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Falsa religiosità. La malattia da cui tutti dovremmo fuggire

FARISEI
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Catholic Link - pubblicato il 28/03/19
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di Sandra Ere

Sembra che anche all’interno della religione ci piaccia “incasellare”. Devo confessare che trascorrendo del tempo con un gruppo di giovani cattolici impegnati si inizia a sentire la necessità di essere più spirituali o religiosi: “Questa medaglietta è troppo piccola?”, “Dovrei conoscere il nome del mio vescovo?” E così smettiamo di onorare il nostro cammino personale con Dio.

Onorare il mio cammino personale? Con questa poesia di León Felipe che mi ha spiegato il mio direttore spirituale capiamo meglio le cose: “Nessuno è andato ieri, né va oggi, né andrà domani verso Dio per questa stessa strada che percorro io. Per ogni uomo il sole custodisce un nuovo raggio di luce… e Dio un cammino vergine”.

Non so se avete trovato 10 nuovi santi da pregare, 3 modi per recitare il Rosario, 2 possibili novene per ogni problema, 4 sacerdoti eccellenti per confessarvi, 2 modi di vestirvi per vedervi “più di Dio”, 5 ONG con cui collaborare e 6 influencers cattolici da seguire, 3 gruppi di WhatsApp per pregare per qualcosa di diverso…

Falsa religiosità

All’improvviso cadiamo nel “consumismo” anche dell’aspetto spirituale-religioso, credendo che ci sia sempre qualcosa che “ci manca”. Non smettiamo di cercare e di paragonarci agli altri. Questa malattia è nota come “falsa religiosità”. Mentre facevo gli Esercizi Spirituali, ho detto al mio direttore spirituale che preferivo alle meditazioni il mio Rosario quotidiano, e allora mi ha chiesto: “Ma parli con Dio, con Maria? Le nostre devozioni riguardano sempre l’affetto. Se qualcosa non ti fa sentire più vicino, più amato, cerca cosa invece riesce a farlo!” (ovviamente questo non significa affatto smettere di recitare il proprio Rosario quotidiano, vedrete più in seguito a cosa mi riferisco).

1. Chiedetevi che frutti vi lascia la vostra preghiera

Come combattere la tentazione di aver bisogno di essere, o meglio di sembrare, un cristiano migliore? Il maligno ci fa sentire che Dio si allontana e che ci guadagniamo la sua presenza con più accessori, preghiere, ecc., senza capire prima che i miei meriti sono insignificanti di fronte al regalo gratuito della presenza di Dio. Senza entrare in dialogo con colui che inganna, bisogna allora contraddirlo confidando nel fatto che Dio ci ama sempre allo stesso modo. Le preghiere servono per riconoscere quell’amore e non per guadagnarselo – l’amore ci è già stato dato.

Chiedetevi quali preghiere/devozioni in questo momento della vostra vita vi aiutano a riconoscerlo, non vi schiavizzano e vi danno più vita che timore. Santa Teresa d’Avila diceva: “Dalle devozioni assurde e dai santi amareggiati liberaci, Signore”. Le nostre devozioni assurde sono quelle che sembrano essere più importanti del nostro rapporto con Cristo. Ci riempiono di timore e di un’enorme scrupolosità. Ci lasceranno amareggiati, e l’amarezza ci porterà nuovamente a devozioni assurde… ecco il ciclo della falsa religiosità.

2. Come rompere con la falsa religiosità?

Per spezzare questo ciclo basta tornare alla semplicità di ringraziare il Padre e rinnovare giorno dopo giorno il nostro rapporto con Lui. “Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli”.

La nostra preghiera non dev’essere pesante, non deve stancarci e farci cadere nella falsa convinzione che nulla sia sufficiente. La preghiera costante anche in assenza di sentimento avvicinerà sempre Dio, ma prima abbiamo bisogno di aprire il nostro cuore. Tornare alla semplicità vuol dire abbandonare tutto ciò che “decora” le nostre devozioni e tornare all’amicizia, magari meno intellettuali nella preghiera e più bambini, più amici, più semplici, perché così Lo vedremo più semplicemente.

3. Credere che Dio mi ascolti

Pregare credendo che Cristo Gesù, anche con amore d’uomo, mi ascolta e mi accoglie. Non come un essere astratto che ha bisogno di grandi rituali come gli dèi pagani che vessavano la gente. E riposare in quella semplicità…

Saperci unici, creature speciali ciascuna per il proprio cammino, per la propria famiglia, le proprie radici, le proprie lotte, i propri talenti, è la chiave per riconoscere che Dio non ci vuole come macchine che ripetono tutte la stessa preghiera. I santi che hanno rivoluzionato la propria epoca, e Gesù stesso, hanno apportato qualcosa di nuovo alla fede della loro epoca. Gesù è passato dal chiamare Dio “Io sono colui che sono” a chiamarlo “Abbà”. Santa Teresa d’Avila ha spiegato Dio come un “castello diviso in dimore”, Santa Teresina ne parlava come di un “piccolo fiore o una goccia di rugiada”, San Francesco d’Asssi come “il Signore presente in tutto il creato” e il fisico gesuita Teillard de Chardin come “Cristo creatore e fine ultimo, o Punto Omega a cui tende l’universo e verso cui l’universo è attirato”.

4. Tutti abbiamo qualcosa di unico da apportare alla Chiesa

Questo aspetto che ciascuno ha simile a Dio si rivela nei momenti in cui siamo soli con Lui (Matteo 6, 6), in cui non dobbiamo fingere e siamo semplicemente noi stessi, con le nostre luci e ombre. Sentirsi noi stessi anche con il nostro direttore spirituale, con la nostra comunità e i nostri amici nel Signore ci aiuta a parlare partendo dalle nostre mozioni profonde e a ricevere aiuto, consiglio e incoraggiamento reali, in base ai nostri aneliti e non solo al fatto di appartenere a un “club” senza essere più amati e ispirati ad amare.

“Il nostro amato non ha bisogno dei nostri grandi pensieri né delle nostre opere strabilianti; se volesse pensieri sublimi non ha forse i suoi angeli, le sue legioni di spiriti celesti le cui conoscenze sono infinitamente al di sopra dei più grandi geni della nostra triste terra?” (Lettera 141 a Céline, Santa Teresina di Lisieux).

Qui l’articolo originale pubblicato da Catholic Link

 

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