Quasi a porre un contraltare al magistero magrebino del Santo Padre, in questi giorni la stampa internazionale (oggi il Figaro) rilancia le pagine più critiche contro le migrazioni che si trovano nel nuovo libro del cardinal Sarah. Si tratta effettivamente di due posizioni distinte e parzialmente distanti: non possono tuttavia dirsi contrapposte, perché entrambi gli ecclesiastici concordano sulla diagnosi complessiva del fenomeno e perfino alcuni spunti operativi sono coincidenti. Approfondire per capire.
Mentre sabato pomeriggio il Santo Padre ha voluto scrivere una pagina importante del proprio magistero, durante l’incontro coi migranti nella sede della Caritas diocesana di Rabat, vengono divulgate alcune parole del cardinal Robert Sarah, pronunciate in diverse interviste, che sembrerebbero contraddire la linea del Romano Pontefice e della Santa Sede nel trattamento dei flussi migratori internazionali (e tali sono nella massima parte dei casi le linee editoriali dei fogli che ospitano e rilanciano quelle dichiarazioni).
Sabato a Rabat il Papa ha richiamato anzitutto il senso del Global Compact per i migranti firmato a Marrakech:
Qualche mese fa si è svolta, qui in Marocco, la Conferenza Intergovernativa di Marrakech che ha ratificato l’adozione del Patto mondiale per una migrazione sicura, ordinata e regolare. «Il Patto sulle migrazioni costituisce un importante passo avanti per la comunità internazionale che, nell’ambito delle Nazioni Unite, affronta per la prima volta a livello multilaterale il tema in un documento di rilievo» (Discorso ai Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 7 gennaio 2019).
Questo Patto permette di riconoscere e di prendere coscienza che «non si tratta solo di migranti» (cfr Tema della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2019), come se le loro vite fossero una realtà estranea o marginale, che non abbia nulla a che fare col resto della società. Come se la loro qualità di persone con diritti restasse “sospesa” a causa della loro situazione attuale; «effettivamente un migrante non è più umano o meno umano in funzione della sua ubicazione da una parte o dall’altra di una frontiera»[1].
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Quando sono andato in Polonia [nell’ottobre del 2017, N.d.R.], paese che ho sovente criticato, ho incoraggiato i fedeli ad affermare la loro identità così come hanno fatto per secoli. Il mio messaggio è stato semplice: voi siete anzitutto polacchi, cattolici, e solo successivamente europei. Voi non dovete sacrificare queste due prime identità sull’altare dell’Europa tecnocratica e senza patria. La Commissione di Bruxelles non pensa che alla costruzione di un libero mercato al servizio delle grandi potenze finanziarie. L’Unione europea non protegge più i popoli, protegge le banche. Ho voluto dire di nuovo alla Polonia la sua missione singolare nel piano di Dio. Essa è libera di dire all’Europa che ciascuno è stato creato da Dio per essere messo in un ben preciso posto, con la sua cultura, le sue tradizioni e la sua storia. Questa volontà attuale di globalizzare il mondo sopprimendo le nazioni, le specificità, è pura follia. Il popolo giudeo ha dovuto vivere l’esilio, ma Dio l’ha ricondotto nel suo paese. Cristo ha dovuto fuggire Erode in Egitto, ma alla morte di Erode è tornato nel suo paese. Ciascuno deve vivere nel suo paese. Come un albero, ciascuno ha il suo suolo, il suo ambiente in cui può crescere perfettamente. Meglio aiutare le persone a realizzarsi nelle loro culture piuttosto che incoraggiarle a venire in un’Europa in piena decadenza. È una falsa esegesi quella che utilizza la Parola di Dio per valorizzare la migrazione. Dio non ha mai voluto questi strappi.Le dichiarazioni del cardinal Sarah sembrano andare in senso opposto, e ciò tanto con riferimento particolare al Global Compact quanto con più generale critica dell’immigrazionismo globalità. Io stesso, che del Cardinale ammiro la radicalità e l’austerità, ho tradotto un paio di giorni fa una di queste interviste(rilasciata a Laurent Dandrieu per Valeurs Actuelles), della quale anzi è utile riportare qui il passaggio relativo alle migrazioni:
[…]
I leader politici che parlano come me sono minoritari, al giorno d’oggi? Non lo penso. Esistono molti paesi che vanno in questa direzione, e questo dovrebbe condurci a riflettere. Tutti i migranti che arrivano in Europa vengono stipati, senza lavoro, senza dignità… È questo ciò che vuole la Chiesa? La Chiesa non può collaborare con la nuova forma di schiavismo che è diventata la migrazione di massa. Se l’Occidente continua per questa via funesta esiste un grande rischio – a causa della denatalità – che esso scompaia, invasa dagli stranieri, come Roma fu invasa dai barbari. Parlo da africano. Il mio paese è in maggioranza musulmano. Credo di sapere di cosa parlo.
In questo passaggio di Sarah convergono alcune importanti direttrici del pensiero politico-teologico del porporato: esplicitamente menzionata la similitudine con la crisi dell’impero romano; la tecnocrazia dell’Europa delle banche e l’immigrazione pianificata su tavoli opachi sono le due forze eversive che Sua Eminenza descrive in atto (altrove, richiamandosi alla similitudine con la decadenza tardo-antica, le chiama rispettivamente “barbarie materialistica” e “barbarie islamista”). Ci torneremo.
Un’anomalia metodologica in Sarah
Quel che colpisce invece in questi due paragrafi è che si dà una vistosa differenza metodologica nelle risposte, rispetto a quelle agli altri quesiti di Dandrieu: mentre infatti Sarah è solito rispondere richiamandosi sempre cristallinamente alle Scritture, alla Tradizione della Chiesa, al Magistero (specialmente pontificio) – e lo fa tanto vigorosamente da relativizzare senza mezzi termini le posizioni difformi di preti, vescovi e Conferenze episcopali – su questo punto il richiamo al depositum fidei si fa secondario e perfino arrancante.
Sua Eminenza vuole affermare che «è una falsa esegesi quella che utilizza la Parola di Dio per valorizzare la migrazione»? Un’affermazione forte, ma da tanto prelato il lettore si aspetta un argomento competente, specie per affermare che «ciascuno deve vivere nel suo paese – come un albero, ciascuno ha il suo suolo, il suo ambiente, in cui crescere perfettamente». E accanto a questa ulteriore similitudine – debole invero, dacché gli alberi vengono trapiantati ed esportati, entro certi limiti – nessun vero argomento teologico. In realtà sarei rimasto più meravigliato se ne avessi trovati: tutta la storia della salvezza, da Abramo agli Apostoli, da Mosè a Zorobabele, è una narrazione di peregrinazione e migrazione su lunghe distanze, attraverso culture estranee quando non ostili. I missionari che hanno animato le grandi pagine di evangelizzazione della Chiesa (pagine magnificate dallo stesso Sarah nella medesima intervista!) contravvengono un tanto ingiustificato assioma: egli stesso, Robert Sarah, nato in Guinea e che ha trascorso gran parte della vita girando il mondo come servizio alla Chiesa universale, contravviene quell’assioma. Tutti i numerosi esempi che nel 1952 Pio XII riassunse nella Costituzione Apostolica Exsul Familia contravvengono l’assioma. Il cardinal Sarah si riduce allora a osservare «quanti leader politici» pensano le stesse cose, e non si può non cogliere del paradosso nel vedere che il principio della concordantia auctoritatum, rigettato per vescovi e Conferenze episcopali, sembra valere per i politici! Perché non esiste un fondamento teologico a una simile affermazione.
È invece vero il contrario: «Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti» (Mt 13,33). La vitalità del cristianesimo non si pone l’essere minoranza come un problema, anzi – proprio come fa la pasta madre – si ravviva quando viene nuovamente trapiantata e posta in un contesto “non lievitato”. Coincidenza, lo diceva proprio ieri mattina Papa Francesco, mentre nella cattedrale di Rabat incontrava i sacerdoti, i religiosi, i consacrati e il Consiglio ecumenico delle Chiese:
Penso che la preoccupazione sorge quando noi cristiani siamo assillati dal pensiero di poter essere significativi solo se siamo la massa e se occupiamo tutti gli spazi. Voi sapete bene che la vita si gioca con la capacità che abbiamo di “lievitare” lì dove ci troviamo e con chi ci troviamo. Anche se questo può non portare apparentemente benefici tangibili o immediati (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 210). Perché essere cristiano non è aderire a una dottrina, né a un tempio, né a un gruppo etnico. Essere cristiano è un incontro, un incontro con Gesù Cristo. Siamo cristiani perché siamo stati amati e incontrati e non frutti di proselitismo. Essere cristiani è sapersi perdonati, sapersi invitati ad agire nello stesso modo in cui Dio ha agito con noi, dato che “da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).
Naturalmente quella sola affermazione di Sarah è quella che detta i titoli dei giornali, alcuni dei quali hanno interessi politici a rappresentare il cardinale guineano come campione dell’ostilità alle migrazioni (e di sponda come antagonista del Romano Pontefice).
Nello stesso passaggio sopra citato sono presenti altre osservazioni, inerenti alla dignità dei migranti, al bieco cinismo dei traffici d’uomini, al triste destino che spesso in Europa attende molti migranti, fra cui non pochi connazionali del Cardinale.
Queste sembrano costituire il vero fondamento – che dunque è meno teologico che politico – della severa posizione di Sarah. Per comprenderlo meglio può essere utile leggere una pagina presente in Le soir approche et déjà le jour baisse, tratta dal capitolo 11 (“I nemici spietati”): poiché la versione italiana non comparirà che dopo l’estate, apparecchio qui a beneficio del lettore una traduzione della risposta del Cardinale alla domanda di Nicolas Diat:
«Qual è la sua posizione riguardo alla determinante questione della migrazione?»
C’è una grande illusione che consiste nel far credere ai popoli che le frontiere saranno tutte abolite. Certo, i flussi migratori sono sempre esistiti. La ricerca di una vita migliore o la fuga dalla povertà e dai conflitti armati non sono cosa nuova. I movimenti attuali si distinguono però per la loro importanza. Uomini che si assumono rischi incredibili. Il prezzo da pagare è grave. Si presenta l’Occidente a degli Africani come il paradiso terrestre. La fame, la violenza e la guerra possono spingere questi uomini a rischiare la loro vita per raggiungere l’Europa. Ma come accettare che dei paesi siano privati di tanti loro figli? Come queste nazioni si svilupperanno se tanti lavoratori scelgono l’esilio? Che strane organizzazioni umanitarie sono queste che vangano e rivangano l’Africa per spingere giovani uomini alla fuga promettendo loro vite migliori in Europa? Perché la morte, la schiavitù e lo sfruttamento sono così spesso il vero esito dei viaggi dei miei fratelli africani verso un eldorado sognato? Certe storie mi rivoltano. Le filiere mafiose dei trafficanti devono essere sradicate con la massima fermezza. Curiosamente, esse restano sempre impunite. Da questo punto di vista, la situazione in Libia è catastrofica. Un paese cinicamente distrutto per spillargli il suo petrolio. Perché i governi occidentali hanno così pochi progetti da presentare in vista della sua ricostruzione? Non sono certo che – da una parte come dall’altra – il rispetto e la protezione della vita umana siano osservati.
Poco tempo fa il generale Gomart, ex dirigente del servizio militare francese che ha lasciato l’esercito nel maggio 2017, spiegava: «Quest’invasione dell’Europa da parte dei migranti è programmata, controllata e accettata […]. Niente del traffico migratorio nel Mediterraneo è ignorato dalle autorità francesi, militari e civili». Il generale era effettivamente incaricato di raccogliere tutte le informazioni suscettibili di aiutare la Francia a prendere le sue decisioni. Egli analizza come il traffico migratorio in Medio Oriente e nel Mediterraneo fosse captato dai servizi segreti francesi. Questi ultimi conoscevano i posti in cui i trafficanti si scambiano i loro carichi umani e dove questi vengono stipati. I servizi segreti francesi li vedono preparare le partenze verso l’Europa dalle spiagge della Tripolitania e della Cirenaica, imponendo ai migranti una traiettoria inflessibile.
Prima di ogni partenza in mare, i trafficanti chiamano il Centro di coordinamento dei soccorsi marittimi, in Italia, ed è così che le barche europee vanno a raccogliere direttamente in mare i flussi migratori per condurli in porto, così che non si spiaggino sulle coste africane… L’invasione non è imprevedibile, non c’è quindi alcun mistero: tutto è risaputo. Si sa dove i trafficanti vanno ad approvvigionarsi di barche. Si sa che la Turchia rilascia falsi passaporti, e che le autorità incaricate di omologare preferiscono chiudere un occhio. I servizi francesi sono al corrente fin nei minimi dettagli del traffico migratorio in Africa.
Bisogna fare tutto il possibile perché gli uomini possano restare nei paesi che li hanno visti nascere. Ogni giorno, centinaia di Africani muoiono nelle acque del Mediterraneo. Resto schiantato dalla storia di quei due giovani guineani che hanno cercato di fuggire clandestinamente Conakry. Saliti nella stiva dell’aereo, sono morti di freddo durante il viaggio. Degli amici fidati mi hanno parlato di giovani provenienti dall’Africa morti nei congelatori di barche che trasportavano banane. La barbarie non può durare oltre.
In Europa, i migranti sono privati della loro dignità. Degli esseri umani vengono parcheggiati dentro a dei campi e condannati ad aspettare senza fare alcunché delle loro giornate. In Francia, la giunga di Calais era una vergogna. Come volete che un uomo senza lavoro possa trovare una vera realizzazione? Lo sradicamento culturale e religioso degli Africani gettati dentro a dei paesi occidentali che attraversano essi stessi una crisi senza precedenti è un sostrato terribile.
La sola soluzione sostenibile nel tempo passa dallo sviluppo economico dell’Africa. I capi di Stato del mio continente hanno una grande responsabilità. L’Europa non deve diventare la tomba dell’Africa.
Non sono certo che il patto di Marrakech, che ha per scopo il rinforzare la cooperazione tra i paesi in merito alle problematiche migratorie, firmato nel 2018 tra molti paesi fra cui la Francia, sia realmente foriero di un progresso. Questo testo ci promette delle migrazioni sicure, ordinate e regolari. Io temo che produrrà esattamente il contrario. Perché i popoli delle nazioni che hanno firmato il testo non sono stati consultati? I governi di questi stati, come la Francia, pensano che il popolo non sia capace di giudicare correttamente questioni tanto importanti per l’avvenire del mondo? Le élite mondialiste hanno paura della risposta della democrazia sui flussi migratori? Paesi pure diversi fra loro come l’Italia, l’Australia, la Croazia, l’Estonia, l’Austria, l’Ungheria, la Slovacchia, la Polonia, la Svizzera, la Repubblica ceca, o ancora gli Stati Uniti hanno rifiutato di firmare questo patto. A contrario, mi stupisco che la Santa Sede non sia intervenuta per apportare sfumature e complementi a questo testo, che mi sembra gravemente insufficiente.
Robert Sarah e Nicolas Diat, Le soir approche et déjà le jour baisse, 308-311
Il Global Compact e l’apporto della Santa Sede
In realtà la citazione attribuita al generale Gomart è stata ripetutamente contestata, in Francia, e dei giornalisti hanno potuto acclararne l’infondatezza verificando personalmente. È palpitante, nelle parole del Cardinale, il dolore di un figlio d’Africa, di un grande patriarca nella cui voce sembra di sentire le pulsazioni di Tertulliano. Però dire che la Santa Sede non sia intervenuta per migliorare il testo di Marrakech non è corretto, oggettivamente. Michael Czerny ha illustrato con dovizia di dettagli, nel numero de La Civiltà Cattolica a cavallo tra il 2018 e il 2019, come fin dal primo giorno del 2017 la nuova sezione del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, chiamata “Migranti e Rifugiati” e per il momento direttamente dipendente dal Santo Padre, abbia cominciato a lavorare consultando conferenze episcopali e Ong cattoliche. Ne è risultato un testo chiamato Venti Punti di Azione per i Patti Globali, strutturato attorno ai verbi-chiave “accogliere, proteggere, promuovere e integrare” (Francesco, Discorso ai partecipanti al Forum internazionale “Migrazioni e pace”, 21 febbraio 2017), che il Papa ha richiamato anche sabato a Rabat.
In tutte e tre le fasi dei lavori la Santa Sede ha dunque avuto un ruolo attivo e propositivo, facendo valere la sua esperienza sul campo e l’inestimabile conoscenza dell’umanità che porta in dote. Nelle sei sessioni informali (tre a New York, due a Ginevra e una a Vienna) si sono toccati due macroargomenti:
- I diritti umani di tutti i migranti, l’inclusione e la coesione sociale, nonché tutte le forme di discriminazione, compresi il razzismo, la xenofobia e l’intolleranza.
- Le cause che inducono la migrazione, tra le quali le conseguenze negative dei cambiamenti climatici, i disastri naturali e quelli provocati dall’uomo; la protezione e l’assistenza, lo sviluppo sostenibile, l’eliminazione della povertà, la prevenzione e risoluzione dei conflitti.
Durante la seconda sessione, mons. Ivan Jurkovič, Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, ha ribadito «i diritti di tutti a vivere in dignità, pace e sicurezza nei loro Paesi di origine» e ha sottolineato, come già ripetutamente aveva fatto il Vaticano, i legami tra il diritto a migrare e il diritto “prioritario” a rimanere, sostenendo che la responsabilità della migrazione irregolare comincia a casa propria, ma non termina lì.
Michael Czerny, Il “Global Compact” sulle migrazioni, in La Civiltà Cattolica 4044, 553-554
Certo non si negano i limiti del documento, che comunque è «un quadro cooperativo non giuridicamente vincolante» (ivi 557), anzi:
Nel corso dell’intero processo, la delegazione della Santa Sede ha sostenuto un corretto svolgimento della negoziazione. Purtroppo, la pressione di alcune agenzie delle Nazioni Unite ha fatto sì che nella bozza fossero inserite la promozione del documento quadro delle “Priorità e principî guida” dell’Organizzazione mondiale della sanità e altre linee guida che raccomandano pratiche controverse come l’aborto per soddisfare i cosiddetti “bisogni di salute riproduttiva” all’insorgere di un’emergenza umanitaria. Benché, a differenza delle altre azioni e best practices esplicitamente menzionate nel testo, il documento quadro dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e altri orientamenti simili siano stati inclusi senza menzionarne il contenuto, si rimarca che i relativi documenti non sono mai stati negoziati, né hanno ricevuto una approvazione formale da parte degli Stati.
Ivi 556
L’influenza positiva avuta dalla Santa Sede nel corso del negoziato è quantificabile nel fatto che almeno 15 dei 20 già menzionati Punti di Azione stilati dal dicastero curiale romano alle dipendenze del Santo Padre si sono trovati rispecchiati nell’elenco dei 23 obiettivi del Global Compact. Vale la pena ricordarne alcuni:
2. Ridurre al minimo le cause avverse e i fattori strutturali che costringono le persone a lasciare il loro Paese di origine.
5. Migliorare la disponibilità e la flessibilità dei percorsi di immigrazione regolare.
6. Facilitare condizioni eque ed etiche per l’assunzione e la protezione, per garantire un lavoro dignitoso.
10. Prevenire, combattere e sradicare il traffico di persone nel contesto delle migrazioni internazionali.
11. Gestire le frontiere in maniera integrata, sicura e coordinata.
16. Mettere i migranti e la società in grado di realizzare una piena inclusione e coesione sociale.
19. Mettere i migranti e le comunità della diaspora nella condizione di contribuire pienamente allo sviluppo sostenibile in tutti i Paesi.
«Una convinzione che soggiace sia al processo – illustra Czerny – sia al patto multilaterale è che nessuno Stato può affrontare le migrazioni da solo». E questo è un punto su cui davvero chiunque si faccia carico della realtà, invece di pensare ad ampliare il proprio consenso politico, dovrebbe convenire.
La lezione di Papa Francesco
Insomma, a leggerlo per davvero, il Global Compact non è affatto un generico inno all’immigrazione incontrollata, anzi conta di poter sradicare la tratta umana senza negare i diritti di milioni di uomini che lecitamente desiderano vivere altrove, e anzitutto scardinando le condizioni che rendono appetibile a molti la fuga in confronto alla permanenza. Non pochi punti del pensiero di Sarah, dunque – a cominciare dal sacrosanto pensiero per il destino dei Paesi africani – vengono sostanzialmente a coincidere con le linee-guida del Global Compact, che con sapiente umiltà la Santa Sede non ha lasciato in mano ai globalisti alla Soros, ma ha contribuito a migliorare. Estirpare le connivenze del mondo sedicente progredito agli sfruttamenti delle risorse africane, alla vendita di armi, all’inquinamento non sostenibile, al sottosviluppo delle infrastrutture…; e aprire veri ed efficaci corridoi umanitari, nei quali chi ha legittime aspirazioni a vivere altrove ed è disposto a integrarsi nel Paese di destinazione rispettandone cultura e leggi, sia facilitato nel viaggio e nell’inserimento, secondo le possibilità dei Paesi che accolgono. E stroncare contestualmente ogni forma di tratta. Questa è la via, l’unica che sembra avere qualche chance.
Ci sarebbero molte altre considerazioni da fare sulla teologia politica di Sarah, che sembra dovere molto sia all’africano Agostino sia all’europeo Salviano, ma qui ci siamo dilungati già troppo. Vorrei concludere con gli ultimi paragrafi del discorso di Rabat da cui siamo partiti. È Francesco che spiega non solo il senso delle migrazioni, ma pure quale sia il posto dei migranti nella Chiesa.
Ciò che è in gioco è il volto che vogliamo darci come società e il valore di ogni vita. Si sono fatti molti e positivi passi avanti in diversi ambiti, specialmente nelle società sviluppate, ma non possiamo dimenticare che il progresso dei nostri popoli non si può misurare solo dallo sviluppo tecnologico o economico. Esso dipende soprattutto dalla capacità di lasciarsi smuovere e commuovere da chi bussa alla porta e col suo sguardo scredita ed esautora tutti i falsi idoli che ipotecano e schiavizzano la vita; idoli che promettono una felicità illusoria ed effimera, costruita al margine della realtà e della sofferenza degli altri. Come diventa deserta e inospitale una città quando perde la capacità della compassione! Una società senza cuore… una madre sterile. Voi non siete emarginati, siete al centro del cuore della Chiesa.
[…]
«Considerando lo scenario attuale, accogliere significa innanzitutto offrire a migranti e rifugiati possibilità più ampie di ingresso sicuro e legale nei paesi di destinazione» (Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2018). L’ampliamento dei canali migratori regolari è di fatto uno degli obiettivi principali del Patto mondiale. Questo impegno comune è necessario per non accordare nuovi spazi ai “mercanti di carne umana” che speculano sui sogni e sui bisogni dei migranti. Finché questo impegno non sarà pienamente realizzato, si dovrà affrontare la pressante realtà dei flussi irregolari con giustizia, solidarietà e misericordia. Le forme di espulsione collettiva, che non permettono una corretta gestione dei casi particolari, non devono essere accettate. D’altra parte, i percorsi di regolarizzazione straordinari, soprattutto nei casi di famiglie e di minori, devono essere incoraggiati e semplificati.
Proteggere vuol dire assicurare la difesa «dei diritti e della dignità dei migranti e dei rifugiati, indipendentemente dal loro status migratorio» (ibid.). Guardando la realtà di questa regione, la protezione va assicurata anzitutto lungo le vie migratorie, che sono spesso, purtroppo, teatri di violenza, sfruttamento e abusi di ogni genere. Qui sembra anche necessario rivolgere una particolare attenzione ai migranti in situazione di grande vulnerabilità, ai numerosi minori non accompagnati e alle donne. È essenziale poter garantire a tutti un’assistenza medica, psicologica e sociale adeguata per ridare dignità a chi l’ha perduta lungo il cammino, come fanno con dedizione gli operatori di questa struttura. E tra voi, ce ne sono alcuni che possono testimoniare quanto sono importanti questi servizi di protezione, per dare speranza, per il tempo in cui sono ospitati nei Paesi che li hanno accolti.
Promuovere significa assicurare a tutti, migranti e locali, la possibilità di trovare un ambiente sicuro dove realizzarsi integralmente. Tale promozione comincia col riconoscimento che nessuno è uno scarto umano, ma è portatore di una ricchezza personale, culturale e professionale che può recare molto valore là dove si trova. Le società di accoglienza ne saranno arricchite se sanno valorizzare al meglio il contributo dei migranti, prevenendo ogni tipo di discriminazione e ogni sentimento xenofobo. L’apprendimento della lingua locale, come veicolo essenziale di comunicazione interculturale, sarà vivamente incoraggiato, così come ogni forma positiva di responsabilizzazione dei migranti verso la società che li accoglie, imparando a rispettarne le persone e i legami sociali, le leggi e la cultura, per offrire così un contributo rafforzato allo sviluppo umano integrale di tutti.
Ma non dimentichiamo che la promozione umana dei migranti e delle loro famiglie inizia anche dalle comunità di origine, là dove dev’essere garantito, insieme al diritto di emigrare, anche quello di non essere costretti a emigrare, cioè il diritto di trovare in patria condizioni che permettano una vita degna. Apprezzo e incoraggio gli sforzi dei programmi di cooperazione internazionale e di sviluppo transnazionale svincolati da interessi di parte, in cui i migranti sono coinvolti come i principali protagonisti (cfr Discorso ai partecipanti al foro internazionale su “migrazione e pace”, 21 febbraio 2017).
Integrare vuol dire impegnarsi in un processo che valorizzi al tempo stesso il patrimonio culturale della comunità che accoglie e quello dei migranti, costruendo così una società interculturale e aperta. Sappiamo che non è per nulla facile entrare in una cultura che ci è estranea – tanto per chi arriva, quanto per chi accoglie –, metterci nei panni di persone tanto diverse da noi, comprendere i loro pensieri e le loro esperienze. Così, spesso, rinunciamo all’incontro con l’altro e innalziamo barriere per difenderci (cfr Omelia nella Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, 14 gennaio 2018). Integrare richiede dunque di non lasciarsi condizionare dalle paure e dall’ignoranza.
Qui c’è un cammino da fare insieme, come veri compagni di viaggio, un viaggio che impegna tutti, migranti e locali, nell’edificazione di città accoglienti, plurali e attente ai processi interculturali, città capaci di valorizzare la ricchezza delle differenze nell’incontro con l’altro. E anche in questo caso molti di voi possono testimoniare personalmente quanto un simile impegno sia essenziale.
Cari amici migranti, la Chiesa riconosce le sofferenze che segnano il vostro cammino e ne soffre con voi. Raggiungendovi nelle vostre situazioni così diverse, essa tiene a ricordare che Dio vuole fare di tutti noi dei viventi. Essa desidera stare al vostro fianco per costruire con voi ciò che è il meglio per la vostra vita. Perché ogni uomo ha diritto alla vita, ogni uomo ha il diritto di avere dei sogni e di poter trovare il suo giusto posto nella nostra “casa comune”! Ogni persona ha diritto al futuro.