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Come accompagnare la persona amata che se ne va?

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Anne Liu - pubblicato il 17/05/19
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Tre attitudini piuttosto paradossali sono fondamentali per accompagnare la persona che si ama quando questa muore: parlare, tacere e pregare. Senza dimenticare la necessaria preparazione al vuoto dell’assenza.

Il primo modo di stare con l’essere amato che se ne va è parlare molto, dire le cose. È importante nominare la malattia (se è una malattia quella che sta mettendo fine alla vita biologica) e annunciarla alle persone all’intorno. Non è più possibile chiudere gli occhi e continuare a vivere come prima.

Parlarsi in verità

Bisogna nominare la malattia, non chiudere gli occhi. Quando è grave, dire che è grave. Se si vuole poter continuare a vivere in pace, è importante dire le cose senza aspettare gli ultimi istanti. Bisogna poterselo ripetere più volte, a partire dal momento in cui si sa che la guarigione non avverrà – salvo il caso di un miracolo. Abbiamo bisogno di poterci dire che ci amiamo, di sentirci dire grazie, di chiederci e darci il perdono. È essenziale stare veramente in pace per poter continuare a vivere. Sarebbe un peccato attendere gli ultimi respiri per pensare a cambiar vita. Nel fondo di ciascuno di noi, lo sappiamo. Bisogna essere coraggiosi.


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È orribile restare nella negazione dando o accogliendo false speranze. La negazione impedisce di prepararsi. Sperare qualcosa che non avverrà significa prolungare il proprio male, non prepararsi a quel che accadrà. Non mentire, stare nella verità: «La verità vi renderà liberi» (Gv 8, 32). La buona intenzione di voler stornare su altro l’attenzione del malato o di quelli che lo circondano, parlando del più e del meno, non è un aiuto – è una fatica e un’illusione. Bisogna che tutti siano coscienti che andiamo a intraprendere una vita nuova. Una vita sconosciuta e che spaventa – sia chi va a Dio sia chi resta. Quanti sono testimoni di questo passaggio hanno un posto: possono e devono aiutare.

Prepararsi

Abbiamo bisogno di stare ben piantati nella realtà: per noi, per quanti sono con noi e per il malato. Così ciascuno può accogliere la situazione e prepararsi per il seguito. L’annuncio della notizia che la persona amata non si riprenderà e non guarirà è un grosso choc. È una scossa terribile, il passaggio – all’annuncio di questa notizia – è molto difficile: avviene una rottura. Poi, quando siamo passati dall’altra parte, il cammino da prendere porta alla vera pace; ma si tratta di un cammino sinuoso. Talvolta è necessario ripartire e indietreggiare un attimo per imboccarlo bene: è un cammino arduo ma, una volta che lo si sia preso, procede.

Vivere con gli altri

Smetterla di correre nel trantran quotidiano è necessario. Sentire le persone che parlano della loro vita basica è una prova. Bisogna cercare di fare il silenzio per lasciar arrivare la Parola di Dio, il Signore che si avvicina. È questa modalità esistenziale quella in cui bisogna entrare. È utile anche per comprendere meglio. L’entourage è importantissimo per sostenerci, per aiutarci a stare nella realtà e a preparare le cose – da tutti i punti di vista. Abbiamo bisogno di diverse persone: disponibili, discrete, positive – persone forti. Al contempo, bisogna che non si sia in troppi, perché il tutto non risulti dispersivo. Tutto si faccia in funzione di colui/colei che si prepara alla dipartita.

Accettare di tacere

Per meglio comprendersi e comprendere l’altro, per prepararsi, è necessario il silenzio. Bisogna ascoltare e al contempo fuggire i “falsi rumori”, le conversazioni inutili. Il silenzio è indispensabile. Tacere per ascoltare il malato e per intenderlo. Tacere anche per vederlo meglio e osservarlo, tacere per accompagnarlo meglio in tutto ciò di cui ha bisogno, per rispondere alle attese del suo corpo e dell’anima. L’importante è riuscire a parlare ma anche essere capaci di restare in silenzio.



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L’amato che se ne va è affaticato, sempre di più. Ha bisogno che siamo presenti e silenziosi. Ha pure bisogno di solitudine. La navigazione prevede che si passino molti capi, prima di sopportare il silenzio, ma ad un tratto questo s’impone – ci si capisce con uno sguardo, un’alzata di sopracciglio. Il silenzio permette a ognuno di posarsi, di comprendere e accogliere la vita che passa, di ancorarvisi.

Pregare nella comunione

La preghiera è già la pace. La comunione. Il cammino verso il Padre che ci si prepara a raggiungere. Ripetitiva, la preghiera calma e rassicura. La continua recita dell’“Ave Maria”, del Rosario, calma.


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Approfittate di ogni momento per pregare: la preghiera di affidamento, la preghiera di abbandono, la preghiera spontanea, la preghiera per la felicità di un momento, per l’inizio o la fine di un pasto, per un incontro con qualcuno. La vita si orienta verso Dio, essa diviene tutta di Dio. Ringraziamo Dio di tutto quello che abbiamo vissuto insieme, l’uno grazie all’altro. Nella preghiera ci rassicuriamo, torniamo a ridirci che abbiamo ricevuto la fede, che torniamo a renderla dinamica. Colui che se ne va può riaffermare che sta in Dio, che ha fiducia. La preghiera dà forza.

Ritrovare delle forze

Bisogna poi vivere dopo la dipartita della persona amata. Avremo bisogno di essere accompagnati lungamente da più persone forti e competenti. Troviamo forza nei suoi figli, che soffrono quanto noi e hanno bisogno di noi. Creare ambienti di dinamiche di gruppo dà la possibilità di scaricare l’aggressività, le paure, le inquietudini.



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L’aspirazione a essere circondati di persone forti, di persone coi piedi per terra, che hanno fede, che osano parlare e consigliare, è una cosa giusta. Abbiamo bisogno di persone che ci aiutino nelle molteplici sfide che si profilano, nelle decisioni da prendere, con rispetto ed efficacia. Non può esserci che un solo ascolto: il nostro bisogno di parlare di quello che abbiamo vissuto e della persona scomparsa è ineliminabile. Noi vogliamo parlarne, coltivare i ricordi, e questo ci fa bene.


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Talvolta gli altri pensano di doverci distrarre e ci sfiancano di banalità. Spessissimo, non osano parlare della persona scomparsa: è assolutamente il contrario! Non aspettiamo altro che delle domande, dei ricordi e delle conversazioni. È questo, proprio questo, che ci fa del bene, ci distende, ci consola.



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[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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