Quello che si chiede ai giornalisti, tra le altre cose, è dare voce ai più deboli difendendone la dignità; imparare il bene di dare i numeri e i dati giusti. A sottoscriverlo tre autorevoli esponenti delle religioni monoteiste
Un decalogo, unico nel suo genere e mai prodotto fino ad ora, che rappresenta una guida per il giornalismo e il mondo dell’informazione affinché non ci siano più muri mediatici e parole usate come pietre. È l’obiettivo della “Carta di Assisi”, firmata il 3 maggio a Roma, nella sede della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi, per spronare una stampa attenta alla costruzione di ponti e di pace.
All’evento, che ha coinvolto numerosi giornalisti, associazioni, religiosi, intellettuali e semplici cittadini, hanno preso la parola, tra gli altri, il prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, Paolo Ruffini; il direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro; l’imam della Grande Moschea di Roma, Saleh Ramadan Elsayed; la presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello e il direttore della Sala Stampa della Basilica di Francesco d’Assisi, padre Enzo Fortunato (Vatican News, 3 maggio).
“Connettiamo le persone”
«La società non è un groviglio di fili, ma una rete fata di persone: una comunità in cui riconoscersi come fratelli e sorelle. Il pluralismo politico, culturale, religioso è un valore fondamentale. Connettiamo le persone», si legge al punto nove, uno degli articoli de la “Carta di Assisi”.
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L’incontro voluto da Giovanni Paolo II
Il documento, che fa esplicito richiamo all’incontro interreligioso voluto da San Giovanni Paolo II nel 1986, consta di dieci punti. Un Carta “che serve ad ispirare” come ha sottolineato padre Spadaro, ma non per questo meno importante di tanti altri documenti deontologici.
Quello che si chiede ai giornalisti è quindi di: scrivere degli altri quello che si vorrebbe scritto di se stessi; non temere di dare una rettifica quando ci si accorge di aver sbagliato; dare voce ai più deboli difendendone la dignità; imparare il bene di dare i numeri e i dati giusti; usare le parole per costruire ponti e non muri; proteggere la verità dei fatti narrati; non essere autoreferenziali; usare bene il Web; mettere in contatto le persone; dare corpo e sostanza a tutte le notizie.
Gli ebrei: stop opinionisti da tastiera
Ruth Dureghello ha ricordato che «in questo periodo di grande confusione si tenta, approfittandone, di scardinare molti punti fermi che nel recente passato s’era riusciti definire; non possiamo permetterlo. Oggi siamo chiamati a credere nel rispetto reciproco che è un valore fondamentale che permette di agire nella consapevolezza della dignità umana. Il manifesto di Assisi invita a una riflessione seria i giornalisti e gli “opinionisti da tastiera” ad un uso consapevole e corretto delle parole e a contrastare il diffondersi di odio, di xenofobia, di antisemitismo e di islamofobia».
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I cattolici: attenti agli interessi inconfessabili
Già, perché «leggendo un quotidiano o una rivista o guardando un servizio televisivo, la domanda che dovremmo sempre porci è: quale società ha in mente questa testata? Quale società vuole costruire? Chi alimenta lo scontro tra civiltà, molto probabilmente protegge interessi inconfessabili», ha affermato padre Antonio Spadaro facendo accenno all’uso propagandistico proposto da alcune testate con titoli, articoli e servizi dannosi per intere comunità.
Gli islamici: conoscere le storie per informare bene
«Quando “l’altro” lo si conosce davvero non se ne ha più paura – ha ricordato l’Imam Saleh Ramadan Elsayed, accompagnato dall’esperto di dialogo e segretario generale della Grande Moschea di Roma Abdellah Redouane – Solo quando dell’altro conosciamo la cultura, la religione e la civiltà dalla quale proviene, possiamo dire di avere una vera consapevolezza di ciò di cui stiamo parlando. Solo conoscendo la storia possiamo nutrire la buona Parola e facilitare il dialogo e la costruzione di ponti e di pace».
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“Un giuramento d’Ippocrate contemporaneo”
Il prefetto della Comunicazione della Santa Sede Paolo Ruffini ha definito il manifesto: «Un giuramento d’Ippocrate contemporaneo. Il mondo rischia di precipitare verso la negazione dell’altro, se usiamo le parole per dividerci tradiamo il senso del nostro essere umani oltre che il senso dello strumento che usiamo».
Padre Enzo Fortunato ha affermato: «Abbiamo imparato a solcare i mari e ad attraversare i cieli, ma questa Carta ci dice che c’è ancora bisogno di imparare a camminare come fratelli. A noi è affidato il compito di raccontare per incontrarci e questo è l’impegno della Carta di Assisi» (San Francesco Patrono d’Italia, 3 maggio).
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