Per una spiritualità contro gli abusi e la difesa delle fragilità umane.“Ma tu ti senti pastore?, è una domanda che in tanti anni di sacerdozio mi si rivolge. Consapevole che in effetti “non mi sento un pastore!”, rispondevo, ma “una cane pastore”.
Questa risposta me la sono ritrovata in un libro di Paolo Rumiz, Il Filo infinito e poneva la stessa domanda a un monaco benedettino che rispondeva: “Io un pastore? – si è sentito rispondere – Il pastore è lassù. Io sono il cane pastore, quello che tiene insieme il gregge, che lo difende, che cerca le pecore smarrite”.
Chi vuole sentirsi un “cane pastore” in una società di comandanti, manager, generali, e anche se non si è vescovi, tutti pensiamo di esserlo? Quando esprimiamo la nostra forza con “io sono il ….” e scioriniamo titoli e incarichi, apprezzabili, ma a volte vuoti di contenuto ma espressioni frustranti di ricerca di identità?
Il Papa ha detto ai vescovi: “I sacerdoti si sentono sotto attacco”, chiaro riferimento al sotto attacco a causa degli errori commessi da pochi. E’ vero, ci sentiamo sotto attacco, ma potrebbe essere un gran bene per la nostra conversione. Non è romanticismo spirituale.
Di grande rilievo è stato il terzo e ultimo punto trattato dal Papa nel suo discorso di apertura all’Assemblea dei Vescovi italiani (20 maggio 2019): il rapporto tra i vescovi e i sacerdoti, definito non a caso come “una delle questioni più vitali della Chiesa, spina dorsale di ogni diocesi”. Come ha spiegato Francesco, “il vescovo è il pastore, il segno di unità per la chiesa diocesana”. Il suo compito, ha sottolineato Bergoglio, “è di curare personalmente il rapporto con i suoi sacerdoti. Tanti vescovi, però, faticano a creare questo rapporto”. Nel ricordare che “i sacerdoti sono i nostri più prossimi collaboratori e meritano un rispetto reciproco”, il Papa non ha esitato a lanciare ai vescovi un nuovo allarme: “I sacerdoti si sentono sotto attacco mediatico o colpevolizzati per gli errori commessi da pochi”, ecco perché “dobbiamo incoraggiarli e stimolarli, correggerli e consolarli”. Utilizzando una metafora a lui molto cara, Francesco ha specificato che “i sacerdoti hanno bisogno di trovare la porta del loro vescovo sempre aperta, ma soprattutto hanno bisogno di trovare nel vescovo un padre, oppure un fratello. Non dobbiamo cadere nella tentazione di avvicinare solo i sacerdoti simpatici o adulatori – ha concluso il Papa – ed evitare coloro che sono antipatici e schietti: dobbiamo essere padri di tutti i sacerdoti”.
Alla luce di queste considerazioni, sacerdote da circa 30 anni, mi sono posto una domanda: chi è il pastore e io dove mi colloco, se il Vescovo è il pastore?
Ho molto pensato a una costante che Papa Francesco sottolinea spesso con una frase famosa, che è questa: voglio «pastori con l’odore delle pecore […] ma con il sorriso di papà». Questa è la figura del Vescovo che c’è nel cuore del Santo Padre. Ed è uguale per i sacerdoti, per i Cardinali e per lo stesso Papa: pastori che non solo non pretendono di vestirsi con la lana delle pecore, ma che sono «appassionati» a servirle. Questa parola di Papa Francesco si deve leggere «sine glossa, senza commenti», va «annusata», ed è, senza dubbio, l’immagine dei pastori che pascolano le pecore e non se stessi.
Non sta a me, sacerdote, rivolgere le linee guida ai Vescovi, pastori del gregge; tanti e numerosi sono i richiami, le indicazioni, le sollecitazioni alla loro intrinseca identità con il Pastore che è Gesù Cristo, unico Pastore che non sta solo in cielo.
Vanagloria, cupidigia, desiderio di potere e di dominio sono escluse da chi guida un gregge, vale per il Vescovo che per i presbiteri. Non sono scelte di vita in automatismo, ma un cammino di conversione irrorato da una spiritualità dimenticata, offuscata dall’efficientismo e dalla globalizzazione evanescente.
I vescovi non si sentano signori del gregge, neanche padroni, ma padri premurosi, nessuno mostri verso di voi, Vescovi, atteggiamenti di sudditanza. Sempre papa Francesco, ai vescovi (8 settembre 2018).
Pertanto, sono un cane pastore. Per capire meglio faccio riferimento a un cane, pastore maremmano/abruzzese. Ho trovato tante suggestivi elementi che sono richiamate nella lunga e feconda spiritualità riferita al sacerdote, collaboratore del vescovo.
Il cane pastore è un guardiano integerrimo del gregge, ed efficace nella sua vigilanza. E’ gelosissimo degli animali a lui affidati, sino all’estremo sacrificio della vita, ed è capace di proteggerli dalle numerose insidie, perché è capace di riconoscerle una a una, queste pecore a lui affidate.
Storico nemico del lupo e dell’orso, ma anche del ladro del bestiame.
E’ instancabile, resistente, capace di affrontare fatica e privazioni.
E’ amico del pastore, apparentemente alla pari, ma in realtà è alle dipendenze ed è sottomesso nel servizio e nel compito a lui affidato.
Non usa mai la forza con le pecore ed è paziente e ostinato.
Conosce la fragilità e non ne approfitta.
Amorevole con gli agnellini, li assiste alla nascita e gli piace lambirli del liquido di cui sono bagnati quando nascono; si struscia su di loro e assorbe il sangue e il suo odore (un rapporto e un legame intensissimo!!). E’ un cane pastore che non crea distanze, non è in disparte, si immerge nella vita degli agnellini, li vede crescere e li conosce una ad una, perché già, da sempre, impregnato del sangue.
Ecco perché il cane pastore non può essere un lupo, un mercenario. S. Agostino scriveva: “Chi è il mercenario, chi vede venire il lupo e fugge? Chi cerca i propri interessi e non quelli di Gesù”.
Mi rivedo molto nel cane pastore, non so voi cari fratelli nel sacerdozio ministeriale e comune, di battezzati.
Emoziona e sussulta lo spirito, il fatto che, il cane pastore assiste alla nascita degli agnellini e ha un rapporto intimassimo con loro, nel sangue impregnato su di se. Non è forse quello che dobbiamo essere per i piccoli, i deboli, i vulnerabili? Difenderli certi che il Pastore, Gesù e i Pastori (vescovi) sono sempre con te. Già sempre con te.