Costituita in Spagna un’associazione di vittime dei Testimoni di GeovaLa città spagnola di Saragozza ha accolto il 1° e il 2 marzo il V Incontro Nazionale sulle Sette, organizzato dall’Associazione Latinoamericana per la Ricerca sugli Abusi Psicologici (AIIAP) insieme a vari collegi professionali di psicologi. Nel corso dell’incontro si è svolta una tavola rotonda intitolata “I Testimoni di Geova: contesto, impatto e processo di uscita”.
L’evento è stato l’occasione per la presentazione in pubblico di un’entità creata di recente, la Asociación Española de Víctimas de los Testigos de Jehová (Associazione Spagnola delle Vittime dei Testimoni di Geova, AEVT), che raggruppa le persone colpite da questa setta di stampo cristiano.
Il suo segretario, l’ex Testimone Enrique Carmona, ha spiegato che anche se esistono varie forme di uscire da questa organizzazione (abbandono progressivo, decisione esplicita o espulsione), “nel 99% dei casi l’uscita è traumatica”. Quando si tratta di un’espulsione ufficiale, di fatto, tutti i comportamenti che la provocano vengono inglobati in uno stesso termine: “malfattore”.
La perversione interna del gruppo
“In genere le persone diventate Testimoni di Geova sono individui con inquietudini religiose e il desiderio di aiutare il loro prossimo, sia che siano nate come tali che se si sono avvicinate attraverso la promozione di casa in casa o in altro modo”, ha spiegato.
Le convinzioni e i valori con cui attirano il pubblico, come l’importanza dell’amore, la pratica della giustizia, la difesa della verità a ogni costo, “tanto menzionati all’interno delle congregazioni, si vedono stroncati della vera pratica quotidiana, che è tutto il contrario”, ha segnalato Carmona, perché la realtà è che “i Testimoni di Geova mentono in difesa della loro organizzazione, in modo continuo e sfacciato, non solo alla gente in geneale, ma anche ai tribunali. Il loro ‘Dio onnipotente’ e la loro organizzazione richiedono che mentano”.
Danni personali
Quando escono o vengono espulse dai Testimoni di Geova, le persone sono assai danneggiate nella loro personalità: “vengono tolti loro tutti i sostegni che ottenevano all’interno del gruppo”.
I danni mentali prodotti hanno una doppia origine: “le convinzioni che l’individuo espulso ancora mantiene e il comportamento di rifiuto da parte di familiari e amici che restano dentro”, e quindi “i Testimoni di Geova hanno una buona immagine sociale, una bella facciata, ma la gente non sa cosa c’è sotto, che è duro da vivere”.
Il segretario della AEVT ha offerto alcuni dettagli su quello che presuppone la “disassociazione”, che è il termine impiegato dalla setta per riferirsi all’espulsione dei suoi membri, condannati all’ostracismo sociale da parte di coloro che fino a quel momento erano i loro fratelli di congregazione, e ha sottolineato che si tratta di un atteggiamento che si è radicalizzato nei Testimoni di Geova attraverso le loro pubblicazioni ufficiali.
Gli effetti dell’espulsione
Secondo quanto ha spiegato Enrique Carmona, nel 1981 si diceva che l’espulso era “come se fosse morto”, cosa che non è altro che “un ricatto puro e semplice nei confronti della famiglia degli espulsi”. Nel 1987 si parlava della vigilanza reciproca tra i membri della congregazione, con il dovere di “avvertire gli anziani di qualsiasi indiscrezione notata”. Si tratta di “un rapporto di spie”.
A poco a poco la Torre di Guardia – la corporazione imprenditoriale che regge il movimento – “indottrina le basi, i Testimoni di Geova, all’isolamento di chiunque venga espulso”. Per questo, “prima crea un ambiente di odio e rifiuto dell’individuo definendolo apostata o sleale, introducendo nel gruppo idee negative nei confronti degli individui attraverso aggettivi spregiativi”.
Tutto questo continua anche oggi. Una rivista della setta del 2017 continua a ordinare la “disconnessione assoluta dalle famiglie. Effettivamente, hanno ordinato la morte sociale a genitori, madri, fratelli… che abbandonano la congregazione”. Si legge su La Atalaya: “Anche se ci fa male, dobbiamo evitare il contatto superfluo con un familiare espulso, per telefono, messaggi di testo, lettere, posta elettronica o attraverso le reti sociali”.
Uscendo non sanno vivere
Alla tavola rotonda è intervenuto anche Israel Flórez, presidente della AEVT, che ha spiegato chi sono le vittime della setta: “C’è una grande diversità di persone: alcune per motivi religiosi e dottrinali, essendosi sentite ingannate; altre per essersi sentite truffate… In definitiva, l’aspetto comune è essere stati vittime di una mancanza di libertà. La cupola dei Testimoni di Geova coarta e minaccia”.
La realtà che vivono coloro che abbandonano il movimento è che “ci hanno insegnato a vendere una religione, quella della cupola della Torre di Guardia, ma non ad avere abilità sociali… Ci siamo relazionati solo con un gruppo chiuso. E allora, uscendo dal gruppo, non sappiamo vivere. Una volta fuori da quella gabbia, ci ritroviamo a dover cominciare da zero. È durissimo”.
Flórez ha condiviso la sua esperienza personale: già adulto, ha raccontato agli anziani (responsabili locali) della sua congregazione di essere stato abusato da un Testimone di Geova oggi anziano. “Mi hanno detto che ne avrebbero tenuto conto, ma una settimana dopo mi hanno detto di confidare in Geova e di non fare nulla. Non mi hanno negato la possibilità di denunciarlo alle autorità, ma mi hanno ricordato che se avessi fatto il nome dei Testimoni di Geova alla Polizia o ai tribunali avrebbe pregiudicato Geova”.
“Noi che siamo usciti siamo vittime, ma sono vittime anche quelli che stanno dentro”, ha affermato il presidente della AEVT. “Ci sono membri della nostra associazione che restano all’interno dell’organizzazione perché se uscissero perderebbero ogni contatto con la famiglia e gli amici”.
Le tante vittime di un’organizzazione oscura
Flórez ha anche ricordato che dietro ai Testimoni di Geova c’è “un’impresa editoriale che sta ottenendo molto denaro, con una gran quantità di edifici a suo nome e consistenti affari immobiliari. In Spagna si raccolgono annualmente 10 milioni di euro, di cui solo 3 vengono impiegati per sostenere i lavoratori nella sede nazionale di Ajalvir (Madrid). Il resto del denaro va alla centrale dell’organizzazione negli Stati Uniti”.
Per questo, ha sottolineato, alla AEVT “vogliamo trovare le vittime e iniziare ad aiutarle. Ci sono molti casi in cui si verificano disturbi psichiatrici, malattie fisiche, ecc., e vogliamo mettere a disposizione dei professionisti per aiutare le vittime”.
La storia di Isabel e della sua famiglia
Un altro membro dell’associazione, Isabel Matamoros, ha riferito di essere stata captata a 19 anni, provenendo da una situazione familiare difficile. Nell’adolescenza era diventata ribelle e voleva un mondo migliore. In quel momento l’hanno contattata i Testimoni di Geova, con la loro gentilezza e il loro affetto.
“Ti mettono in testa l’idea che questo mondo finirà ma che c’è una possibilità meravigliosa di vivere in paradiso… tutto quello che volevo”, ha affermato. Due anni dopo ha deciso di battezzarsi e di partecipare alla vita della setta: varie riunioni settimanali, uscire a predicare, ecc..
“Tutto questo richiede molto tempo, e occupa uno spazio sempre più grande nella propria vita”. A 25 anni si è sposata con un Testimone di Geova, e poco tempo dopo è rimasta incinta. “La mia vita è trascorsa, sono rimasta lì dentro 30 anni e non mi sono mai fermata a pensare, criticare o dubitare, cosa che viene totalmente sconsigliata”.
Sua figlia, però, è cresciuta ed è arrivata all’adolescenza, e sono iniziati i problemi diretti. “Mia figlia si è innamorata di un ragazzo mondano, ovvero non Testimone di Geova, cosa che non è permessa. Gli anziani della congregazione hanno parlato con mia figlia, che all’epoca aveva 18 anni e non si era ancora battezzata. Hanno deciso di intromettersi nella sua vita per correggere la sua ‘condotta sbagliata’. Visto che il mio atteggiamento in quella riunione non è stato gradito agli anziani perché non mi sono opposta a sufficienza, mi hanno tacciato di essere una cattiva madre. Si è detto pubblicamente che mia figlia era una cattiva compagnia e nessuno poteva avvicinarsi a lei, come se fosse un’appestata”.
Da allora, la figlia e il fidanzato hanno iniziato a cercare informazioni e a seminare dubbi in Isabel, e dopo due anni sono riusciti a farla “svegliare”, perché lei stessa ha iniziato a scoprire delle informazioni su Internet: esperienze terribili di ex membri, casi di maltrattamenti e abusi… “Tutto questo mi ha colpito e atterrato. Ho pensato che non volevo più stare lì, e ho deciso di andarmene. Era un passo decisivo, e mia figlia ed io ci siamo alleate per convincere mio marito, che è uscito con noi. Il fatto di essere usciti tutti e tre insieme significa che ci siamo risparmiati molta sofferenza, un grande costo psicologico. È un passo traumatico ma l’abbiamo fatto insieme. In genere, però, si esce individualmente, ed è durissimo”.