Il direttore della Specola Vaticana sulla fotografia divulgata dall’Event Horizon Telescope consortiumdi Gabriele Nicolò
È possibile trovare Dio in un buco nero? Grazie all’immagine prodotta e divulgata in questi giorni dall’Event Horizon Telescope consortium, per la prima volta si dispone della prova diretta che un buco nero è qualcosa di più di un concetto teorico. È una “cosa”. Così, se sant’Ignazio di Loyola aveva ragione nell’invitarci a «trovare Dio in tutte le cose», il buco nero ha ora certamente i giusti requisiti per far parte di quella lista. Nel commentare l’impresa compiuta dalla rete globale di antenne radio dell’Event Horizon Telescope — che ha prodotto la prima immagine dettagliata di un buco nero, quella al centro della galassia m87 a cinquantacinque milioni di anni luce dalla Terra — il gesuita Guy Consolmagno, direttore della Specola Vaticana — in un articolo, del 10 aprile, pubblicato sulla rivista dei gesuiti America — sottolinea come un’analogia ancor più affascinante può essere riconosciuta nel definire il buco nero il «perfetto esempio» di qualcosa in cui noi crediamo anche se non possiamo vederlo o toccarlo. La stessa immagine rilasciata dall’Event Horizon Telescope, per quanto dettagliata, non mostra comunque il buco nero in sé. Ciò che viene offerto all’occhio dello spettatore è l’ombra del buco nero. Guy Consolmagno auspica che a questa prima foto ne seguano, in futuro, numerose altre, così da poter avere cognizioni sempre più approfondite del cosmo, delle sue dinamiche, delle sue variabili e dei suoi misteri. Nell’articolo Consolmagno fa quindi riferimento ad Albert Einstein: la “cosa” la cui ombra abbiamo ora potuto contemplare perfettamente si accorda con quanto sostenuto, nel 1915, nella teoria della relatività. Numerosi teorici — rileva il direttore della Specola Vaticana — hanno tentato di fare meglio di Einstein formulando «idee esotiche», ma finora nessuno di loro è riuscito a spiegare meglio di Einstein il funzionamento dell’universo. In realtà il fisico tedesco, per sua stessa ammissione, non nutriva una passione particolare per i buchi neri (i quali non si chiamavano nemmeno così quando era in vita). Tale nome fu coniato, alla fine degli anni Sessanta, dal fisico statunitense John Archibald Wheeler. La preoccupazione di Einstein, infatti, consisteva nel trovare una teoria che spiegasse l’universo meglio di quella della gravitazione newtoniana. Consolmagno osserva poi che ulteriori studi e osservazioni fanno sperare in nuovi progressi: nel senso che non solo saremo presto in grado di dire che un buco nero esiste, ma avremo anche la capacità di descriverne le caratteristiche e le qualità peculiari. Al momento si può affermare che il buco nero non è un misterioso punto della massa, ma una cosa dotata di struttura dalla quale ora possiamo cominciare a trarre importanti deduzioni. E al di là di quelle che saranno le scoperte future, per ora è già abbastanza il poter provare meraviglia nel contemplare quell’ombra incastonata in un anello di fuoco.