensare ai fiori che sbocciano. Alla Vita che nasce. A qualcosa che ogni anno ci dimostra come tutto possa rinnovarsi e divenire sempre bello. La natura è in divenire, si trasforma, si migliora e ha bisogno di cure. Solo affacciandoci dalla finestra possiamo scoprire questa verità, a portata di mano. Ci fermiamo mai a pensare a ciò che sboccia dentro di noi? O meglio, formuliamola diversamente, ci pensiamo che possiamo sbocciare?
Forse tutto passa di fronte ai nostri occhi in maniera inosservata, ma dentro di noi c’è Qualcosa di molto vivo. Quel Qualcosa ha una missione, un progetto, un obiettivo e forse anche qualche miracolo. In serbo per la nostra esistenza e per quella degli altri c’è un mistero da far sbocciare.
Casualmente (o dovrei dire, al momento opportuno) ho letto un aforisma, il cui significato ha causato in me reazioni contrastanti. “Non stare dove non fiorisci”. Certo, ho pensato, perché rimanere all’interno di situazioni scomode che ci fanno stare male e addirittura impediscono la nostra fioritura?
Ancora oggi ci rifletto, ma una piccola intuizione ha sussurrato al mio cuore che quest’affermazione contiene in sé qualcosa che non mi torna.
Mi fa venire in mente la Parabola del seminatore. Non ci vuole una laurea in teologia e non bisogna aver timbrato il cartellino tutte le volte a catechismo per ricordarsi qualcosa di questo racconto. Il seme in base al terreno produce frutti diversi o non li produce affatto. Sulla strada ha vita breve, sulla roccia non può svilupparsi la radice, tra le spine viene soffocato. La buona terra, invece, porta frutto. Interessante. Interessante perché lo sguardo è rivolto al terreno e non alle caratteristiche del seme. Il seme è perfetto così, evidentemente. Può avere forme e dimensioni molto differenti. Ho scoperto, per esempio, che il seme dell’orchidea è a malapena visibile a occhio nudo. E che meraviglia di fiore esce fuori da quello che noi reputeremmo un nonnulla! I fiori ci stupiscono, ribaltano le nostre categorie mentali per cui “grande, bello ed equilibrato nelle dimensioni” debba per forza implicare il concetto di “perfezione”. Siamo fatti così noi esseri umani, dal profondo del nostro cuore vorremmo essere accettati per quello che siamo, a patto che siamo disposti a scoprire chi siamo davvero, e, in virtù di questo, ci sentiamo in diritto di dire “accettati, sii te stessa, migliorati! Per questo se non ti piaci rifatti pure il seno, è giusto che ti senta a tuo agio con te stessa!”. Ma… allora dov’è finita l’accettazione vera di sé? Un percorso faticoso, ma definitivo e estremamente più entusiasmante.
Quel seme deve essere per forza levigato e liscio? No, ci sono semi che al tatto sono rugosi, e c’è un significato, non è un caso. Dietro quella forma o quella dimensione c’è un progetto più alto, una missione più grande: la propagazione della specie. E, evidentemente, se quel colore o quella forma sono fondamentali per l’attrazione di determinati animali e quindi permettono la realizzazione di questa missione, beh, io ci sto, lo capisco. Potrebbe funzionare così anche per noi.
Potremmo avere con quel naso o con quella caratteristica una missione molto più alta di quello che pensiamo, di cui forse non ne vedremo gli effetti diretti.
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Accettarsi, essere noi stessi, migliorarsi sono piccoli passi per fiorire, per sbocciare e dirigere la nostra Vita verso quella missione, non c’è dubbio. Ma vogliamo che le condizioni esterne impediscano la nostra fioritura? I semi hanno al loro interno un potere misterioso: la quiescenza. Sì, mi sono fatta qualche ricerca di botanica online. Una caratteristica strategica invidiabile: la capacità del seme di restare vitale anche dopo lunghi periodi e in presenza di condizioni sfavorevoli e di reagire prontamente al mutare di queste.
Spettacolare! Tra questi sistemi ci sono anche l’ibernazione e il letargo, pensate. Sembrerebbe un meccanismo difensivo e di adattamento per superare alcune condizioni di stress ambientali, si disattiva un volta superato il pericolo. Spero solo che con questo articolo non mi ritrovi Tommaso pronto ad andare in letargo (proposta per lui allettante) con la scusa di dover fiorire, non intendo questo, marito!
Abbiamo dentro di noi le capacità e la possibilità di fiorire. Di portare frutto in questa Vita. Le nostre vite, le nostre case, i luoghi di lavoro che frequentiamo potrebbero spargere Buon Profumo, disseminare pollini di bontà, speranza e Amore. Quella frase lì, “non restare dove non fiorisci”, è una mezza verità, come sono tante le mezze verità che ci raccontiamo e vengono divulgate ogni giorno su qualsiasi piattaforma… dalla cellulite che è una malattia da debellare, al nostro mento che avrebbe dovuto esser disegnato diversamente, al vittimismo dietro al quale è giusto che ruotiamo tutto il giorno.
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La capacità di fiorire è dentro di noi, noi siamo quel seme perfetto, così com’è stato pensato. I terreni non sono tutti uguali, e questo è vero, ma puntare al terreno giusto significa già cominciare a fiorire. E la nostra scelta non è irreversibile, possiamo passare dalle spine alla terra buona, perché dentro di noi abbiamo il dono della scelta, della libertà. Possiamo coltivare il perdono o il rancore. Osservarci con severità o con Amore. Aprirci alla Vita con timore o con speranza. Guardare al nostro futuro come una missione o un’angoscia.
Fiorisci dove sei piantato, questa è la verità. Abbiamo le armi per combattere le intemperie, possiamo affidarci a Qualcuno che curerà la nostra Vita nel dettaglio, nei più piccoli bisogni. Possiamo rendere fertile un luogo aspro e sterile, lasciando che l’Acqua che mai si esaurisce ci innaffi. I girasoli puntano al sole, sempre. Che piova o che sia nuvoloso cercano di dirigere tutto il loro corpo verso il punto in cui, la loro saggezza glielo suggerisce, prima o poi, spunterà almeno uno spiraglio di Sole.
Stare dove siamo, accettare chi siamo, questa sì che è una sfida bella grossa all’altezza di chi ha una missione. Perché, ricordiamocelo, cambiare le carte in tavola, fuggire, nascondersi, non fa fiorire un bel niente. Mettersi in gioco con quello che si ha e si è, affidarsi alla corrente della nostra Vita, alla certezza che qualsiasi cosa succeda, lo sguardo può essere rivolto al Sole, questo porta frutti in noi.
Osserviamo bene il luogo dove ci troviamo, le nostre relazioni, la nostra casa, il lavoro, la nostra anima. Quei luoghi potrebbero divenire un giardino, se accettiamo la sfida di starci.
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