Si tratta di una innovazione che non è prevista dalle norme pratiche fornite dalla ChiesaNella sua rubrica di liturgia, padre Edward McNamara LC, professore di Liturgia e Decano di Teologia presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, risponde alla domanda da parte di un lettore dall’Inghilterra.
Nella mia chiesa il parroco non permette più la lavanda dei piedi alla Messa del Giovedì Santo. Ognuno è invece invitato a lavarsi reciprocamente le mani, in quanto il sacerdote si sentiva a disagio a dover lavare i piedi di 12 uomini e nessuna donna. Per risolvere la questione è quindi stata sostituita la pratica della lavanda dei piedi con quella della lavanda delle mani – tuttavia io non sarei molto d’accordo. Gesù non lavò le mani dei suoi apostoli, ma i loro piedi. — G.L., Diocesi di Middlesbrough, Inghilterra
Negli anni precedenti abbiamo risposto a domande simili, in accordo alla legge liturgica allora in vigore, che prevedeva solamente la lavanda di piedi di uomini.
Di conseguenza, per esempio, nel 2006 avevamo scritto:
“Le varianti di lavare i piedi all’intera comunità, o di lavarsi i piedi l’un l’altro (o le mani), o di compiere ciò in modo che non sia visibile a tutti – tendono a minare il senso di questo rito all’interno del concreto contesto della Messa dell’Ultima Cena del Signore.
“Queste pratiche, incrementando enormemente il tempo impiegato, tendono a convertire un rito significativo, ma opzionale, nel punto focale della celebrazione. E questo distoglie l’attenzione dalla commemorazione dell’istituzione dell’Eucarestia nel corso del Giovedì Santo, il principale motivo della celebrazione.”
Potremmo aggiungere che nessun sacerdote dovrebbe sentirsi a disagio seguendo le rubriche, specialmente se si sta attribuendo al rito un significato di esclusività che non è mai stato destinato ad avere.
Inoltre, almeno nel contesto della liturgia di rito Romano, il simbolo del lavarsi le mani è solitamente di natura penitenziale, come nel caso in cui il sacerdote se le lava durante la presentazione dei doni mentre pronuncia le parole “Lavami, o Signore, dalle mie iniquità e purificami dal mio peccato”. Vi sono altri lavaggi delle mani che sono invece puramente pratici. Al di fuori della liturgia, lavarsi le mani è un segno di servizio e benvenuto in alcune comunità monastiche, ma non viene riservato solo ad alcuni giorni specifici.
Quando Papa Pio XII inserì la lavanda dei piedi nel contesto della Messa dell’Ultima Cena del Giovedì Santo, nel 1955, alcuni dei liturgisti erano sfavorevoli. Originariamente infatti si trattava di un rito al di fuori della Messa, tenuto in una cappella o altro luogo, come ad esempio la sala del capitolo. Nel rito il vescovo, l’abate, e persino la badessa nel caso di monasteri femminili, lavavano i piedi degli uomini o delle donne. Il suo inserimento nella Messa era pertanto una novità.
Una volta inserita, tuttavia, venne naturale che riflettesse il gesto del servizio di Cristo verso gli apostoli, e venne perciò riservata ai soli ragazzi e uomini.
Questa pratica fu confermata dalle norme pratiche fornite dalla Chiesa. Per esempio, la lettera circolare Paschales Solemnitatis del 1988 stabilisce al punto 51:
“La lavanda dei piedi, che per tradizione viene fatta in questo giorno ad alcuni uomini scelti, sta a significare il servizio e la carità di Cristo, che venne «non per essere servito, ma per servire». È bene che questa tradizione venga conservata e spiegata nel suo significato proprio.”
Questo concetto venne anche ribadito nelle rubriche del Messale Romano in latino del 2002. Il significato dei riti può evolversi e perciò Papa Francesco, in qualità di supremo legislatore della Chiesa, nel 2016 ha deciso di modificare la rubrica per la Messa dell’Ultima Cena del Signore in modo che essa non fosse più riservata ai soli uomini. Il decreto In Missa in Cena Domini annuncia questo cambiamento come segue:
“La riforma della Settimana Santa, con decreto Maxima Redemptionis nostrae mysteria(30 novembre 1955), diede la facoltà, dove lo consigliava un motivo pastorale, di compiere la lavanda dei piedi a dodici uomini durante la Messa nella cena del Signore, dopo la lettura del Vangelo secondo Giovanni, quasi a manifestare rappresentativamente l’umiltà e l’amore di Cristo verso i suoi discepoli.
“Nella liturgia romana, tale rito era tramandato col nome di Mandatum del Signore sulla carità fraterna secondo le parole di Gesù (cfr. Gv 13,34), cantate nell’Antifona durante la celebrazione.
“Nel compiere tale rito, Vescovi e sacerdoti sono invitati a conformarsi intimamente a Cristo che «non è venuto per farsi servire, ma per servire» (Mt 20,28) e, spinto da un amore «fino alla fine» (Gv 13,1), dare la vita per la salvezza di tutto il genere umano.
“Per manifestare questo pieno significato del rito a quanti partecipano, è parso bene al Sommo Pontefice Francesco mutare la norma che si legge nelle rubriche del Missale Romanum (p. 300 n. 11): «Gli uomini prescelti vengono accompagnati dai ministri…», che deve essere quindi variata nel modo seguente: «I prescelti tra il popolo di Dio vengono accompagnati dai ministri…» (e di conseguenza nel Caeremoniale Episcoporum n. 301 e n. 299 b: «le sedie per i designati»), così che i pastori possano scegliere un gruppetto di fedeli che rappresenti la varietà e l’unità di ogni porzione del popolo di Dio. Tale gruppetto può constare di uomini e donne, e convenientemente di giovani e anziani, sani e malati, chierici, consacrati, laici.
“Questa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, in vigore delle facoltà concesse dal Sommo Pontefice, introduce tale innovazione nei libri liturgici del Rito Romano, ricordando ai pastori il loro compito di istruire adeguatamente sia i fedeli prescelti sia gli altri, affinché partecipino al rito consapevolmente, attivamente e fruttuosamente.
“Nonostante qualsiasi cosa in contrario.”
Commentando e presentando questa modifica, l’arcivescovo Arthur Roche, segretario della Congregazione per il Culto Divino e l’Amministrazione dei Sacramenti, aveva scritto:
“Col decreto In Missa in cena Domini la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, per disposizione del Papa, ha ritoccato la rubrica del Missale Romanum riguardante la lavanda dei piedi (p. 300 n. 11), variamente legata da secoli al Giovedì Santo e che, dalla riforma della Settimana santa del 1955, può compiersi anche nella Messa vespertina che inaugura il Triduo Pasquale.
“Illuminato dal vangelo di Giovanni, il rito riveste tradizionalmente una duplice valenza: imitativa di quello che Gesù fece nel Cenacolo lavando i piedi agli apostoli ed espressiva del dono di sé significato da questo gesto servile. Non a caso era chiamato Mandatum, dall’incipit della prima antifona che l’accompagnava: «Mandatum novum do vobis, ut diligatis invicem, sicut dilexi vos, dicit Dominus» (Gv 13,14). Il comandamento dell’amore fraterno, infatti, impegna tutti i discepoli di Gesù, senza alcuna distinzione o eccezione.
“«Pontifex suis cubicularibus pedes lavat et unusquisque clericorum in domo sua» recitava già un antico ordo del sec. VII. Applicato in modo diverso nelle varie diocesi e abbazie, è attestato anche nel Pontificale Romano del XII sec. dopo i Vespri del Giovedì santo, e negli usi della Curia Romana del sec. XIII («facit mandatum duodecim subdiaconos»).
“Il Mandatum è così descritto nel Missale Romanum di san Pio V (1570): «Post denudationem altarium, hora competenti, facto signo cum tabula, conveniunt clerici ad faciendum mandatum. Maior abluit pedes minoribus: tergit et osculatur». Si svolge al canto di antifone, di cui l’ultima è Ubi caritas, concluso dal Pater noster e da un’orazione che coniuga il comandamento del servizio con la purificazione dai peccati: «Adesto Domine, quaesumus, officio servitutis nostrae: et quia tu discipulis tuis pedes lavare dignatus es, ne despicias opera manuum tuarum, quae nobis retinenda mandasti: ut sicut hic nobis, et a nobis exteriora abluuntur inquinamenta; sic a te omnium nostrum interiora laventur peccata. Quod ipse praestare digneris, qui vivis et regnas, Deus, per omnia saecula saeculorum».
“L’azione è riservata al clero («conveniunt clerici»), illuminata dal vangelo ascoltato nella Messa mattutina; la mancata indicazione di ‘dodici’ sembrerebbe far pensare che conta non soltanto fare mimesi di ciò che fece Gesù nel Cenacolo quanto metterne in pratica il valore esemplare, sempre attuale per i suoi discepoli.
“La descrizione «De Mandato seu lotione pedum» nel Caeremoniale Episcoporum del 1600 è più dettagliata. Si menziona l’uso (dopo i Vespri o a pranzo, in chiesa o in aula capitolare o luogo idoneo) del Vescovo di lavare, asciugare e baciare i piedi a ‘tredici’ poveri, dopo averli vestiti e sfamati ed aggiungendo infine un’elemosina, oppure a tredici canonici, secondo le consuetudini locali e il volere del Vescovo, che può preferire i poveri anche dove è abitudine che siano i canonici: «videtur enim eo pacto maiorem humilitatem, et charitatem prae se ferre, quam lavare pedes Canonicis». Riservata dunque al clero, senza escludere usi locali che contemplano poveri o ragazzi (ad es. il Missale Parisiense), la lavanda dei piedi è sì un gesto significativo ma non per l’insieme del popolo di Dio. Il Caeremoniale Episcoporum lo prescriveva espressamente per le cattedrali e le collegiate.
“Con la riforma di Pio XII, che ha riportato la Missa in cena Domini in ore serali, la lavanda dei piedi, per motivi pastorali, può compiersi nella stessa Messa, dopo l’omelia, per «duodecim viros selectos», disposti «in medio presbyterii vel in ipsa aula ecclesiae»: ad essi il celebrante lava e asciuga i piedi (non si nomina più il bacio). Ha ormai superato il senso piuttosto clericale e riservato, si svolge in pubblica assemblea e l’indicazione di «dodici uomini» lo rende più esplicitamente segno imitativo, quasi una sacra rappresentazione, che facilita l’imprimere nella mente ciò che Gesù ha compiuto il primo Giovedì santo.
“Il Missale Romanum del 1970 ha ripreso il rito da poco riformato, semplificando alcuni elementi: si omette il numero «dodici», si dice che avvenga «in loco apto», si tralascia un’antifona e se ne alleggeriscono altre, si assegna Ubi caritas alla processione dei doni, si esclude la parte conclusiva (Pater noster, versetti e orazione), eredità di un atto a sé stante, fuori della Messa. Rimaneva tuttavia la riserva ai soli ‘viri’ per la valenza mimetica.
“L’attuale mutamento prevede che siano designate persone scelte tra tutti i membri del popolo di Dio. La valenza si rapporta ormai non tanto all’imitazione esteriore di quello che Gesù ha fatto, quanto al significato di ciò che ha compiuto con portata universale, ossia il donarsi «fino alla fine» per la salvezza del genere umano, la sua carità che tutti abbraccia e tutti affratella nella pratica del suo esempio. L’exemplum che ci ha dato affinché anche noi facciamo come lui (cf. Gv 13,14-15) va, infatti, al di là del lavare fisicamente i piedi altrui, per comprendere tutto ciò che tale gesto esprime in servizio d’amore tangibile per il prossimo. Tutte le antifone proposte nel Missale durante la lavanda ricordano ed illustrano questo significato del gesto, sia per chi lo fa che per chi lo riceve, sia per chi lo segue con lo sguardo e lo interiorizza mediante il canto.
“La lavanda dei piedi non è obbligatoria nella Missa in cena Domini. Sono i pastori a valutarne la convenienza, secondo circostanze e ragioni pastorali, in modo che non diventi quasi automatica o artificiale, priva di significato e ridotta a elemento scenico. Neppure deve diventare così importante da catalizzare tutta l’attenzione della Messa nella cena del Signore, celebrata nel «giorno santissimo nel quale Gesù Cristo nostro Signore fu consegnato alla morte per noi» (Communicantes proprio del Canone Romano); nelle indicazioni per l’omelia si ricorda la peculiarità di questa Messa, commemorativa dell’istituzione dell’Eucaristia, dell’ordine sacerdotale e del comandamento nuovo dell’amore fraterno, suprema legge per tutti e verso tutti nella Chiesa.
“Spetta ai pastori scegliere un gruppetto di persone rappresentative dell’intero popolo di Dio – laici, ministri ordinati, coniugati, celibi, religiosi, sani e malati, fanciulli, giovani e anziani – e non di una sola categoria o condizione. Spetta a chi è prescelto offrire con semplicità la propria disponibilità. Spetta infine a chi cura le celebrazioni liturgiche preparare e disporre ogni cosa per aiutare tutti e ciascuno a partecipare fruttuosamente a questo momento: è la vita di ogni discepolo del Signore l’anamnesi del ‘comandamento nuovo’ ascoltato nel vangelo.”
Bisogna dunque sperare che con questo nuovo provvedimento il rito possa recuperare il suo significato originario, e che simili iniziative private come la “lavanda delle mani” vengano finalmente messe da parte.