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La crisi dell’Europa secondo il cardinal Robert Sarah

10 febbraio 2015, Robert card. Sarah © M.MIGLIORATO/CPP/CIRIC

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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 25/03/19
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Da qualche giorno è disponibile nelle librerie francesi il nuovo libro del cardinale guineano, il terzo scritto in conversazione col giornalista d’Oltralpe Nicolas Diat. L’opera è vasta e composita, e poiché la sua traduzione italiana vedrà la luce solo alla fine dell’estate vogliamo stuzzicarvi l’appetito con qualche pagina saliente su alcuni temi che ci coinvolgono quotidianamente.

Le 440 pagine del nuovo libro del cardinal Sarah sono dense, piene di analisi precise e di spunti luminosi. L’editore italiano Cantagalli ci informa che la traduzione dovrebbe essere pubblicata per settembre. Non pochi amici, tuttavia, mi hanno manifestato il desiderio di leggere qualche pagina in anteprima, così ne ho scelte alcune da tradurre per voi.


ROBERT SARAH
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Per contestualizzarle, ricordo che il libro ha la forma di una conversazione: è qualcosa di più di un’intervista, perché non di rado le “domande” di Nicolas Diat sono a loro volta dei ragionamenti e degli spunti per il suo eminente interlocutore. Il libro è dedicato al Papa Emerito e al Santo Padre, qualificati rispettivamente come “incomparabile artigiano della ricostruzione della Chiesa” e come “figlio fedele e devoto di sant’Ignazio”; esso è dedicato pure «ai preti del mondo intero, in rendimento di grazie nell’occasione del mio giubileo d’oro sacerdotale». L’opera è suddivisa in quattro parti, che si succedono dopo una iniziale meditazione sulla natura della Chiesa e su quella del tradimento al suo interno (“Ahi, Giuda Iscariota…”):

Oggi in queste pagine vi offro quello che è il cuore della mia vita: la fede in Dio. Fra poco tempo comparirò davanti all’eterno Giudice. Se non vi trasmetto le verità che ho ricevuto, che cosa gli dirò allora? Noi vescovi dovremmo tremare al pensiero dei nostri silenzi colpevoli, dei nostri silenzi di complicità, dei nostri silenzi di compiacenza col mondo.

Spesso mi chiedono: «Che dobbiamo fare?». Quando la divisione incalza, bisogna rafforzare l’unità. Essa nulla ha a che fare con certi corporativismi quali se ne trovano nel mondo. L’unità della Chiesa ha la sua sorgente nel cuore di Gesù Cristo. Dobbiamo tenerci vicini a lui e in lui. Quel cuore, che è stato aperto dalla lancia perché potessimo trovarvi rifugio, sarà la nostra casa. L’unità della Chiesa riposa su quattro colonne: la preghiera, la dottrina cattolica, l’amore di Pietro e la mutua carità devono essere le priorità della nostra anima e di tutte le nostre attività.

Robert Sarah e Nicolas Diat, Le soir approche et déjà le jour baisse, 16-17

Indice della materia

Le quattro parti, dicevo: la prima è dedicata all’analisi del collasso spirituale e religioso, e vi si trovano gli argomenti più squisitamente riguardanti la Chiesa; la seconda parla dell’abbrutimento dell’uomo, ed è dichiaratamente volta a indagare la crisi antropologica; la terza è dedicata alla “caduta della verità”, concretamente declinata nella decadenza morale e nei vagabondaggi politici (è seconda in lunghezza solo alla prima, ma la supera per elenco di argomenti toccati); la quarta e ultima è programmaticamente rivolta al ritrovo della speranza, che si conseguirebbe mediante la pratica delle virtù cristiane.



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Quel che pensavo di proporvi qui è una serie di estratti dal nono capitolo, collocato nella terza parte e dedicato a “la crisi dell’Europa”: tema carissimo agli ultimi tre pontificati, esso è pure di stringente attualità per via del rinnovo dell’Europarlamento che si terrà da qui a due mesi; non solo questo, ma le parole di Sarah sul tema sono pure quelle di un africano che in adempimento al suo ministero ecclesiastico ha girato tutto il mondo e che dunque dispone di due lenti ermeneutiche non abituali per noi. Gli stessi Benedetto XVI e Giovanni Paolo II non hanno mai potuto vedere l’Europa se non da europei, e neppure Francesco – pur esprimendo il sentire di una chiesa continentale giovane e in espansione – conserva nella propria esperienza ecclesiale l’antichità, la fierezza e le ferite del cristianesimo africano.

Il masochismo della civiltà occidentale

Nicolas Diat introduce il capitolo dicendo che esso si svolgerà sul sottotesto de L’Europa. I suoi fondamenti oggi e domani, di Joseph Ratzinger.

Nicolas Diat: Un anno prima della sua elezione al soglio petrino, il cardinale scriveva:

C’è qualcosa di strano che non si può considerare se non come un’attitudine patologica: l’Occidente sembra odiare sé stesso. Certo, esso si sforza di aprirsi – e questo è lodevole – ai valori di fuori, ma non ama più sé stesso. Della propria storia, esso non ritiene ormai se non quanto è deplorevole e fu causa di rovine, non essendo più in grado di percepire quanto vi è di grande e di bello. Se vuole sopravvivere, l’Europa ha bisogno di accettare di nuovo sé stessa.

Come non essere colpiti dall’aspetto profetico delle parole di Ratzinger?

Robert card. Sarah: Con il passare degli anni, e malgrado il suo sviluppo economico, il problema dell’Europa diventa sempre più grave. I progressi scientifici e tecnologici, l’abbondanza dei beni materiali, la dissoluzione di ogni identità propria hanno accecato l’Europa, ne hanno turbato l’equilibrio, l’hanno resa orgogliosa, areligiosa e atea. […] L’Europa sembra programmata per autodistruggersi. Essa non ha visione sul proprio avvenire se non sui piani economico e militare. Le sue radici giudaico-cristiane sono dimenticate. L’Occidente sembra odiarsi e pare pronto a suicidarsi.

L’Europa vuole aprirsi a tutte le culture – cosa che potrebbe essere lodevole e fonte di ricchezza – e a tutte le religioni del mondo, ma non si ama più. Basta osservare l’impoverimento della conoscenza della lingua materna nelle nuove generazioni. […]

N. D.: Il quadro che lei dipinge è terribile. L’Europa sarebbe dunque già morta?

+R. S.: Credo che sia agonizzante. Un processo di autodistruzione è sempre reversibile, ma il tempo stringe. Da qualche anno in qua, la caduta s’accelera. Tutte le civiltà che ignorano l’eminente dignità della persona umana sono scomparse. Oggi, come al tempo dell’Impero romano, l’Europa manipola, commercializza, gioca con la vita dell’uomo, creando così le condizioni della propria scomparsa.

Il rifiuto della vita, l’omicidio dei bambini nascituri, quello degli handicappati e degli anziani, la demolizione della famiglia e dei valori morali e spirituali: ecco ciò che costituisce il primo atto del suicidio di un intero popolo. Assistiamo impotenti alla decadenza di una civiltà. L’inabissamento dell’Europa è un unicum nella storia dell’umanità.

Tuttavia, devo aggiungere che ci sono in Europa – accanto a istituzioni che sembrano suicide e decadenti – dei veri germi di di rinnovamento. Ho incontrato numerose famiglie generose e profondamente radicate nella loro fede cristiana. Ho visto anche belle comunità religiose, fedeli e ferventi. Mi fanno pensare ai cristiani che, sul finire dell’Impero romano, vegliavano sulla tremula fiammella della civiltà. Voglio incoraggiarle. Voglio dire loro: la vostra missione non è quella di salvare un mondo che muore. Nessuna civiltà detiene le promesse della vita eterna. La vostra missione consiste nel vivere fedelmente e senza compromesso la fede che avete ricevuto da Cristo. Così, senza rendervene conto, salverete l’eredità di tanti secoli di fede. Non abbiate paura del vostro piccolo numero! Non si tratta di vincere le elezioni o di influenzare le opinioni, si tratta di vivere l’Evangelo. Non di pensarlo come un’utopia, ma di farne concretamente l’esperienza. La fede è come un fuoco. Bisogna essere ardenti in sé stessi per poterla trasmettere: vegliate su codesto fuoco sacro! Sia esso a scaldarvi nel cuore dell’inverno dell’Occidente. Quando un fuoco rischiara la notte, gli uomini si raccolgono poco a poco accanto ad esso. Tale dev’essere la vostra speranza.

Migrazioni, accoglienza evangelica e mondialismo

Al che Diat cita

N. D.: […] un altro passo del medesimo libro di Ratzinger:

Nell’ora stessa della sua suprema riuscita, l’Europa sembra essere divenuta interiormente vuota, come paralizzata da una crisi del suo sistema circolatorio; crisi che compromette la sua vita. Le si vorrebbe offrire il palliativo di trapianti di massa, i quali non potranno condurre che ad abolire la sua identità. A questa diminuzione delle sue forze spirituali fondamentali corrisponde il fatto che, sul piano etico, l’Europa sembra in via di estinzione.

Ecco, questa severa constatazione mi sembra corrispondere alle sue analisi.

+R. S.: Parlando di trapianti, il cardinal Ratzinger evocava già i processi migratori. Sotto sotto, noi sappiamo che ci sarà in Europa uno squilibrio di rara pericolosità sui piani demografico, culturale e religioso. L’Europa è sterile, non si rinnova, e questo poiché manca di un sufficiente tasso di natalità. La sua casa si riempie di stranieri perché essa è vuota, «libera, sgombra, ben in ordine» (Mt 12, 44). Essa è sbarazzata dei suoi tesori storici e cristiani.

Sembra che le tecnostrutture europee si rallegrino dei flussi migratori o li incoraggino. Esse non ragionano che in termini economici: hanno bisogno di lavoratori che possano essere pagati poco. Esse ignorano l’identità e la cultura di ogni popolo. Basta vedere il disprezzo che ostentano per il governo polacco. L’ideologia liberale soverchia ogni altro approccio. Come a Betlemme, Dio è l’unico povero per cui non c’è posto nell’albergo.

L’Europa pretende di lottare contro tutte le forme di discriminazione legate alle appartenenze razziali e religiose, e in questo campo hanno avuto luogo dei veri progressi. Se ne è però approfittato per imporre uno spirito utopistico. La scomparsa delle patrie e la colonizzazione delle culture non potrebbe dirsi un progresso. L’impresa multiculturalista europea sfrutta un ideale di carità universale mal compreso. La carità non è un rinnegamento di sé. Essa consiste nell’offrire all’altro ciò che di meglio si ha e quello che si è. Ora, ciò che di meglio l’Europa ha da offrire al mondo è la sua identità, la sua civiltà profondamente irrigata di cristianesimo. E invece che cosa ha offerto ai nuovi arrivati musulmani se non l’irreligione e un consumismo barbaro? Come stupirsi che questi ultimi si rifugino nel fondamentalismo islamista? Gli Europei devono essere fieri dei loro usi e dei loro costumi informati dall’Evangelo. Il più prezioso dono che l’Europa possa fare agli immigrati che vivono sul suo suolo non è anzitutto un aiuto finanziario, ancor meno uno stile di vita individualista e secolarizzato, ma la condivisione delle sue radici cristiane. Assumere ciò che si è: una condizione essenziale per accogliere l’altro. Di fronte al pericolo dell’islamismo radicale, l’Europa dovrebbe saper enunciare fermamente a quali condizioni si possono condividere la sua vita e la sua civiltà. Essa però dubita di sé stessa e si vergogna della propria identità cristiana. Così finisce per attirare il disprezzo.

Ivi, 277-281 passim

Una pagina sapiente che dovrebbe invitare tutti a ulteriore riflessione: personalmente, vi ho ritrovato insieme la teologia politica del De civitate Dei di Agostino e la lettura sapienziale della società tardo-imperiale del De gubernatione Dei di Salviano. In essa sta segnata una sublime equidistanza dal gaio mondialismo, “sazio e disperato” (cf. Biffi su Bologna), e dal cinico populismo: in effetti l’unica presa di posizione a cui Sarah appella con urgenza – malgrado il tema tutto sommato politico – è una repentina e profonda conversione del cuore. Che possano finalmente intenderlo quanti – sempre senza capirlo e talvolta anche senza leggerlo – lo arruolano o lo combattono nelle proprie battaglie. L’unica battaglia che abbiamo da disputare – noi europei e l’Europa stessa in noi – è quella per conservare la fede. Che si perde se non si condivide.



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© Fayard
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