Dopo l’incendio di Notre-Dame le cronache hanno immediatamente rilevato le tensioni che discendono dal turbamento degli equilibri giuridici consolidati Oltralpe fra Stato e Chiesa: le chiese appartengono ai comuni, i quali devono assumersi gli oneri di proprietà, ma tocca alle parrocchie assicurarne la manutenzione ordinaria. La qualità del patrimonio religioso francese dipende largamente dalle buone relazioni fra il clero e i rappresentanti delle istituzioni.
Cominciamo con un poco di storia per comprendere la questione della manutenzione delle chiese in Francia. Prima della Rivoluzione, le parrocchie e ciò che esse possedevano venivano gestite da un “consiglio di fabbrica” che eleggeva due matricularii laici incaricati dell’amministrazione parrocchiale. Preti e laici lavoravano insieme localmente all’amministrazione dei beni, con le inevitabili discussioni che – nell’Ancien Régime – ci si può immaginare si dessero. Il 2 novembre 1789 l’insieme dei beni – mobili e immobili – del clero fu messo a disposizione della Nazione in cambio di un salario per il clero. Nel corso della Rivoluzione, questa confisca dei beni si estese ai beni che da principio erano stati messi a disposizione del solo clero costituzionale, cui non arrivava un salario dal 1795. Non trovando acquirenti, dovevano essere distrutti e vennero usati da fondi di materiali edili.
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Col Concordato contratto fra la Santa Sede e l’imperatore Napoleone I si pose la questione dei beni confiscati. La Chiesa s’impegnava a non rivendicare la restituzione dei beni depredati durante la Rivoluzione in cambio di un salario per i vescovi e per i preti, e in cambio pure del mantenimento delle chiese da parte dei comuni. Nel 1905, con la legge di separazione fra Chiese e Stato, le chiese e tutto ciò che contengono, gli edifici (scuole, case canoniche, terreni), proprietà mobili e immobili, divennero proprietà dei comuni, a eccezione delle cattedrali, che divennero proprietà dello Stato. Tutti i mobili e gli immobili acquisiti dalle associazioni diocesane e dalle parrocchie dopo il 1905 sono loro intera proprietà e dunque sono completamente mantenuti dalle parrocchie o dalle diocesi.
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Chi fa cosa, nelle chiese appartenenti ai comuni?
Dal 1905, tocca dunque ai comuni assicurare e assumersi gli oneri di proprietà – cosa che si chiama abitualmente “il chiuso e il coperto”. Del resto, la restaurazione dell’edificio e delle opere non può essere effettuata se non dal proprietario, il quale resta direttore delle operazioni per tutti i beni che gli appartengono. Così non è possibile mandare al restauro un quadro, far riparare delle burette o assicurare il consolidamento di un muro da parte della parrocchia, anche se è quella che paga, perché tutto è di proprietà del comune.
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La parrocchia deve da parte sua assicurare la manutenzione ordinaria della chiesa e dei beni, cioè l’apertura e la chiusura, la pulizia, le forniture, la sonorizzazione, gli adempimenti legali quinquennali per gli edifici pubblici (norme di sicurezza, colonne secche, parafulmini, estintori, defibrillatori cardiaci, allarmi anti-incendio…). Per delle grandi chiese, i costi di manutenzione possono orbitare nell’ordine di grandezza di centinaia di migliaia di euro ogni anno. Le parrocchie devono pure allertare il proprietario dei rischi e dei danni constatati nell’uso del bene, perché questo possa intervenire; eventualmente devono sporgere lamentela per il degrado o mettere in sicurezza le persone in caso di rischio concreto.
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Il caso dei monumenti storici
Nel caso di chiese che sono anche monumenti storici, la direzione regionale degli affari culturali (DRAC) deve dare il suo benestare per ogni intervento nell’edificio, e così pure l’architetto delegato ai monumenti storici. Il più delle volte, la soluzione migliore è concertata, come ad esempio quando bisogna installare rampe d’accesso per persone handicappate o installare impianti audio su mura secolari.
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Le parrocchie possiedono un diritto esclusivo, perpetuo e gratuito sulla chiesa, cioè sono le sole persone giuridiche che decidono che cosa può aver luogo nella chiesa, e non c’è una durata legale per l’uso di questo bene, né tale usufrutto richiede il versamento di alcuna indennità ai comuni. Però le parrocchie non possono fare nelle chiese se non quanto concorre direttamente all’esercizio del culto cattolico (celebrazioni, formazione, incontri, discussioni, concerti, esposizioni), ma non possono affittare o prestare l’edificio per azioni commerciali o politiche. Le offerte della questua, i doni nelle cassette e per i ceri, sono considerati come liberali donazioni poiché non sono stabilite tariffe fisse e per via della debolezza dell’ammontare: tutto ciò costituisce dunque capitale esentasse.
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Come dare una mano?
Le nostre chiese e quanto contengono sono degli strumenti per adorare il Padre, pregare, celebrare, raccogliere la comunità, testimoniare la nostra fede. Ogni buon artigiano manutiene i suoi utensili, come san Giuseppe faceva nella propria bottega. In ragione dello stato di cose odierno, è evidente che in Francia il solo clero non può assicurare l’intera filiera della manutenzione delle chiese, proprietà del comune o della Chiesa. È previsto che ogni parrocchia disponga di un consiglio economico composto da laici volontari incaricati di aiutare e consigliare i preti per la gestione materiale della parrocchia, nelle sue risorse e nelle sue spese. Solo le offerte dei parrocchiani possono permettere questo mantenimento, poiché Oltralpe le parrocchie non beneficiano di alcuna sovvenzione dei comuni o delle diocesi a tal fine. I denari della Chiesa, le questue e le altre offerte servono quotidianamente a tale mantenimento, che permette di prevenire grossi danni.
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Un’opera collettiva
Spesso tocca al parroco curare col sindaco o coi suoi rappresentanti delle relazioni regolari e positive per constatare, prevenire, organizzare i lavori che s’impongono per la manutenzione delle chiese. Quest’incarico può essere delegato a dei laici. Tocca altresì ai sindaci contattare il clero e i consigli adibiti per rammentare loro i loro doveri di manutenzione ordinaria e sentire le necessità cui occorra far fronte.
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Il tragico incendio di Notre-Dame ci ricorda la fragilità di quanto ci è stato consegnato. La sua manutenzione e la sua conservazione passano non solo per donazioni in denaro, bensì anche per un lavoro quotidiano generoso e volontario da parte di preti e di laici, che è assolutamente necessario e che permette – grazie ad affidabilità, attenzione, cordialità di rapporti coi poteri pubblici – di trasmettere questo patrimonio ai chi verrà dopo di noi.
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[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]